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Juventus, CR7 prove di addio: Storia di un'amore mai decollato

 Rispetto, passione e voglia di vincere . Tre pensieri che accomunavano la Juventus e Cristiano Ronaldo tre anni orsono e che sono stati f...

sabato 31 marzo 2018

LeBron James supera Jordan

5 gennaio 2007.
Cleveland Cavaliers vs Milwaukee Bucks.
Tira 3/13 dal campo ma i Cavs vincono lo stesso.
A fine partita il misero, per i suoi standard, bottino è di 8 punti.
Nel 2007:
-In Cina è l’anno del maiale.
-Steve Jobs sul palco del Moscone Center di San Francisco presenta iPhone, il primo telefono totalmente touch della storia: l’oggetto più iconico della nostra epoca sarebbe stato disponibile a giugno in due versioni, da 4 e 8 GB di memoria.
-Microsoft lancia Windows Vista.
-Barack Obama, senatore degli Stati Uniti, annuncia a Springfield la sua candidatura per le presidenziali statunitensi del 2008.
-Nicolas Sarkozy è il nuovo presidente francese.
-George Bush viene in visita in Italia.
-A Lisbona, la Grande Muraglia Cinese, Il sito archeologico di Petra, il Cristo Redentore di Rio De Janeiro, la Città perduta di Machu Picchu, il complesso azteco di Chichen Itza, Il Colosseo di Roma e il tempio Taj Mahal in India, vengono elette le nuove Sette meraviglie del mondo.
-In Europa esce la playstation 3.
-Esce la versione inglese dell'ultimo libro della saga di Harry Potter.
-Il Nord Ovest del Giappone è colpito da violento terremoto. Le scosse provocano un incendio nella centrale nucleare più grande del mondo, quella di Kashiwazaki-Kariwa e uno dei reattori perde dell'acqua contenente materiali radioattivi.
-Ricardo Kakà vince il pallone d’oro, dopo di lui solo Cristiano Ronaldo e Lionel Messi.
-A fine estate esplode la crisi dei mutui subprime statunitensi, per molti paragonabile alla crisi del '29.
-Viene a mancare Luciano Pavarotti, uno dei più grandi tenori di sempre.
-Entra in servizio l'Airbus A380, l'aereo passeggeri più grande al mondo in grado di trasportare 853 persone.
11 anni.
4103 giorni.
Tanto è passato dall’ultima partita in cui non ha segnato almeno 10 punti.
Su 1136 partite giocate in carriera è andato in doppia cifra 1128 volte.
Ha fatto più partite da almeno 50 punti [11] che da meno di 10 [8].
8 partite in singola cifra in 15 stagioni.
Da ieri notte ha superato Michael Jordan per il numero di partite consecutive in doppia cifra in Regular Season, 867.
Leggasi 867.
È semplicemente una follia.
O forse no.
Non per lui quantomeno.
Non per Lebron Raymone James.
Primo quarto di partita, sei minuti alla fine.
Pelicans 15 - 19 Cavs.
Schiacciata a due mani, punti 10 e 11 della sua partita, 11 di 21 li ha fatti lui tanto per dire.
E poi più tardi tutti in piedi ad applaudire.
La palla nella sua mano in alto.
Conscio di aver fatto qualcosa di realmente grande.
Che la tua stella possa splendere per sempre.

venerdì 30 marzo 2018

Kemba Walker: Proved them wrong again

L'altra notte, Kemba Walker è diventato il Leader All Time per punti segnati con gli Charlotte Hornets. L’ha fatto in una partita persa contro i Cavaliers, è vero. Ma l’ha fatto nella sua seconda Casa, Charlotte. E l’ha fatto a modo suo: dimostrando a tutti che si sbagliavano.
“I just continue to prove them wrong”
“Them”. Loro. Ma non è vero. Non “loro”, ma “noi”.
Tutti noi, ci sbagliavamo.
Non è bastato riuscire ad andare ad un College di primissimo livello pur venendo dal Bronx, dove è molto più facile finire con della droga in mano che all’Università.
Non sono bastati i 130 punti nelle ultime 5 gare al College.
Non è bastato il terrificante step back con cui ha vinto il titolo con UConn, era troppo basso per essere un giocatore d’elìte in NBA.
Scelto alla #9, dietro Irving e Knight nel suo ruolo. Dietro Derrick Williams, Vesely, Biyombo. Preso da una squadra che già aveva una PG, lui ha semplicemente dimostrato che anche chi aveva riposto fiducia in lui non ne aveva riposta abbastanza. In quintetto al posto del titolare D.J. Augustin, infortunato ad inizio stagione. Quel posto da titolare che non doveva essere suo, ma che non ha mai lasciato.
Non è bastato neanche ricevere il primo contratto importante, 48 milioni per 4 anni, nel 2015, perchè c’era chi sosteneva non li meritasse.
Ma Kemba ha continuato, imperterrito, a dirci che sbagliavamo. Due volte All-Star da allora, nonostante quest’anno sia andato in seguito all’infortunio di Porzingis.
L’unico degli 8 scelti prima di lui ad andare all’All Star Game è stato Irving.
Prove them wrong.
Nonostante questo, ha fame. Vuole vincere, non si accontenta. Si è scusato del suo brutto inizio di stagione, addossandosi parte delle responsabilità del non raggiungimento dei playoff per la settima volta nei suoi nove anni di carriera.
Si è preso anche parte della colpa dell'altra notte. Avrebbe voluto giocare meglio. Avrebbe voluto vincere.
La scorsa notte, ancora una volta, ha voluto farci dire che non ce l’avrebbe fatta. Servivano cinque punti a 1 minuto dal termine.
Palla in mano. Passaggio a Batum, Howard blocca lontano dalla palla per fargli prendere una tripla, che entra. Ne mancano solo 2.
Il tempo è agli sgoccioli, ma Kemba non si arrende. Vuole il record, e lo vuole nella sua Casa cestistica.
Il record arriva. Layup vincente per il 118-105.
Per l'ennesima volta, ci siamo sbagliati.
E, finalmente, Kemba si è lasciato andare.
Ha pianto.
E che belle quelle lacrime, a fine partita. Che bella quell’intera città in piedi, ad applaudire. Che bello l’orgoglio della madre, che un po’ ride e un po’ piange, come solo le mamme sanno fare per i successi dei propri figli.
“I’m not supposed to be here. A lot of people from where I come from don’t make it. […] It’s been a long run, this is a huge accomplishment.”
Davvero, Kemba.
Un traguardo bellissimo, un record che potrebbe durare per moltissimi anni.
Un traguardo sottolineato dal Proprietario di Casa, Michael Jordan: “Becoming a Franchise’s all-time leading scorer is a big accomplishment and it’s a testament to his hard work, dedication and passion for the Game of basketball. His effort, leadership and commitment to our team and the city of Charlotte is second to none. I’m proud to have him on our team. Congratulations, Kemba!”.
Complimenti, Kemba.
Hai avuto ragione tu.
Ci sbagliavamo tutti, una volta di più.

