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Juventus, CR7 prove di addio: Storia di un'amore mai decollato

 Rispetto, passione e voglia di vincere . Tre pensieri che accomunavano la Juventus e Cristiano Ronaldo tre anni orsono e che sono stati f...

lunedì 30 luglio 2018

DeMar DeRozan ai San Antonio Spurs

Nel prossimo post andrò a vedere la situazione opposta, ovvero il passaggio di Leonard in Canada, In questo post invece andrò ad analizzare la trade sponda San Antonio Spurs.
DeMar è stato scambiato. Direzione, Alamo: si va a San Antonio.
Step back.
Stagione scorsa.
Metà dicembre, più o meno. DeMar riceve una “convocazione” nell’ufficio del “president of basketball operations”, Masai Ujiri. Nella scala gerarchica dei Raptors, nel reparto operativo, c’è una top5 di persone. Erano tutte nell’ufficio di Ujiri, e stavano tutte aspettando DeMar.
DeMar, mentre cammina verso l’ufficio, ha un pensiero, chiaro: “Cazzo, non posso essere scambiato”. Si sente chiamato dal Preside, come avesse combinato qualcosa di grave all’High school.
Niente trade.
Niente cattive notizie.
Il discorso che viene fatto è di tutto altro genere: puoi essere il nostro Kobe Bryant, dice Ujiri. Ma DEVI migliorare su quell’aspetto del gioco che ti manca, il tiro da 3.
Una sfida.
Fino a quel momento, il gioco di DeMar è un gioco fatto di fondamentali, di allenamento individuale, è un gioco di un’altra epoca: un attacco quasi interamente dal mid-range, nell’epoca in cui in una singola stagione vengono segnate più triple che in tutto il decennio ’80. DeMar è meraviglioso, ma è un dinosauro.
DeMar cambia il suo gioco. Comincia a tirare più da tre. Si allena più da tre. Fa uno step importante in avanti.
Tutto sembra andare per il verso giusto.
Tutto, fino a che non arrivano i playoff. Anzi, fino a che non arriva LeBron. Di nuovo quello lì. DeRozan gioca decentemente le prime 2, ma sono due sconfitte, e sono anche in casa. In gara 3 viene messo in panchina per tutto il quarto quarto di gara 3. Quella è stata la sua ultima partita che avesse senso in maglia Raptors, visto che sotto 3-0 Toronto non ha una singola chance.
0-4.
DeMar tira 0/9 da 3 nella serie.
End of an Era.
Toronto è sempre sembrata, specie l’ultimo anno, ad un passo dal poter arrivare in fondo. Il passo, però, non è stato mai fatto.
A me DeRozan l’anno scorso è piaciuto tantissimo, in RS. Ha saputo evolvere il proprio gioco, migliorarsi, diventare una minaccia in ogni zona del campo, ha saputo diventare un passatore migliore. Ha rinunciato all’idea di tornare a Los Angeles, ha rinunciato a dei bei soldi per permettere a Toronto di essere più competitiva. Non ha funzionato.
Come spesso succede, in NBA, ad un certo punto alcune squadre decidono di pigiare il tasto rosso della rivoluzione.
Qualche giorno fa dall’account di instagram di DeRozan sono sparite TUTTE le foto, TUTTE. La maggior parte di quelle foto lo ritraevano in maglia Raptors, la prima e unica sua maglia NBA.
Qualche ora fa, queste parole: “Ti dicono una cosa e ne fanno un’altra. Non ti puoi fidare di loro. Non c’è lealtà in questo gioco. Ti vendono in fretta per ‘a little bit of nothing’.”
Al netto delle interpretazioni che quel ‘a little bit of nothing’ ha sull’aspetto Leonard della questione, io posso solo immaginare cosa voglia dire sentirsi dire da un giorno all’altro che la tua vita cambia. Che la squadra e la città per cui hai giocato, lavorato, sudato, sofferto, per cui hai rinunciato a denaro che altri ti avrebbero dato, ti manda via. Per ‘a little bit of nothing’.
Guadagnano tanti soldi, per carità. Ma sono ragazzi come tutti noi che si sentono non voluti. Con i trascorsi di DeMar, non devono essere ore facili per lui.
Io però gli auguro di trovare e ritrovare serenità. Voglia di giocare, di competere. Di allenare quel maledetto tiro da tre. Di perfezionare, se solo fosse possibile, quell’arresto e tiro dal gomito di una bellezza stratosferica. Gli auguro di sedersi al volante della sua DeLorean, farla uscire definitivamente dal passato per lanciarsi nel futuro.
Va da uno dei migliori allenatori del mondo, in un posto che, giocasse come ha saputo dimostrare di saper giocare, lo amerà esattamente come lo ha amato Toronto.
In bocca al lupo DeMar.

giovedì 26 luglio 2018

Kawhy Leonard ai Toronto Raptors

Io ti odio.
Come Anakin Skywalker risponde a Obi-Wan Kenobi, dopo la battaglia e il discorso più bello dell'intera saga di Star Wars, io dico a Kawhi Leonard le stesse tre parole. Chi mi conosce un po' di più saprà che nell'intera NBA nessuno è in grado di attirare il mio odio (sportivamente parlando) più di Russel Westbrook e Kevin Durant. Almeno fino alla settimana scorsa
Kawhi Leonard, recentemente, è diventato ufficialmente un giocatore dei Toronto Raptors. Una bellissima occasione, pensavo io. Poter dimostrare a tutti che l'infortunio è ormai storia passata e che, l'MVP delle Finals 2014 era pronto a conquistarsi di nuovo, un canestro alla volta, il titolo di superstar. Poi la notizia più brutta: "Kawhi Leonard not interested in playing for Toronto".
Dopo anni passati sotto la guida di un mentore come Popovich, Leonard sembra non aver imparato nulla, anzi. L'atteggiamento che sta tenendo negli ultimi giorni è quello di un bambino al parco che, scelto nella squadra che non gli piace, decide di non giocare e tornare a casa. Non per i milioni che guadagna, ma per il rispetto che provo per l'NBA trovo questo comportamento inaccettabile.
"La trade non l'ha mica scelta lui" direte voi, beh non è questo il significato della trade? La squadra decide, i giocatori sono solo figurine all'interno di un puzzle enorme. "Chi vorrebbe vivere nella fredda Toronto invece che sulle spiagge di L.A.?" Verissimo, ma deve giocare a basket, non fare una vacanza con la famiglia.
Fare gli schizzinosi dopo un anno di stop è troppo. Un anno passato in panchina perché non si sentiva pronto, perché aveva litigato con San Antonio, perché... perché... perché...
La scelta che prenderà, nelle prossime ore, Leonard sarà decisiva per il proseguio della sua carriera: se sceglierà di fare ostruzionismo e restare in panchina un anno anche tra le file dei Raptors potrebbe rovinargli la carriera, prendere sulle spalle una franchigia devastata dagli addii di Casey e di DeRozan potrebbe rivalutarla per sempre.
Passare da MVP delle Finals a pagliaccio non è mai sembrato così semplice.
Ti prego Kawhi, fai il serio. Non costringermi a odiarti.
Ti prego Kawhi, pensaci.
Ti prego, sii il Kawhi che pensavo fossi.
Ti prego.

