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martedì 23 ottobre 2018

Il problema del Chievo

Il problema del Chievo non è che abbia investito poco nel mercato. Il Chievo non ha mai avuto soldi, non solo in confronto alla grandi potenze del nostro calcio, ma anche e soprattutto rispetto alle dirette concorrenti per la salvezza.
Sono ormai vent'anni che Campedelli fa miracoli per sostenere il proprio club a questo livello professionistico, riuscendo peraltro anche a dare valore concreto alla società, con un centro tecnico giovanile nuovo di zecca.
Non dimentichiamo che il fatturato 2017 della Paluani parla di 43 milioni di euro, con un utile netto di 1,5 milioni, il che non è che consenta grandissimi margini di manovra in un calcio che viaggia sempre più a cifre spropositate.
La reale questione è che, proprio in un contesto calcistico come quello contemporaneo, in assenza di grandi mezzi economici, ciò che rimane da fare è investire nella competenza. Tutto ciò che ha riguardato il Chievo negli ultimi vent'anni ("Miracolo Chievo", "Il Chievo europeo", "Il Chievo rompiscatole") è SEMPRE scaturito dalla competenza. L'addio di Sartori dai quadri dirigenziali ha completamente stravolto (in peggio) quelle che sono state le basi della costruzione del miracolo. Lo scouting è letteralmente imploso. Sono spariti gli investimenti nei confronti di quei ragazzi, italiani e stranieri, che non avevano ancora trovato le condizioni ideali per esprimere il proprio talento e che hanno reperito poi nell'ambiente gialloblù quello ideale per poter finalmente dare sfogo alle proprie qualità. Stiamo parlando di gente come Thereau, Dramè, Jokic, Cesar, Birsa, Bradley, Gelson Fernandes, Zukanovic, Constant, Hetemaj, Acerbi, Paloschi, Inglese e anche Stefano Sorrentino, prelevato per mezzo milione di euro dall'AEK Atene, quando nessuno se lo filava.
Si è inizialmente pensato, con la gestione Nember, che fosse sufficiente portare a casa tantissimi elementi dall'usato sicuro per poter reggere: questo, in realtà, si è rivelato un pensiero assolutamente condivisibile dal punto di vista tecnico (perché alla fine il successo della gestione Maran è da dividere in parti uguali tra l'abilità del tecnico e quella di calciatori che, fino a qualche anno prima, bazzicavano in Champions League), ma totalmente insostenibile dal punto di vista economico. Se andiamo poi a valutare le situazioni in cui Nember abbia effettivamente aperto il portafogli, non ce n'è una che si possa definire soddisfacente: Mpoku (5 milioni), Bani (4 milioni), Bastien (1,5 milioni), Maxi Lopez (1,5 milioni), Ruben Botta (1 milione), Bellomo (1 milione). L'unico grande acquisto della sua gestione si è rivelato Lucas Castro, anche se la sensazione è che sia arrivato più per volere di Maran che per intuizione del dirigente. Il peso economico della rosa è andato così ad aumentare enormemente, a tal punto che la società, proprio in quel periodo, sia dovuta ricorrere a misure che, per quanto restino ancora da giudicare legalmente, rimangono discutibili in ogni caso.
Ciò è stato ammesso anche dallo stesso Campedelli che, dopo l'improvviso allontanamento di Nember dai quadri dirigenziali, avvenuto nel freddo Febbraio del 2017 per divergenze gestionali, dichiara come "il Chievo debba tornare alle origini".
Da qui si arriva al secondo punto discordante, ovvero l'affidamento della direzione generale a Romairone, profilo che ha dimostrato nel corso del tempo di non avere la minima idea di come costruire una squadra competitiva con poche risorse. Si è andati all'estero per concludere sconclusionate acquisizioni come quelle di Gaudino, Jaroszynski, Tanasijevic, Burruchaga, palesemente manovrate da qualche procuratore amico. Si è guardato al mercato interno nel modo più sbagliato, dispendioso e confusionario possibile, impegnando gran parte del proprio salvadanaio per elementi dalla dubbia tenuta atletica o mentale come Barba (3 milioni di euro), Djordjevic (contratto da quasi un milione all'anno), Obi (2 milioni di euro) e anche il povero Pucciarelli, a cui mai si andrà a recriminare per impegno, ma che certo non vale i quasi 4 milioni di euro sborsati (in questo senso bisognerebbe aprire un capitolo a parte sul costo dei ragazzi italiani, enormemente fuori mercato per quello che possono concretamente dare al nostro campionato: magari lo faremo in futuro).
Andare in Serie B, se così dovesse essere, non sarebbe un problema se attorno al cuore e all'impegno di Campedelli ci fossero ancora figure dirigenziali competenti e un'organizzazione tale che vada concretamente a compensare la mancanza di risorse. Ancora una volta, a prescindere dall'esito di questa stagione, il Chievo chiede a Campedelli di ricominciare dagli ultimi anni del secolo scorso, ripristinando quelle condizioni e quelle conoscenze che hanno permesso a una frazione di 5000 abitanti di conoscere (prima) e stabilizzarsi (poi) nei migliori palcoscenici calcistici nazionali. Non importa quanto tempo sia necessario, l'importante è ripartire. Sempre che abbia ancora la forza per poterlo fare.

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