giovedì 29 marzo 2018

Il Mondiale più equilibrato di sempre.


Il doppio turno amichevole non ha contribuito a creare particolari distanze nel gruppo delle qualificate alla prossima Coppa del Mondo: dietro a Brasile, Spagna e Germania, il caos.
Chi ne esce particolarmente rinforzato?
In primo luogo, la Tunisia. Quella che, sulla carta, rappresenta la selezione africana meno considerata, convince invece sotto il piano del gioco e dei risultati: dopo la netta vittoria sull'Iran, arriva anche il successo contro la temibile Costa Rica.
Maaloul, CT della Tunisia, è riuscito, con una serie di elementi di secondo profilo, a creare un gruppo versatile, entusiasta, compatto e trascinato dall'unico giocatore con sufficiente bagaglio tecnico per farsi carico di tale ruolo, ovvero quel Wahbi Khazri capace di tagliare a fette anche la difficile retroguardia costaricense, trovando la seconda rete consecutiva con la maglia della nazionale. E se Benalouane e Abdennour riuscissero a ritrovare una forma decente per Giugno, ci sarebbe ancor di più da divertirsi, in un girone, come quello dei tunisini, per nulla facile da affrontare (Belgio e Inghilterra, oltre a Panama).
La Tunisia, con queste due vittorie, raggiunge la tredicesima posizione nel Ranking FIFA: davanti a Inghilterra, Colombia, Croazia e Italia.
Molto bene anche il Marocco che, dopo la convincente prova contro la Serbia, non sbaglia l'appuntamento contro l'Uzbekistan, nonostante un pronunciato turnover: senza Benatia, Ziyech, Belhanda, Amrabat, Dirar, Boutaib e Boussoufa, sono sufficienti un lampo di El Kaabi (RD Berkane, campionato locale) e un colpo di testa di Da Costa (centrale difensivo dell'Istanbul BB) per liquidare gli asiatici che, solamente quattro giorni prima, erano riusciti a bloccare il Senegal.
Continua la marcia trionfale della Svizzera di Vladimir Petkovic che, nelle ultime quindici partite ufficiali, ha trovato la vittoria in tredici occasioni, perdendo solamente contro il Portogallo: impressionante. A farne le spese è la povera nazionale di Panama, vera cenerentola del prossimo torneo iridato: senza pietà gli elvetici, in rete con sei marcatori diversi.
Escono imbattute da questo periodo pre-Mondiale anche Colombia e Senegal, seppur con modalità differenti. In un colorato Craven Cottage è monologo colombiano: James Rodriguez, Carlos Bacca e, soprattutto, uno scatenato Miguel Borja ci provano in tutti i modi, ma sbattono contro la sorte e l'imprecisione. Protagonista soprattutto ques'ultimo, subentrato a Falcao nella ripresa: un palo e un rigore fallito fermano l'attaccante del Palmeiras. L'Australia? Poco giudicabile. Siamo solamente alla seconda partita di Bert Van Marwijk sulla panchina dei Socceroos e sarebbe ipocrita da parte nostra criticare ora questa squadra, considerando gli stravolgimenti tattici adottati dal selezionatore olandese: per il momento, positivo solamente il risultato, ma siamo solamente a Marzo.
Il Senegal centra il secondo pareggio consecutivo (0-0): dopo aver testato molte seconde linee contro l'Uzbekistan, il CT Cissè ci mostra (contro la Bosnia) quello che sarà l'atteggiamento tattico ai prossimi Mondiali: un classico 4-3-3, dove Saido Manè e Keita Baldè (assente) giocheranno da assoluti protagonisti. Per il momento, work in progress: la nuova Bosnia di Prosinecki gioca e crea decisamente di più, non trovando la rete solamente grazie alle parate di Diallo, portiere del Rennes, preferito allo spallino Gomis.