mercoledì 25 luglio 2018

Ipotesi scambio clamoroso Higuain Bonucci

Bonucci alla Juventus e Higuain al Milan. Tutto ciò avrebbe del clamoroso, ma, per la Gazzetta dello Sport, non è impossibile. Stando alla Rosea, il difensore avrebbe superato gli attriti con Allegri e già nello scorso mese di gennaio avrebbe pensato di tornare in bianconero. La stessa Vecchia Signora è alla ricerca di un centrale difensivo da affiancare a Chiellini, nell'attesa della crescita di Caldara, che si possa alternare con Benatia (l'altro nome caldo è quello di Godin). Al medesimo tempo, i Campioni d'Italia paiono intenzionati a cedere uno dei loro molteplici attaccanti e l'indiziato principale sembra Higuain che potrebbe, quindi, partire per il Milan alla ricerca di un attaccante. Il nodo sarebbe legato all'ingaggio molto elevato del Pipita. Forse, da questo punto di vista, l'operazione sarebbe più alla portata delle casse del Chelsea. Insomma, un bell'intrigo. Ma questo ipotetico scambio sull'asso Torino-Milano conviene? La Vecchia SIgnora completerebbe bene il suo reparto arretrato nella zona centrale, ma trattasi della famosa "minestra riscaldata". Il valore di Leonardo non si discute, ma ripetersi non è mai semplice. Il tutto anche in considerazione del fatto che molti tifosi della Juve non gradirebbero il ritorno dopo quello che, forse, considerano un tradimento. Per i rossoneri, invece, significherebbe arrivare a uno dei centravanti più forti del campionato che in serie A ha sempre mostrato di essere devastante, ma pure rinunciare al loro capitano, a colui che avrebbe dovuto essere al centro del nuovo progetto. E' vero, al suo posto la squadra lombarda si troverebbe "già in casa" Musacchio e Romagnoli, ma lo spagnolo non ha avuto una prima stagione italiana fenomenale e dovrebbe confermare quanto di buono ha mostrato nella Liga con la maglia del Villareal.

lunedì 16 luglio 2018

Perchè la Francia era favorita alla vittoria del titolo?

La Francia, ma più in particolare Deschamps ha quasi subito rinunciato a costruire un gioco di dominio nella metà campo avversaria: quindi ha inserito Giroud a fare da ponte alle giocate in velocità di Griezmann e Mbappè.
Sia contro l''Uruguay sia con il Belgio è stato più importante difendersi dagli attacchi avversari piuttosto che tessere trame in fase di possesso, tanto che le azioni di ripartenza nascono per lo più in maniera estemporanea.
La strategia offensiva dei francesi è basata sulla lotta su tutti i palloni di Giroud, sulla genialità tra le linee di Griezmann, le fiammate di Pogba e ovviamente la prorompenza di Mbappè in corsa.

La Francia è riuscita contro Uruguay e Belgio a far sfogare l'avversario e a punirlo con un colpo di testa da calcio piazzato. Se ci fate caso anche contro la Croazia la formazione francese ha saputo soffrire e anche con un po' di fortuna ha punito gli avversari su situazione di palla inattiva (prima l'autogol di Mandzukic e dopo il rigore con tocco di mano di Perisic).

I Croati per vincere la partita avrebbero dovuto avere una grandissima qualità a centrocampo, ma guarda caso Modric, Brozovic e Rakitic hanno giocato la partita peggiore del Mondiale.

D'altro canto la difesa della Francia non mi sembra così impenetrabile, sarebbe bastato un centrocampo più attento a far girare palla per mettere in difficoltà la retroguardia dei Blues.
I Croati per aumentare le loro chance di vittoria, avrebbero dovuto fare la differenza con la palla, perdendone il meno possibile e soprattutto avrebbero dovuto evitare il più possibile di farsi trovare messi male o perdere duelli, perchè era chiaro già prima dell'inizio del match che se si fosse lasciata andare la Francia in contropiede fino all'area di rigore avversaria le chance per gli uomini di Dalic si sarebbero ridotte notevolmente.
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domenica 15 luglio 2018

La Francia vince la seconda Coppa del Mondo della sua storia

Vincendo questo trofeo la nazionale francese certifica la sua superiorità rispetto agli altri movimenti mondiali del panorama calcistico.

Per valutare una formazione non basta guardare solamente la finale, infatti l'ultimo atto è quasi sempre una partita completamente diversa da tutte le altre, e serve sempre un qualcosa che porti l'ago della bilancia a pendere più da una parte che da un'altra (tra l'altro quest'ultimo concetto era mancato nella finale degli europei due anni fa ed è arrivato oggi con gli episodi del primo tempo.

Un sacco di gente ripeterà nei prossimi giorni che la Francia ha avuto una fortuna pazzesca in questi ultimi 90 minuti, ma Deschamps ha ampi meriti: ha dovuto gestire un gruppo composto da grandi campioni. D'altronde se andiamo a vedere l'ossatura dei nuovi campioni del mondo proviene da Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, Juventus, Manchester United, Atletico Madrid, PSG, Chelsea.

Si vocifera come successore di Deschamps, Zizou Zidane che dovrà essere bravo a ereditare un gruppo che si sentirà invincibile dopo il trofeo appena conquistato.