Tempo di risalite per diverse selezioni. L'Iran, uscito malconcio dalla trasferta tunisina, ritrova vittoria e fiducia contro l'Algeria (2-1). Carlos Queiroz ha perfettamente chiara la situazione: alla luce di quanto evidenziato in questi giorni, la squadra non fare una meno di una serie di elementi tecnici, soprattutto nel reparto offensivo. Rispetto alla sconfitta di Tunisi, la squadra propone una manovra decisamente più fluida, grazie alla presenza di Ansarifard, Taremi e Azmoun, tutti sacrificati nel match precedente. Difatti, sono proprio gli ultimi due a trovare le reti della vittoria.
Meritato successo anche per la Serbia che, dopo la brutta figura contro il Marocco, soddisfa pienamente il pubblico accorso a Londra per il match contro la Nigeria: assoluto dominio per i serbi, che creano almeno sette nitide chance prima di trovare la doppietta di Mitrovic, imprescindibile centravanti della selezione di Belgrado. Quella serba sarebbe una selezione veramente interessante, ricca di esperienza (soprattutto in difesa), fisicità e talento, non fosse per quei paurosi cali di tensione che saltuariamente portano a rovinose cadute nel vuoto: tutto questo nell'attesa del debutto di Milinkovic-Savic, hai detto niente.
Passo indietro della Nigeria: sia in Polonia (dove ha vinto per 0-1) sia in quest'ultimo confronto, la selezione di Rohr non ha particolarmente convinto sotto il profilo del gioco, preferendo un atteggiamento prudente ed attendista: avendo a disposizione Moses, Iwobi, Musa e Iheanacho, è lecito aspettarsi qualcosa di più.
Troppo Belgio per l'Arabia Saudita (4-0): a Bruxelles, commovente atteggiamento degli ospiti, che mantengono la propria propositiva identità nonostante l'evidente gap tecnico, con il risultato di regalare frequenti clamorose occasioni ai Red Devils belgi. Nessuna sorpresa dalla Russia, dove i padroni di casa continuano a subire tre gol a partita, questa volta per merito della Francia: segnali poco incoraggianti per la selezione ospitante. Finale al cardiopalma nella sfida tra Polonia e Corea del Sud: a Chorzów, seconda immeritata sconfitta per i coreani, che continuano a produrre un bellissimo calcio, ricco di triangolazioni, veloci scambi palla a terra e tagli sulla profondità, senza raccogliere granché. A livello di manovra e di occasioni prodotte non ci sarebbe partita, ma nel calcio vince chi concretizza e, per questo, bisogna dare merito a una cinica Polonia, aggrappata ai suoi migliori talenti: bellissima la rete di Zielinski in pieno recupero. Poco male per la selezione di Shin: registrata la linea difensiva, ci si potrà divertire in Russia, in un girone difficile ma non impossibile (Germania, Messico e Svezia).
Infine, le noti dolenti: se l’Egitto, nonostante le due sconfitte consecutive (ieri male in Grecia), ha saputo in precedenza tener testa al Portogallo, Giappone e Svezia continuano a non convincere. I nipponici giocano una brutta partita contro l'Ucraina, creando poche occasioni da gol e facendo un passo indietro rispetto a quanto prodotto qualche giorno prima contro il Mali. Il Giappone ha vinto solamente contro Nuova Zelanda, Cina e Corea del Nord negli ultimi dieci incontri, nei quali figura anche un pareggio contro Haiti (brutto presagio, chiedere a Prandelli). Per quanto riguarda gli svedesi, più li vedo giocare e più rimango convinto di come sarebbe bastato veramente poco all'Italia per superare il turno. La selezione di Andersson, dopo aver ceduto al Cile tra le mura amiche, esce con le ossa rotte anche dall'amichevole contro la Romania, giocata a Craiova: sconfitta sotto ogni punto di vista per la Svezia, incapace di trovare alcuna contromisura ai veloci attaccanti romeni. Attenzione alla Romania del nuovo CT Cosmin Contra: tante soluzioni offensive (Mitrita, Man, Chipchiu, Stanciu, Tucudean, Keseru) e discrete possibilità di miglioramento, potrebbe essere la sorpresa della prossima Nations League.

mercoledì 28 marzo 2018

Utah Jazz: Altro che tanking

22 gennaio. 
Atlanta batte Utah, 104-90.
I Jazz giocano una partita orrenda. Apatica. Rubio chiude con 1-8 dal campo, Ingles con 5 tiri presi, Gobert alla terza di rientro dai problemi al ginocchio segna 6 punti con 10 rimbalzi. Mitchell, termina con 13 punti, unico in doppia cifra del quintetto insieme a Favors, ma impiega 13 tiri per farlo. Oltre a questo, Atlanta termina con il 48% abbondante dal campo. Atlanta, non Houston, non Golden State. Atlanta.
Due giorni dopo, coach Snyder fa un discorso alla squadra. Anzi. Dice una sola parola: “Compete”.
Non basta giocare duro.
Non basta essere in campo, tanto per stare: bisogna desiderare la vittoria.
C’era una sensazione diffusa nello spogliatoio, ed era quella di essere una squadra migliore di quella che aveva preso paga da una delle squadre peggiori della stagione.
Ed era vero.
A Detroit la squadra tira fuori qualcosa che non era ancora riuscita a tirare fuori. Rubio viene tagliato sopra l’occhio, un brutto taglio. Rientra, assist per Ingles da rimessa da fondo, doppia doppia, tripla spezza equilibrio, vittoria.
“That game was a turning point”. Parole e musica di Snyder.
L’anno scorso Utah perdeva in Free Agency il proprio miglior giocatore senza ricevere nulla in cambio. Non c’era una scelta alta al draft che potesse far sperare in qualcosa. Si leggeva di tanking ovunque.
Poi, il lampo: Donovan Mitchell si è rivelato molto più forte di quanto probabilmente anche lui pensasse. Gobert è uno dei pochissimi giocatori NBA su cui puoi costruire un sistema difensivo, e i Jazz subiscono poco meno di 100 punti con lui in campo, poco più di 107 se lui è fuori.
Chris Mannix, di Yahoo Spors ha chiesto a Coach Quin se ci fosse stata una discussione fra il GM e lui sulla possibilità di tankare. “Mai. Non è così che facciamo le cose. Non mi è stato mai neanche lontanamente suggerito. Questa esperienza, ora, avere la possibilità di competere per uno spot nei playoff, ha del valore. Il risultato non è il solo riflesso di dove sei. L’unico scopo, per me, è migliorare. Non fare X vittorie, o Y vittorie in fila. Ma continuare a migliorare. Abbiamo iniziato l’anno con l’idea di migliorare. Stiamo continuando ad avere la stessa idea. Vogliamo migliorare”.
Quest’estate forse Utah avrà un po’ di flessibilità salariale, visto che Favors è in scadenza. Ma forse dovrà decidere di cosa fare in Free Agency dopo l’inizio dei Playoff, Playoff che erano sostanzialmente impensabili a ottobre.
In ogni caso, Utah ha trovato in Mitchell una giovanissima promessa. Forse una futura stella NBA. Gobert ha 25 anni. Rubio finalmente ha guadagnato un po’ di costanza, e sembra aver trovato finalmente casa, in NBA, con il coach adatto a farlo esprimere ad un livello molto più alto di quanto eravamo abituati forse dal suo anno da Rookie. Crowder, abbandonata la confusionaria Cleveland, in un sistema difensivo rodato, è tornato ad essere utilissimo. Sia lui che Ricky hanno 27 anni.
Lo Utah può, quasi legittimamente, sognare un bel futuro.
Il merito va a Joe, Rudy, Ricky, Derrick, Donovan.
Va a Jae ed Exum, fondamentali dalla panchina.
Perché il Jazz, quello vero, lo suonano gli interpreti eccezionali.
Ma il merito più grande va a Coach Quin Snyder.
Duke Ellington diceva che “il jazz è sempre stato simile al tipo d'uomo col quale non vorresti che tua figlia uscisse.”
E oggi, per merito di Coach Snyder, i Jazz sono simili al tipo di squadra con i quali non vorresti mai che la tua squadra finissero ai playoff. 

martedì 27 marzo 2018

Il tiro di Klay Thompson

Suo padre, Mychal Thompson, in 12 anni di carriera (tra Blazers, Spurs e Lakers) fece 1-12 in totale da oltre l’arco. Ci sta, era un’ala-forte. Il figlio Klay, in 6 anni di NBA, è già 26° nella storia per bombe totali infilate (1.534). Anche con una discreta percentuale (42,2%). Basta già questo per posizionare la “torcia-umana” tra i migliori tiratori di sempre.
Ma c’è di più. C’è di più dei numeri. C’è la sua tecnica, i suoi movimenti, il modo pulito e “silenzioso” con cui disintegra le retine di tutti i palazzetti della lega da quando i GSW lo hanno scelto con la #11 assoluta nel 2011. Fidatevi, si chiama storia.
La tecnica di tiro di Klay più la guardi e più pensi di poterla imitare. Stigmate dei migliori. In realtà, è di una complessità e un equilibrio straordinari. Nasce tutto dalle piccole cose. Dai piedi, posizionati scientificamente verso il canestro e a distanza sempre ampia tra loro sia in pull-up-jumper che in catch-and-shoot (molti giocatori invece riducono la distanza dei piedi quando tirano dal palleggio). Poi c’è il perfetto allineamento di spalle, gomiti e polsi, le cui giunture si muovo all’unisono già prima che i piedi si stacchino da terra per la sospensione. Infine, Klay mette il gomito della mano-forte in asse con il canestro per bilanciare la direzione del tiro (col gomito troppo verso l’esterno, il tiro tenderà a sinistra; col gomito verso l’interno, il contrario).
Il rilascio della palla, avviene con il palmo della mano del tiro (palmo sotto la palla rivolto verso l’alto, indice e medio a “V”) in linea con l’estremità della testa e appena sopra gli occhi. Mai troppo sopra, mai troppo sotto. Questo gli permette di dare forza al tiro, ma anche di trovare con delicatezza una migliore parabola. Una volta spezzato il polso, le dita sono rivolte verso terra (si dice in gergo con “le mani dentro il barattolo di biscotti”) per dare una corretta rotazione alla sfera.
Ma la magia vera di Klay è il movimento dei pedi in uscita dai blocchi. La regola è: prepararsi prima di avere la palla tra le mani. Così, tiri a velocità supersonica, soprattutto perché Thompson non fa scendere mai la palla sotto il girovita durante il caricamento. Quando esce da sinistra, punta il piede “interno” (il destro) e posiziona la spalla della mano-forte già verso il canestro, mentre si muove in direzione del passatore. Questo movimento gli permette di essere già nella posizione giusta non appena ruota il perno e riceve la sfera.
Quando esce da destra, invece, fa una cosa non banale. Credo la faccia solo lui: punta sempre il piede destro (quindi il piede esterno e non il piede interno, come vorrebbe la regola per uscire da un blocco). La spalla della mano-forte è rivolta verso il centrocampo. Una volta che riceve, fa leva sul piede destro (esterno) per portare il braccio della mano-forte in avanti e il piede sinistro indietro. Spesso, Klay Thompson prima di ricevere su un ribaltamento, carica già sulla gamba opposta rispetto alla direzione del passatore e in un unico movimento “prende e spara”. Incredibile. Bum, bum, bum. Di tiratori micidiali, la storia ne è piena. Di tiratori micidiali e così inappuntabili, un po’ meno. La torcia umana. Sulla parola “umana”, spesso ho avuto qualche dubbio.