La Francia tra l'altro dopo questa vittoria non chiude assolutamente un ciclo, anzi potenzialmente nei prossimi 6 anni (due europei e un Mondiale) la rosa appena salita sul tetto del Mondo potrebbe essere riconfermata quasi tutta in blocco.

Allo stato attuale non c'è nessuna altra selezione che può vantare una tale caratura internazionale in ogni reparto e con questa età media.

Il pallone d'oro è destinato ad essere consegnato in terra francese, bisogna capire il destinatorio, anche se Griezmann sembra il favorito per il fatto che ha vinto anche l'Europa League.

Dall'altra parte questo Mondiale verrà ricordato per la gesta di una piccola squadra, che con una grinta e una forza fuori del comune è riuscita a raggiungere una finale insperata.

Il Mondiale 2018 finisce qui, ma mi voglio congedare con una domanda: Come sarebbe finito questo Mondiale senza l'ausilio del Var?
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venerdì 13 luglio 2018

Croazia per la prima volta in finale Mondiale

Football’s coming home.
O meglio, Nogomet dolazi kući.
La Croazia dimostra soprattutto di avere una grande capacità di tenuta mentale.
In una partita che per un’ora di gioco sostanzialmente non aveva detto granchè per i croati, il germoglio della giocata decisiva comunque veniva coltivato dagli uomini di Dalic, mantenendo saldo, anche nelle difficoltá, il proprio focus sulle giocate e sulle combinazioni provate in tutto il torneo.
È soprattutto la grande serata di Ivan Perisic, vero trascinatore del gruppo in una serata difficile per i compagni di grande talento in mezzo al campo: la prestazione della squadra cresce di pari passo con quella dell’interista, decisivo in entrambe le reti della partita.
È la forza di un gruppo che comunque non molla mai e che, pur essendo stato pochissimo nel torneo in condizione di svantaggio (una settantina di minuti), ha dovuto rimontare in tutte le partite a eliminazione diretta finora disputate.
È la firma di Zlatko Dalic, tecnico diventato maturo tra Arabia Saudita (Al Faisaly e Al Hilal) e UAE (Al Ain), profilo di grande personalitá sia nelle scelte tattiche che in quelle gestionali (vedere l’allontanamento di Kalinic a torneo in corso). Al momento del suo insiedamento sulla panchina croata, i Vatreni erano a un passo dall’oblio, con un piede fuori dal Mondiale e una trasferta decisiva da non perdere in Ucraina: il suo cammino invece, escludendo partite amichevoli, dice nove risultati utili consecutivi.
Harry Kane rimane uno dei centravanti migliori dell’intero panorama mondiale. Eppure, se dovessi scegliere, vorrei sempre Mario Mandzukic nella mia formazione ideale. Perchè Kane é quel prototipo di attaccante da 25 gol a campionato, dalle triplette mirabolanti, dalla piena completezza nell’interpretazione del ruolo, ma che poco può aggiungere quando la posta diventa molto più alta: Marione, al contrario, è l’uomo dei momenti decisivi, il personaggio dai gol giusti al momento giusto.
Perchè le due reti di Mandzukic in questo torneo valgono molto di più delle sei di Harry Kane.
La finale parla chiaro: la Francia è padrone del proprio destino, come del resto lo era due anni fa nell’Europeo casalingo.
La nazionale francese (e più in generale il movimento calcistico francese) è la migliore a livello mondiale dell’ultimo quinquennio, per valori tecnici dei singoli e per continuitá nei risultati.
Starà agli uomini di Deschamps legittimare con la vittoria un meritato trionfo, che peraltro potrebbe aprire un ciclo di successi disarmante, grazie a un gruppo giovane, forte e carismatico.
Detto questo, la storia e il percorso degli eventi sanno essere molto crudeli e gli ultimi novanta minuti saranno tutti da vivere.

domenica 8 luglio 2018

Sarà Inghilterra Croazia la seconda semifinale

Inghilterra - Svezia
Un'Inghilterra con sprazzi di spettacolare coralità ha ragione della coriacea Svezia. Gli Svedesi giocano la loro partita di sempre: grande attenzione e applicazione della zona, grande fisicità ed aggressività nei duelli e il maggior numero di ripartenze che si riesce a produrre. Sfortunatamente per gli uomini di Andersson il copione di oggi è stato perfetto per gli Inglesi. In un primo tempo giocato a tratti con 10 effettivi negli ultimi 40 metri di campo, pur senza produrre occasioni chiaramente nette, l'Inghilterra ha trovato un gol su piazzato (fattore decisivo in generale in questo Mondiale, ma in particolare per Southgate e i suoi) proprio al 30esimo. Abbastanza avanti nel primo tempo per potersi permettere di rifiatare nel finale. La prima di una serie di grandi parate da parte di Pickford è stato il pedaggio da pagare per recuperare forze fondamentali ad inizio ripresa, quando i Tre Leoni hanno raddoppiato al termine di un quarto d'ora di grande pressione. Fondamentale a cavallo delle due frazioni Henderson: abile con la sua precisione nel lanciare il contropiede nella prima per tenere vivo l'attacco inglese con Sterling, decisivo con un gran numero di recuperi palla pressando in avanti durante le transizioni per mantenere la pressione sulla retroguardia avversaria. 
La Svezia è messa comunque in grande difficoltà da subito, l'approccio volto alla ricerca degli spazi alle spalle delle linee svedesi disordina lo schieramento passivo svedese e gli Inglesi riescono spesso ad attirare un avversario fuori posizione. 
Che poi la Svezia si renda pericolosa in contropiede è un potenziale campanello d'allarme, perché la macchinosità di Maguire ed il gap fisico pagato da Walker sono punti deboli che anche altre squadre potrebbero sfruttare. Per ora un grande Pickford ha evitato guai, ma la sensazione è che questo sia un difetto endemico nella formazione inglese, scotto da pagare per tutto quanto di buono si vede nell'altra metà campo. 
Ultimo pensiero per chi sfrutterà e ha sfruttato questo exploit della Svezia per rivalutare la nostra uscita ai playoff: oggi l'Inghilterra ci ha fatto vedere come, con un approccio posizionale simile al nostro, ma eseguito naturalmente perché i calciatori hanno interiorizzato dei principi chiari e hanno le qualità per metterli in pratica, la Svezia fosse un avversario che si poteva scardinare anche attraverso il loro teorico punto di forza: il gioco alto.