lunedì 26 marzo 2018

La Rubrica del GM: San Antonio Spurs

Stavolta la faccio grossa e provo a mettermi al posto di uno dei migliori GM dell’universo: R.C. Buford. Cosa farei io oggi, diventassi GM dei San Antonio Spurs?
- Proverei a scambiare Mills. Per Kemba Walker.
- Bucata la prima, firmerei un top free agent in estate: DMC.
Tutto nasce, cresce o muore con la salute di Kawhi Leonard. Non potendo sapere NULLA della sua situazione, faccio un’ipotesi: Leonard entro l’anno sarà in grado di tornare a giocare sui suoi livelli. Non è un’ipotesi fondata su qualcosa di tangibile, ma da due, principali, fattori:
1) Non sono disposto a prendere in considerazione, emotivamente, alternative.
2) La ritengo la cosa più plausibile.
Quindi. Posto che la risposta “LeBron James” è applicabile a qualunque franchigia se lo possa permettere, ma dire sempre LeBron James mi annoia, cerchiamo di capirci qualcosa.
Gli Spurs sono in una situazione salariale interessante:
Aldridge prende 21-22-26-24 di qui a 4 anni.
Kawhi ha un 18-20, con Player Option di 21 per il terzo anno.
Pau prende 16 per altri due anni a parte questo.
Parker è in scadenza.
Mills va dai 10 ai 13 di qui a 4 anni
Green e Gay hanno PO per 18 milioni complessivi.
Murray, ad oggi playmaker titolare, guadagnerà a salire, fino ai 3 milioni (!!!) del 2020/21.
SlowMow Anderson ha una Qualyfing Offer di 3 mln, quindi se firma sarà fra due anni unrestricted free agent, se non firma è restricted free agent (per chi si fosse un attimo perso, se sei restricted vuol dire che gli spurs possono pareggiare qualsiasi offerta, se sei unrestricted vai dove ti porta il cuore o il portafogli, a seconda dei gusti).
Ah, ovviamente c’è anche Manu. Teoricamente, ancora un altro anno a 2 mln e mezzo.
Poi c’è qualche altra cosetta che economicamente sposta poco (ma ci sono anche buoni giocatori).
La situazione è BUONISSIMA. La chiave è la scadenza di Parker, ovviamente. L’unica pecca di una situazione spettacolare, sono i 32 milioni da dare a Pau Gasol per i prossimi DUE anni. Lì, forse un po’ troppo.
Tony verrà quasi certamente rifirmato, e verrà rifirmato a cifre mostruosamente più basse dei 15 milioni che prende ora (non mi stupirebbe uno stipendio simil-Manu, a 3 mln per uno-due anni)
Murray diventerà il play titolare, a meno di scambiare, come detto sopra, Mills per Kemba Walker.
Una follia, ma guadagnano la stessa cifra e Charlotte potrebbe decidere di tankare, buttare giù tutto e ricostruire. Anche perché non è che si sia costruito granchè, ad oggi, in quel di Charlotte. Fossi GM, un tentativo lo farei. Sarebbe uno sparo nel buio, ma la volontà di Kemba di potersi realmente giocare il titolo potrebbe far saltare il banco. Per la mera cronaca, la trade machine di Hollinger dà agli Spurs di qui a fine anno, 7 vittorie in più con Kemba. Non bruscoli.
Così non fosse, posto che scambiare Pau mi sembra molto molto molto complicato, rimane la firma in estate di un free agent di livello. Popovich attira sicuramente, lo spazio salariale c’è tutto. Se Leonard dimostrasse di essere sano, uno dei top3 free agent (George, LeBron, Cousins) potrebbe decidere di andare a giocare per un allenatore come Pop. Dei tre, vedo sostanzialmente impossibile PG, che secondo me alla fine rimarrà ad OKC, ragionevolmente complesso LeBron, plausibile DMC. Aldridge sarebbe il suo “nuovo Davis”, e con Leonard potrebbero dare l’assalto al titolo.
Come detto, dipende tutto dalla salute di Leonard. Se sano, però, gli Spurs potrebbero tornare a splendere molto molto presto. E attenzione, perchè ora che non splendono, sono sesti ad Ovest.


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venerdì 23 marzo 2018

Loose Cannons ep 2 Oklahoma City Thunder

In quasi ogni playoff NBA ci sono sorprese. Le “favorite” rischiano di soffrire tantissimo contro squadre meno quotate, almeno sulla carta. Dopo Phila ad Est, è il momento del primo Loose Cannon, della prima Mina Vagante, ad Ovest: è il momento di OKC.
“I was dreaming of bigger things”, deve aver pensato Sam Presti quando ha visto Andre Roberson interrompere a mezz’aria il tentativo di salto, la faccia contorta dal dolore.
I numeri parlano chiaro, parlano anche oltre l’amore spassionato che provo per Andre come giocatore. Uno di quei giocatori a volte (giustamente) sbeffeggiato per i suoi mattoni tirati dalla linea del tiro libero, ma come Andre in NBA ce ne sono pochi. Pochissimi. Per me, forse, nessuno. Il Def.Rating di OKC con lui in campo è semplicemente un’altra categoria, e il fatto di poter marcare uno qualunque dei Top Player di Houston e Golden State ne faceva l’arma perfetta per affrontare le due corazzate.
Ma gli infortuni, purtroppo, fanno parte della vita. E, purtroppo, li troviamo anche nel Gioco. OKC ha avuto un calo tecnico prima che psicologico dopo l’infortunio di Roberson. Ci si aspettava qualcosa entro la trade deadline, che non è arrivata. Poi, quasi in silenzio, Sam Presti ha firmato Corey Brewer. Oggettivamente non è che proprio mi fossi emozionato.
Eppure, nelle 5 giocate da Corey per OKC (sarebbero 6, ma la prima era arrivato da poche ore e la possiamo non contare, visti i 12 min giocati contro la media di 30 successiva), il Deff di OKC è il sesto della Lega.
La verità è che Corey è sempre stato etichettato come un eccellente contropiedista. E lo è per davvero. Ora, contropiedista forse è riduttivo, nel senso che Brewer ha dato a OKC esattamente quello di cui avevano bisogno. Difesa, e punti “facili”. Gli avversari sono stati tutto tranne che complessi con l'eccezione di Houston (e infatti la persa) e Phoenix-San Antonio-Sacramento-Atlanta. Non esattamente le migliori della classe. Ma le sensazioni sono sicuramente migliori rispetto ad una decina di giorni fa. Il problema era, e in questo senso rimane, la panchina. Io sono abbastanza certo che se Roberson non si fosse fatto male Brewer sarebbe arrivato lo stesso, proprio per portare un poco di punti col secondo quintetto. Ma, come detto, gli infortuni fanno parte del gioco.
OKC ha uno dei campi più caldi della Lega. Ha un Melo che DEVE provare a dimostrare di essere ancora un giocatore di altissimo livello, e lo deve provare a dimostrare quando conta davvero. Ha un Paul George che è uno dei più forti candidati dal DPOY, e che è tranquillamente in grado di metterne 30 dall’altra parte, se in giornata. Ha un Adams che ogni volta che lo vedo giocare mi dà l’impressione di essere un poco meglio della volta prima. Ha Brewer, alla grande occasione della vita. E poi c’è Russ. Odiato, amato, idolatrato, sbeffeggiato. C’è chi dice che è “solo numeri”, che tiene troppo la palla, e lui risponde con, probabilmente, il titolo di Assistman della Lega. C’è chi dice che con lui in squadra non si possa vincere, e chi quando ce l’ha in squadra non si capacita di come fosse silenziosa la Chesapeake Arena in quell’unica partita in cui Beast non giocava.
Poi ci sono tutti gli altri, gli avversari ad Ovest. Ad oggi sarebbe New Orleans, con il seed #5. Ah, già. Perché nonostante l’infortunio al giocatore che dava equilibrio al sistema, nonostante Ovest sia sempre più il Wild Wild West, nonostante sia considerata un Loose Cannon, ad oggi OKC avrebbe il fattore campo al primo turno. E, credo io, NESSUNO vuole andare a giocare gara 1 e gara 2 del primo turno in Oklahoma. Nessuno.

giovedì 22 marzo 2018

Heroes cap 1

Capitolo 1
“Oh we can be Heroes, just for one day”.
Il 23 settembre del 1977 il duca bianco David Bowie rilascia al pubblico questa canzone.
Una delle composizioni più famose al mondo, con al suo interno delle grandi verità. Colonna sonora di varie generazioni, e soprattutto una forza musicale motivante per atleti e non.
Perché tutti vorremmo essere eroi.
Nella storia dello sport c’è chi lo è diventato.
Il 30 ottobre del 1979, a Pasadena, è nato uno di questi.
Il suo nome è Rubén Douglas.
Non verrà ricordato per il titolo di miglior marcatore della lega greca con la maglia del Panionios.
Nemmeno per ciò che ha fatto al college, o tanto meno per l’ultimo anno della sua carriera all’Usak Sportif (squadra turca).
La nascita di questo eroe sportivo ha un luogo, una data, e un tempo preciso:
Forum di Assago, Milano
16 Giugno 2005
Gara 4 delle Finali Scudetto.
Fortitudo Bologna 2-1 AJ Milano dice la serie
AJ 65-63 Fortitudo
Douglas va in lunetta quando mancano 30.59 secondi alla fine.
Due tiri liberi per agguantare il pareggio.
Possiamo solo immaginare quanto sia forte la pressione.
Infatti sbaglia il primo libero.
Segna il secondo.
65-64
Palla a Djordjevic, gioca con il cronometro.
Ma non può chiudere con la palla in mano.
Difesa stupenda di Basile.
McCoullogh prova a liberarsi per il tiro.
Alla fine Sasha Djordjevic serve Calabria, perso completamente proprio da Douglas.
Tripla sul ferro.
Rimbalzo di Basile.
5 secondi.
Milano difende stupendamente sulla transizione della squadra di Repesa.
Singleton manda Basile sul lato sinistro, Blair gli si para davanti per impedire il più possibile il suo avanzamento e salta per bloccare l’eventuale passaggio.
Basile trova Douglas.
Tiro.
Canestro.
Gigi Lamonica dice che il tiro non vale, ma punta subito verso bordocampo per controllare l’instant replay.
Tutto il Forum sponda milanese dice che non vale.
La panchina scuote le braccia.
Basile prega.
Bologna prega.
Douglas ha un asciugamano in testa.
Non sapremo mai i suoi pensieri.
“Se avessi segnato quel tiro libero, almeno avremmo pareggiato”.
“Se avessi seguito Calabria avrei potuto rubargli palla per partire in contropiede”.
Tutto era un grande “SE”.
Istanti in cui si è in bilico tra la beffa e la gloria.
Repesa si piazza di fronte agli arbitri che guardano le immagini.
Tutti i dirigenti e i giornalisti si accalcano sui monitor.
Gli arbitri sono costretti a mandare via tutti.
La tensione la può capire solo chi l’ha vissuta.
Chi era lì.
Ansia nelle case.
Terrore e preghiera in campo.
Paternicò si sposta dal monitor.
Alza le mani. Mostra le tre dita.
Il canestro è valido.
La Fortitudo vince 67-65
È Scudetto.
A 0.7 secondi dalla sirena è nato un eroe.
Perché puoi vincere la classifica marcatori, essere MVP di una gara di finale, avere buone medie in carriera, ma rischi di passare inosservato per sempre.
Segna un solo tiro allo scadere e, per un giorno o forse per sempre, il tuo nome sarà scolpito nella storia e nel cuore della gente.
TU SARAI UN EROE.