Russia - Croazia
Russia-Croazia è stata una bella partita a modo suo.
C’è da fare i complimenti a entrambe le squadre, perchè comunque sono arrivate a essere tra le prime otto selezioni mondiale portando avanti la propria idea di calcio, senza mai perdere la propria identità.
Entrambe avrebbero raggiunto la semifinale senza mai vincere nella fase a eliminazione diretta, anche se probabilmente questo dato sarebbe stato maggiormente sottolineato in caso di passaggio del turno russo.
Non mi farò mai piacere Cherchesov come allenatore, nè per lo stile da generale sapientone che porta in panchina, nè per la buona dose di fortuna che ha avuto nella scelta degli interpreti (ricordando come Cheryschev e Dzyuba dovevano avere un ruolo secondario nelle gerarchie iniziali, prima che l’infortunio di Dzagoev scombinasse le carte), ma occorre fargli i complimenti per l’apertura e intelligenza tattica con cui ha affrontato questa competizione, soprattutto nella scelta di un sistema di gioco che mai aveva provato nei mesi precedenti.
Paradossalmente, la Russia esce dal torneo nella miglior prestazione delle cinque partite disputate, mettendo sempre in campo quella coesione e quella prudenza che hanno contraddistinto il suo cammino, ma con una maggior propensione alla ripartenza e alla ricerca della profondità (e confermando di avere qualche problema nelle distanze quando il baricentro diventa più alto).
Da questa squadra, con il rimpianto di non aver visto praticamente mai Aleksey Miranchuk, ricaviamo principalmente due ottimi giocatori, attualmente in grado di reggere livelli più alti della Russian Premier League: Cheryshev, che dal punto di vista calcistico con il movimento russo c’entra come l’ananas sulla pizza (essendo cresciuto e formato in Spagna), e Zobnin, meraviglioso metronomo davanti alla difesa che abbina grande lavoro difensivo a più che discrete proprietà tecniche: è un classe 1994, gioca in patria, perchè non lo vuole nessuno?
La Croazia ha sbattuto contro una squadra organizzata, ma ha dimostrato ai colleghi spagnoli come sarebbe bastato poco per superare la densitá dei russi nella propria metà campo.
È stato sufficiente pareggiare il livello di fisicità nei metri decisivi per compensare alcune difficoltà di manovra negli ultimi trenta metri: del resto, nonostante una prova di assoluto livello di Modric in mezzo al campo, i calciatori decisivi si sono rivelati Mandzukic, Kramaric e Vida.
Il confronto con l’Inghilterra sarà spettacolare, ricco di duelli fisici in ogni posizione del campo tra due formazioni che propongono un calcio contemporaneo ed equilibrato tra le varie filosofie estremiste.
Le semifinali, per concludere, invocano la programmazione.
La Francia con il proprio sistema di formazione all’avanguardia, sorretto dall’Institut National du Football di Clairefontaine e da altri tredici centri di pre-formation (Pôles Espoirs) sparsi su tutto il territorio nazionale, oltre alle varie accademie private dei club.
Il Belgio, con un sistema nazionale simile a quello francese, con i centri federali di Bruxelles e Tubize a sommarsi alle otto accademie Topsport, in cui vengono svolti stage periodici per ragazzi di 14-18 anni e dalle quali sono passati sette degli elementi attualmente in Russia.
L’Inghilterra con i suoi straordinari risultati dell’ultimo biennio, ricordando come nelle due ultime stagioni le varie selezioni inglesi abbiano raggiunto questi risultati:
WC/U17: Campione
WC/U20: Campione
Euro/U19: Campione
Euro/U17: Vicecampione
Euro/U21: Semifinalista
WC/Senior: Semifinalista (per ora)
E infine la Croazia, un Paese piccolo, attanagliato dal punto di vista calcistico da problemi e incongruenze nazionaliste nella gestione della maggior parte dei club locali, ma che proprio sulla passione e sulla necessità di dover far affidamento fin da subito sui propri ragazzi costruisce il successo di questo Mondiale.
E poi ci siamo noi, ancora convinti che, di fronte alla mediocritá filosofica di questa competizione, avremmo tutto sommato portato a casa la pagnotta.
L’esclusione dal Mondiale non ha cambiato nulla nella mentalità nostra e in quella di chi avrebbe dovuto realmente cambiare la gestione e le politiche dell’intero movimento.
Non c’è nulla che vada bene nella nostra attuale situazione e ben vengano altre esclusioni se queste dovessero realmente portare a un cambiamento.
Perche l’unico modo di sfangarla per noi in questo Mondiale sarebbe stato quello di essere come la Russia e, con tutto il rispetto, io non voglio arrivare ai quarti di finale con Dzyuba, Glushakov e Kudryashov, ma con Kane, De Bruyne e Varane.

sabato 7 luglio 2018

Il Belgio elimina il Brasile e vola in semifinale

Il Belgio elimina l'ultima sudamericana rimasta e diventa un mondiale europeo, adesso in semifinale beccherà la cugina Francia.
Le premesse di questa partita erano abbastanza chiare, il Brasile aveva dimostrato una padronanza tattica, tecnica e mentale in crescendo e quindi era difficile aspettarsi un'eliminazione.
Probabilmente la loro trappola è stata l'eccessiva sicurezza dei propri mezzi e la scarsa abitudine a dover affrontare situazioni di difficoltà.
Mi sento di dire che la prematura eliminazione della selecào sia da attribuire all'aspetto psicologico.
E' impossibile ignorare l'intuizione del CT del Belgio Martinez, che conferma di essere un tecnico preparato, alzando la muscolarità della squadra con gli accorgimenti di Fellaini e Chadli, favorendo così anche la prestazione di De Bruyne avanzato di 20 metri e molto più a suo agio sulla trequarti.

Non posso nemmeno tralasciare l'assenza di Casemiro, sostituito da un elemento lontano anni luce dall'intelligenza tattica del madridista come Fernandinho.