mercoledì 21 marzo 2018

Jamie Vardy, crederci sempre

JAMIE VARDY, CREDERCI SEMPRE.
A 16 anni lavorava in fabbrica, guadagnando 30 sterline alla settimana.
Ah, era troppo basso e quindi fu scartato a tutti i provini, compreso quello allo Sheffield Wednesday.
Quello è il punto più basso della carriera, Jamie pensa di smettere : quella era la squadra che tifava ed essere rifiutato anche da loro gli aveva causato un forte choc, per 8 mesi non tocca più un pallone..
Per uno scherzo del destino, dopo quel rifiuto in pochi mesi cresce di 20 cm e così al college, pur mantenendo il lavoro in fabbrica, riesce ad essere ingaggiato allo Stocksbridge con cui segnerà 66 gol in 3 stagioni.
Ma il carattere del ragazzo resta difficile, anche se di sani princìpi : nel 2007 viene coinvolto in una rissa in un pub.
Jamie aveva cercato di difendere un amico per orgoglio perché era stato preso in giro per via del suo apparecchio acustico.
Risultato ? Condanna per violenza privata.
Per 6 mesi non può uscire dalle 6 alle 18 e per evitare che si muovesse da casa le autorità inglesi lo costrinsero ad indossare una cavigliera elettronica.
From zero to hero.
Quante volte abbiamo sentito questa frase, ma nel caso di Jamie la definizione è più che appropriata.
Perchè se nel 2016 il Leicester si laurea campione d'Inghilterra il merito va anche a quell'attaccante che faceva l'operaio e che poi è diventato capocannoniere della Premier, vincendola pure.
Non importa cosa Vardy ha fatto da quel momento in poi, l'importante è averci creduto.
Sempre.
Proprio come ha fatto Jamie, campione di vita ( e di Premier ).