La svolta della partita mi sento di dire che è stata l'autogol di Fernandinho, infatti dopo questa situazione il gruppo verdeoro si è sgretolato sotto i colpi di De Bruyne e compagni.
Il piano di Martinez riesce perfettamente perchè il Brasile perde la propria identità, esponendosi come mai aveva fatto in tutto il torneo alla velocità degli avversari in contropiede.
Sicuramente questo metodo di gioco è il più consono per i Belgian Red Devils: meno spazio da difendere alle spalle dei difensori, meno distanza tra i reparti, elementi disposti nella posizione più congeniale e con la possibilità di esaltare tutta la propria potenza e qualità con minor densità nella trequarti avversaria.
Esce la grande favorita per la vittoria, le due finaliste (come le quattro semifinaliste) saranno europee.

Meritano una citazione particolare Lukaku e Hazard, soprattutto quest'ultimo ha corso per 95 minuti, ha fatto il bello e il cattivo tempo contro Marcelo, Fernandinho, Miranda e Thiago Silva.
ha fatto praticamente reparto da solo negli ultimi 20 minuti.
Oggi aveva quel qualcosa di magico, quel tocco divino, che solo i grandi campioni hanno.
Insomma dare palla a lui è come metterla in una cassaforte con doppia serratura.
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venerdì 6 luglio 2018

Luka Doncic è già pronto per l'NBA?

Il titolo è ovviamente provocatorio, anche perchè probabilmente lo sloveno è il giocatore più pronto alla lega americana dell'intero draft, ma ci sono comunque diverse variabili da valutare come ad esempio la capacità di reggere le 82 partite della stagione, ma soprattutto ha già il fisico per reggere il confronto con le forti guardie americane?
Fino ad ora in Europa ha dimostrato cose di un altro pianeta, viene da una stagione perfetta in cui ha vinto tutto: Eurobasket, Eurolega, vittoria del campionato spagnolo, MVP del campionato spagnolo, MVP dell'Eurolega e miglior under 22 dell'Eurolega. Il predestinato ha vinto in una sola stagione quello che molti non vincono in tutta la carriera, ma ora è arrivato nella lega cestistica più famosa del mondo e dovrà sapersi affermare.

Doncic a soli 19 anni ha una capacità di lettura di gioco e di tenuta mentale che sembra quella di un veterano. E' molto bravo a capire quando è il caso di attaccare il ferro, prendersi un isolamento oppure scaricare per un compagno.
Si può tranquillamente dire che questo ragazzo abbia leadership, se vi ricordate l'europeo 2017 dove ha trascinato insieme a Dragic la Slovenia al titolo, in una squadra dove giocatori affermati non ne mancano, per non parlare del Real Madrid post infortunio di Llull, Laso gli ha affidato le chiavi della squadra e lui ha risposto presente prendendosi sempre le responsabilità nei momenti più importanti.

Inoltre Luka possiede delle ottime capacità di passaggio, non stiamo parlando di Spanoulis, ma se consideriamo che ha solamente 19 anni e soprattutto non è propriamente playmaker, spesso cerca dei passaggi ricercati e complicati a livello tecnico.

Il pezzo forte dell'arsenale dello sloveno è senza dubbio il Ball Handling, e non è proprio scontato per un giocatore della sua stazza. I cambi di mano e i crossover sono di una bellezza rara da vedere, questa capacità potrebbe essere messa ancora più in risalto dal fatto che giocherà con a fianco Dennis Smith jr. , uno che di spettacolo se ne intende.

Non tutto però è rosa e fiori, gli scout hanno tutti notato che il giocatore non ha un grandissimo atletismo, in effetti se andate a vedere le partite di Doncic in Europa non salta tantissimo e il suo primo passo non convince per niente oltreoceano.

Una cosa invece che abbiamo notato sicuramente tutti è la difesa, non difende bene sul perimetro e spesso è troppo mollo e lascia passare giocatori che potrebbe tranquillamente fermare.

I due problemi principali sono questi, ma essendo un giocatore giovanissimo è chiaro che lavorando costantemente sui difetti si possano ridurre quasi totalmente se non del tutto.

Secondo me Luka ha tutte le carte in regola per fare bene in America, d'altronde in un momento complicato del Real Madrid (l'infortunio di Llull) è stato capace di mettersi una squadra intera sulle spalle, e l'ha fatta salire sul gradino più alto d'Europa, ci sono pochissimi cestisti in grado di prendere per mano una squadra e portarla al titolo e per questo mi sento di dire tranquillamente che Doncic è un predestinato.
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mercoledì 4 luglio 2018

L'Inghilterra batte la Colombia ed è tra le migliori 8

L’Inghilterra per vincere ha bisogno di essere perfetta.
La squadra di Southgate ha fatto un passo indietro sotto il profilo dello sviluppo della manovra, soprattutto ha indebolito l’immagine, costruita nella prima fase, di gruppo con diverse soluzioni per poter colpire l’avversario: questo potrebbe rendere più complesso il quarto di finale contro la Svezia, squadra che ti costringe a passare attraverso movimenti disorganizzativi e velocità di giocata.
Probabilmente la consapevolezza di poter comunque risolvere in qualunque momento la partita per merito del proprio atletismo ha un po’ troppo compiaciuto gli inglesi, soprattutto in un match dove l’avversario ha risposto colpo su colpo nei vari duelli fisici intrapresi nel corso della gara.
La squadra in realtà ha risposto discretamente bene nelle situazioni di transizione negativa, uniche vere e proprie situazioni in cui si richiedeva attenzione difensiva. Del resto la Colombia, soprattutto a causa dell’assenza di James Rodriguez, unico e inimitabile leader tecnico dei Cafeteros, ha tagliato la testa al toro, agendo quasi esclusivamente in ripartenza e accettando con grande coraggio il continuo confronto muscolare con l’avversario. Questa strategia dà e toglie alla formazione di Pekerman, portando inizialmente molti cartellini gialli e contatti al limite del consentito (od oltre, come in occasione del vantaggio inglese) per limitare la principale arma degli inglesi, ma alla fin fine si rivela produttiva, non solo per la modalità con cui è nato il pareggio di Yerri Mina, ma anche perchè induce mentalmente l’avversario a non considerare soluzioni alternative e più produttive.
È mancata soprattutto la soluzione sulla trequarti per i Three Lions, con Dele Alli e Lingard, ma anche Sterling, inglobati e intimoriti da una partita maschia e oggettivamente bruttina.
La Colombia rappresenta comunque un rimpianto, perchè alla fin fine, per quanto falcidiata dall’assenza del suo calciatore più importante, ha dato l’impressione di poter sviluppare una manovra discretamente fluida con la presenza in campo di elementi abituati a trattare il pallone, come Uribe e Muriel: detto questo, occorre considerare come il momento di maggior slancio per la squadra di Pekerman sia coinciso con il periodo successivo all’insperato pareggio finale, per cui è facile che in realtà sia stato il lato mentale a fare veramente la differenza in questa fase, più che un discorso puramente tattico.
Sicuramente, la bilancia della fiducia e della consapevolezza di andare oltre ogni difficoltà pende dalla parte degli inglesi che, fin da bambini, hanno visto i propri beniamini perdere sistematicamente dal dischetto.
Saranno anche sciocchezze per nostalgici ma, in un gruppo che vive in isolamento da quasi un mese, una vittoria con queste premesse e con queste modalità potrebbe amplificare sensazioni molto positive.

martedì 3 luglio 2018

Belgio ai quarti col brivido

Il Belgio riesce ad andare oltre i propri enormi difetti e approda ai quarti di finale, nei quali non ci saranno fisicità o estemporaneità a cui potersi appellare.
Per chi mi ha seguito in questo Mondiale (e che ha letto la mia Guida a Russia 2018), la descrizione dei problemi dei Belgian Red Devils risulterà fin troppo prolissa.
Anche oggi, la squadra di Martinez si è rivelata tanto inconsistente sotto il profilo della manovra quanto impreparata nella transizione negativa, perlomeno fin quando la partita si è mantenuta con una parvenza di normalità.
A preannunciare la rete del primo vantaggio giapponese nella sua modalità ci ha pensato la storia. I problemi in posizionamento e gestione degli spazi da difendere si trascinano in questo gruppo fin dalla rete di Giaccherini a Euro 2016. In questo torneo, come si ricorderanno i miei irriducibili lettori, una situazione simile capitò nella partita d’esordio, quando il terzino panamense Murillo si ritrovò solo davanti a Courtois a causa di una pessima lettura di Vertoghen in occasione di un cambio di campo.
Il sistema tattico impostato da Martinez richiede grande attenzione e sacrificio a profili che sono poco propensi a dare continuità sotto questi aspetti, soprattutto dal punto di vista difensivo.
Accade così che la squadra sia particolarmente vulnerabile in ampiezza e nelle seconde palle, proprio perchè nè gli esterni nè i due mediani hanno la tenuta mentale per aiutare con puntualità in fase di non possesso.
È chiaro che questa squadra ieri aveva due grande punti di forza: abilità tecnica e, soprattutto, netta supremazia fisico-atletica.
Martinez punta inizialmente sul primo fattore, ma l’encomiabile lavoro in copertura e pressione e le idee chiare in fase di palleggio hanno reso il match molto più equilibrato di quanto si potesse pensare.
A situazione quasi compromessa, l’allenatore spagnolo ha avuto il merito di alzare notevolmente il livello fisico della formazione con gli ingressi di Fellaini e Chadli e, complici le indecisioni e l’incoscienza degli avversari, è riusciuto a riportare la partita dalla propria parte.
Inspiegabile la scelta di un elemento esperto come Honda a trenta secondi dai tempi supplementari. L’eccessiva ambizione sugli sviluppi dell’ultimo corner della partita (di un elemento comunque piuttosto soggetto a questo tipo di virtù) ha esposto la squadra al fatale contropiede finale.
In ogni caso, i migliori in campo devono essere tra i Samurai Blue. Osako è un centravanti incredibile. Nonostante caratteristiche fisiche puramente nella media, il centravanti del Werder vince nettamente ogni duello con il rispettivo marcatore, non sbagliando praticamente alcun appoggio. Non sarà un cecchino, ma come lavora lui senza palla veramente pochi al Mondo.
Grande prestazione anche per la coppia difensiva nipponica, soprattutto nella figura di Yoshida, dominante nei confronti di Lukaku.
È mancata nel finale l’intelligenza tattica di Shibasaki, mediano che in Spagna ha migliorato notevolmente anche il suo apporto alla manovra: la sua sostituzione ha pesato più del previsto.
Per quanto riguarda il Belgio, prestazione sottotono per gran parte della squadra.
A Lukaku va dato il merito per il velo in occasione del terzo e definitivo gol, ma per il resto si conferma tremendamente condizionato dalla pressione, incapace di concretizzare occasioni che, in contesti meno provanti, avrebbe sfruttato a occhi chiusi: per il momento, rimane un centravanti da 20/25 inutili gol.
De Bruyne rimane soffocato in un ruolo troppo cognitivamente impegnato per un giocatore così decisivo e determinante negli ultimi trenta metri.
Hazard si salva con l’assist al bacio per Fellaini, dopo aver alzato i toni nei giorni scorsi accostandosi a Messi e CR7.
Fellaini rimane nella considerazione che lo accompagna da un decennio: brutto, antipatico ma tremendamente utile in ogni situazione.
Arriva il Brasile: si salvi chi può.

lunedì 2 luglio 2018

Mondiali 2018: Russia e Croazia ai quarti



Russia - Spagna
Quando ho dovuto approcciare alla Russia nella mia Guida a Russia 2018, la locuzione che ho  utilizzato per riassumere la selezione di Cherchesov si è rivelata: “Tiri da fuori, calci piazzati e tante preghiere”.
Questo perchè ha basato l’intera preparazione mondiale sul contesto tattico visto oggi in campo, definito fondamentale da grande densità nella propria trequarti di campo e (sporadiche) ripartenze, voluto fondamentalmente a limitare i propri difetti sotto il profilo del dinamismo (soprattutto difensivo) e tecnico. 
È chiaro che quanto visto durante la fase a gironi ha un po’ sorpreso tutti perchè, di fronte a avversari complessivamente inferiori, la selezione russa, un po’ per merito del proprio CT un po’ per casistica fortunata, ha alzato tono tecnico e densità complessiva nella seconda metà di campo, sacrificando parte dell’integralismo difensivo che poco aveva prodotto nei mesi precedenti.
Oggi, contro il modello filosoficamente opposto, non vi erano altre possibilità che ritornare ad alzare le barricate, soprattutto contro un avversario che a Luglio non può avere quella brillantezza che un sistema di gioco di totale dominio del possesso richiede.
Appare difficile arrivare ad affermare o meno se le qualificazione russa ai quarti di finale sia meritata o meno.
Sicuramente, quando un successo arriva su queste basi, il demerito degli sconfitti è superiore al merito dei vincitori.
Il problema della Spagna non è il modello filosofico che porta avanti, perchè in condizioni ottimali dal punto di vista mentale e atletico non ci sará mai storia: quando a un superlativo livello tecnico si abbinano movimento senza palla, giro palla veloce e combinazioni rapide nessuna squadra è in grado di opporsi, nemmeno con il più antico catenaccio rocchiano. 
La Spagna continuerà a essere la principale scuola calcistica contemporanea e a esportare nel mondo concetti di gioco e addetti ai lavori.
Tuttavia, per evitare situazioni come quella odierna in cui alla fine ci si ritrova a doversi affidare al caso della roulette (oggi persino russa), serve cominciare a pensare perlomeno di avere un piano B a portata di mano. Se non si riesce a garantire velocità di manovra, se non si ha la forza mentale di trovare la giusta sincronia nei movimenti per disorganizzare l’avversario, bisogna avere i mezzi per mettere il confronto sullo stesso piano, aumentando il peso in area di rigore, il grado di duello fisico nei metri che contano, bypassando le difficoltà con maggior frequenza di conclusioni dai venti metri, perchè tanto la qualità dei singoli spagnoli sarà comunque superiore anche modificando temporaneamente lo stile di gioco.
Si parla di Roberto Martinez, attuale selezionatore del Belgio, come favorito per la panchina delle Furie Rosse (ovviamente a Mondiale concluso): l’allenatore spagnolo divenne famoso ai tempi del Wigan proprio per aver ideato un sistema di gioco che eludeva le difficoltá in fase di costruzione della squadra con una più alta frequenza di tiri dalla distanza, con risultati sorprendenti. Non posso affermare con certezza che sia proprio Martinez l’uomo giusto per il movimento iberico, ma aggiungere una virgola di versatilità in più a questa squadra potrebbe portare a una nuova età dell’oro per il calcio spagnolo, perchè è difficile trovare altre criticità a un movimento che ha solo da insegnare. 
Le uniche certezze dal risultato di oggi sono l’eliminazione di una delle favorite e la strada ancor più spianata verso la finale per l’Inghilterra...Croazia permettendo.
Croazia - Danimarca
È difficile trovare le parole adatte per descrivere questo tipo di partita.
Da un punto di vista tattico, la sfida tra Croazia e Danimarca é durata poco più di mezzora.
I due gol in avvio, pressochè speculari da un punto di vista della modalità con cui si sono sviluppati, cioè da indecisioni ed errori dei difendenti, hanno subito dato un significativo campanello d’allarme alle due squadre: massima attenzione alla fase di copertura e poi se caviamo qualcosa davanti tanto meglio.
È evidente che non ne scaturisca la partita più emozionante del torneo.
Se la Danimarca grossomodo mantiene la propria identità, fornendo anche delle discrete combinazioni nella metà campo avversaria, è soprattutto la Croazia che subisce un’involuzione nella fase di possesso, soprattutto nella capacità di scardinare l’organizzazione difensiva della Danimarca.
Del resto però, pensandoci bene, forse siamo stati un po’ troppo influenzati dal circo mediatico che accompagna il gruppo di Dalic. La selezione croata sicuramente abbina qualità tecnica a profondità di rosa, soprattutto dalla mediana in avanti, ma se andiamo ad analizzare con estrema lucidità il cammino in questo Mondiale vedremo che, alla fin fine, solamente la vittoria all’esordio ha pienamente convinto. Il roboante successo sull’Argentina è nato dalla papera di Caballero, che poi ha permesso l’apertura di ampie praterie da poter attaccare. Allo stesso modo, la vittoria sull’Islanda è arrivata dalla disperata necessità dell’avversario di trovare la rete della qualificazione. Ciò non significa che la Croazia sia una pessima squadra, tutt’altro, semplicemente potrebbe essere stata sopravvalutata sotto il profilo del gioco (e di conseguenza dipendere molto più di quello che si pensi dall’episodio o dalla giocata del singolo).
Difatti, anche il confronto contro i danesi si sarebbe potuto decidere proprio in virtù dell’episodio, ovvero dalla palla persa di Eriksen in mezzo al campo e dalla conseguente imbucata centrale di Modric per un involato Ante Rebic, non fosse stato per l’errore dal dischetto successivo.
È chiaro che la selezione croata susciti in molti simpatia ed empatico supporto: detto questo, a differenza di quanto visto nella partita precedente, qualunque esito dei calci di rigore avrebbe comunque eliminato ingiustamente l’una o l’altra contendente, perchè alla fine il confronto tra Croazia e Danimarca non ha avuto un vero e proprio padrone.
Certamente, la squadra di Dalic ha maggiori possibilità di arrivare fino a fondo, a maggior ragione di una parte di tabellone alla portata.

domenica 1 luglio 2018

Messi e Ronaldo a casa



Idee semplici e chiare possono fare la differenza in questo Mondiale.
La superiorità della Francia di quest’oggi è in un sistema di gioco perfettamente integrato nei principali pregi dei propri migliori interpreti.
É ormai un mese che sottolineiamo le difficoltà del gruppo francese in fase di costruzione, soprattutto in virtù di una cronica mancanza di un vero regista davanti alla difesa.
E allora Deschamps taglia la testa al toro: i Bleus si compattano nella propria metà campo e lasciano progressivamente il pallino del gioco agli avversari, affidandosi quasi esclusivamente alle ripartenze. Questo porta due grandi vantaggi: in primo luogo, l’esaltazione delle doti in accelerazione di Griezmann e Mbappè, pressochè incontenibili in campo aperto. In secondo luogo, la necessitá dell’Argentina di agire secondo un piano di gioco ben definito, fatto mai verificatosi in questo torneo. Sampaoli scombina nuovamente le carte nella formazione iniziale: Messi agisce da più o meno falso centravanti, con Di Maria e Pavon sugli esterni e Banega confermato in mezzo al campo, probabilmente per dare qualche alternativa in più posizione centrale in fase di possesso.
La prima sensazione è che il selezionatore argentino (decidete voi quale) volesse intelligentemente aspettare i francesi, costringendoli a esporre tutti i loro difetti in fase di possesso contro una difesa schierata. In realtà, ben presto, la situazione si capovolge e l’Argentina si ritrova a dover far la partita. Le produzioni offensive dell’Albiceleste si rivelano praticamente sempre rivolte verso le zone esterne del campo, escludendo Messi dalle giocate decisive per gran parte della partita: è chiaro che avere Di Maria in campo ti porta comunque a creare sempre qualche grattacapo nell’avversario, ma non è un’eresia definire riduttiva l’idea di gioco argentina, soprattutto in virtù dell’enorme potenziale offensivo a disposizione. Paradossalmente, la situazione migliora a giochi praticamente conclusi, quando l’ingresso di Aguero ha permesso al numero dieci argentino di arretrare il proprio raggio d’azione e incidere con maggior concretezza nell’azione.
Il contesto tattico argentino non solo è poco versatile, ma anche terribilmente esposto. 
I francesi avranno anche problemi ad accelerare la manovra quando si ritrovano dieci uomini dietro la palla, ma non hanno alcun problema ad eludere la pressione avversaria nella propria metà campo, soprattutto quando questa non é granchè convincente. 
Questo porta la linea difensiva argentina, già di per sè non eccellente, a essere esposta a terribili ripartenze degli avversari, derivate indifferentemente da immediate verticalizzazioni o da veloci transizioni palla a terra.
La sfida fra i singoli è vinta dai francesi in ogni reparto. Il duello tra i due terzini meno convincenti delle due squadre, Tagliafico e Pavard, è vinto dal secondo: entrambi sono piuttosto maldestri nei ripiegamenti, ma perlomeno il francese regala una perla in un momento fondamentale della gara.
Grandissima prova di Hernandez sulla fascia opposta, aggiungendo alla solita concreta prova difensiva anche qualità in fase propositiva. 
È chiaro che occorre registrare qualcosina a livello difensivo per Deschamps, visti i tre gol subiti. Tutte le reti segnati dagli argentini nascono da situazioni estemporanee, ma combaciano con momenti in cui effettivamente i francesi abbassano il proprio livello di tensione: Di Maria andava chiuso con più convinzione, Pavard deve prestare più attenzione nelle uscite da piazzato, Varane non deve incappare in errore nell’ambito di letture difensive così semplici come quelle da traversone dalla trequarti. 
Piccole cose che sono emerse in una partita già di per sè globalmente lacunosa, ma che potrebbero costare molto caro contro avversari ben più potenzialmente impostati e concreti, come quelli che la Francia si ritroverà ben presto a dover affrontare.

Crollano gli Dei, vincono i collettivi.
Dopo Messi, anche Cristiano Ronaldo saluta il Mondiale e rimane a quota zero nel proprio palmares, perlomeno fino al 2022 quando forse, conoscendolo, vorrà ancora esserci.
Non è stata una grande serata per CR7: le doppie linee uruguagie nell’ultima trequarti di campo e la costante tripla marcatura nei suoi confronto non hanno permesso di creare le condizioni giuste affichè il numero sette potesse incidere nella gara. Paradossalmente, determina molto di più nella gara l’ingresso di Ricardo Quaresma, che forse sarebbe servito prima in campo, soprattutto in un contesto tattico, come quello determinato dalla compattezza dell’avversario, in cui l’abilità nella giocata vale molto di più dell’integrazione di sistema.
È proprio per questo che, in una manovra piuttosto compassata come quella portoghese, gran parte delle giocate migliori passano dai piedi di Bernardo Silva, l’unico in grado di poter determinare qualcosa con la propria imprevedibilità in ogni zona del campo, e da chi si muove nelle sue vicinanze, come spesso accade a Ricardo Pereira in proiezione offensiva.
Di per sè, al Portogallo si può principalmente rimproverare una certa impreparazione sotto il profilo dello sviluppo della manovra, perché da un punto di vista difensivo la squadra, seppur soffrendo alcune situazioni in transizione, paga essenzialmente due errori dei singoli: il primo di Raphael Guerreiro, che sottovaluta le doti balistiche di Suarez perdendo di vista il movimento di Cavani alle proprie spalle, e il secondo principalmente di Rui Patricio, un po’ troppo stretto sul primo palo prima dello slancio, sebbene l’azione nasca dalla scorretta ribattuta di Pepe da un rinvio di Muslera.
Il Mondiale si conquista con attenzione, aiuto tra i reparti e pragmatismo. Ecco perchè bisogna fare attenzione alla Celeste.
Sebbene la prima cosa che salti all’occhio della selezione di Tabarez sia l’ermetismo, in realtà ciò che sorprende è soprattutto il dinamismo funzionale. L’Uruguay scende in campo con il più classico dei 4-4-2 solamente sulla carta, perché nel concreto il gruppo oscilla tra un 4-3-3 in fase di transizione offensiva, portando sugli esterni uno dei due centravanti e uno dei mediani in avanzamento (spesso e volentieri Bentancur), e un 4-5-1 in fase di contenimento, in cui il Matador Cavani si fa carico del faticoso compito di ripiegamento, spesso in aiuto del giovane Laxalt. In questo senso, l’esterno del Genoa ha finalmente cancellato ogni pregiudizio riguardo la sua presunta incapacità di occupare adeguatamente il ruolo di quarto di difesa: andava acquistato prima del Mondiale, perchè la prestazione di stasera ha duplicato il valore di mercato.
L’infortunio di Cavani (sebbene possa essere meno grave del previsto) potrebbe essere un macigno per Tabarez. Il Matador è molto più determinante di Suarez per la squadra perchè riesce ad abbinare sacrificio e concretezza sotto porta senza alcun particolare problema. Il sistema di gioco uruguagio è costruito attorno al contributo dell’attaccante del PSG e una sua eventuale assenza potrebbe rendere la mentalità di squadra molto più spostata verso il contenimento puro e semplice, piuttosto che all’oscillazione tra le due fasi.