martedì 20 marzo 2018

Marco Belinelli, una vita da tiratore

Si parla sempre tanto degli azzurri che hanno osato solcare le acque oceaniche per cimentarsi nella lega statunitense, e noi oggi vogliamo porre la nostra attenzione su un ragazzo che è stato molto bravo a ritagliarsi un ruolo discreto in un campionato pieno di talenti ben superiori al suo: stiamo parlando di Marco Belinelli.
Nato a San Giovanni in Persiceto il 25 Marzo del 1986, Belinelli approda in NBA al Draft del 2007, quando viene scelto dai Golden State Warriors (una squadra ben diversa da quella che siamo abituati a vedere oggi) con la 18° chiamata assoluta.
L’esordio è positivo: durante la prima gara in Summer League Marco segna 37 punti, lasciando scorgere un bagaglio tecnico offensivo di tutto rispetto. Ma è solo Summer League, e col passare del tempo, però, i limiti del ragazzo cominciano a palesarsi. Il ragazzo non si distingue certo per atletismo ed attitudini difensive, ed i Warriors decidono di liberarsene dopo sole due stagioni.
Da lì Marco cambia diverse casacche, passando per una stagione a Toronto, due a New Orleans e una a Chicago prima di approdare, nel 2013, alla corte di coach Popovich, con cui rimarrà per i due anni successivi. In Texas Belinelli si insignisce del premio più ambito da un professionista, l’anello NBA, dando tralaltro un contributo determinante dalla panchina. Nello stesso biennio il ragazzo vanta una vittoria al Three-point Contest dell’All-Star Game 2014. I due anni a San Antonio sono probabilmente i migliori della sua carriera: un Win Share di 5.9 nella prima stagione con la jersey degli Spurs da l’idea di quanto il ragazzo fosse importante per la second unit del sistema Popovich,
Dopo la piacevole parentesi di San Antonio (che non ha potuto rinnovare il suo contratto per questioni di salary cap), però, ricomincia il valzer delle casacche: prima a Sacramento e poi a Charlotte, dove intanto si erano ristabiliti gli Hornets, per poi approdare durante l’estate agli Hawks: tutte franchigie in rebuilding. Durante la sessione di mercato di Febbraio è stato tagliato dagli Hawks che hanno finito di smantellare il roster, e qui comincia il nostro racconto.
Dopo essere stato tagliato da Atlanta, infatti, l’ormai 31enne Belinelli ha scelto una sfida molto interessante: i Philadelphia 76ers. Si, i Sixers del “Trust The Process”, i Sixers che fino a due-tre stagioni fa erano sulla bocca di tanti come la Cenerentola della NBA.
Marco ha scelto, da Free Agent, di andare a dare esperienza ad un roster giovanissimo ed interessante, pieno di talenti rampanti come Ben Simmons e Joel Embiid. Durante la sessione di mercato da poco conclusa, infatti, la dirigenza di Philadelphia era sul mercato per cercare di aggiungere uomini d’esperienza in vista della post season, alla quale potrebbero prendere parte dopo diverse stagioni di digiuno.
Detto fatto: Belinelli è, secondo chi scrive, il fit perfetto per la panchina dei 76ers. La guardia azzurra sta giocando una delle sue migliori stagioni a livello statistico: nonostante l’età avanzi e questo cominci a farsi sentire, i numeri sono pressapoco quelli delle stagioni trascorse agli Spurs, periodo che possiamo definire per distacco il migliore della sua carriera.
Ma cosa è ancora in grado di dare il numero #18 alla causa Sixers? Marco ha un grande merito: ha saputo, negli anni, ritagliarsi un ruolo tutto suo, una dimensione che gli ha permesso di dire la sua persino con un fisico “normale” e con un minutaggio limitato, un’identità che è perdurata nonostante lo scorrere inesorabile delle stagioni. Tiratore mortifero, raramente fuori dalle righe, buon interprete dei giochi a due se coinvolto come portatore di palla.
Sicuramente la panchina di coach Brett Brown si attrezza meglio in vista dei playoff, forse completando il tanto decantato “Process” e riaffermandosi come una delle franchigie con più potenziale a roster nella Eastern Conference. Belinelli, oltre a tanta esperienza soprattutto in ottica playoff, aggiunge un certo potenziale offensivo ad una second unit quanto mai giovane ed inesperta. La sua capacità di andare “on-fire” anche con minutaggi molto limitati sarà oro colato per lo staff di Philadelphia, che dà oltretutto un po’ di profondità ad un reparto guardie ancora orfano della prima scelta assoluta al Draft 2018 Markelle Fultz.
D’altro canto questa è un’occasione irripetibile per la guardia azzurra: ritornare a sperare nei Playoff con una squadra giovane che vive in un ambiente finalmente carico di entusiasmo e positività. A 31 anni compiuti, Belinelli può sognare una nuova apparizione ai playoff, magari da protagonista della second unit, proprio come successe a San Antonio, anche se pare lampante che i due roster non siano paragonabili per diversi motivi. Dove arriveranno questi Sixers non possiamo saperlo, quel che è certo è che questa squadra diverte e si diverte e non ha paura di nessuno.

domenica 18 marzo 2018

Pronostico quarti di finale di Europa League

La questione si fa spinosa.
L'Europa League avanza pari passo con i miei dubbi: è davvero difficile, a questo punto della competizione, prendere una posizione netta verso l'una o l'altra squadra.
L'urna di Nyon però va sempre rispettata e analizzata, in quanto, proprio come un serial killer, lascia sempre qualche traccia per essere scoperta.
L'accoppiamento più sbilanciato è chiaramente quello di Arsenal e CSKA Mosca. I russi sono reduci dall'impronosticabile impresa di Lione: merito del tecnico Goncharenko, astuto nel togliere qualsiasi punto di riferimento alla giovane retroguardia francese, pur mantenendo il consueto atteggiamento prudente e accorto. Tuttavia, difficilmente basterà questo per sopravanzare la squadra di Wenger. Il confronto col Milan ha messo in evidenza pregi e difetti degli inglesi, mai così netti e lampanti come in questa stagione: lasciare campo, palleggio e supremazia territoriale all'Arsenal equivale a morte sicura, al contrario, avanzare il baricentro di venti metri e aggredire coralmente il portatore di palla dei Gunners, mantenendo un ritmo elevato per quanto possibile, può mettere in seria difficoltà la squadra inglese. Tutto ciò mi sembra abbastanza in antitesi con le caratteristiche dei russi, abituati a ritmi bassi e a fare densità nella propria metà campo per poi ripartire.
Arsenal 70% - CSKA 30%.
L'Atletico Madrid, assoluto favorito per la vittoria finale, gode di un torneo a lineare e graduale crescita di difficoltà: dopo il FC Copenaghen si è fatto un saltino in avanti con la Lokomotiv Mosca e, allo stesso modo, si sale di un gradino con lo Sporting Lisbona. Lo Sporting ha tutto per essere considerata una squadra di dimensione europea: profondità di rosa, soluzioni offensive, eclettismo tattico. Può metterti in difficoltà su palla in attiva, può mantenere alto il baricentro grazie all'ottimo lavoro della linea difensiva (nella quale il nostro Piccini viene considerato, a ragione, come imprescindibile), può colpire dai venticinque metri con Bryan Ruiz, con l'inserimento di Bruno Fernandes o con la ripartenza degli esterni (i velocissimi Gelson Martins e Acuna), senza dimenticare i gol di Bas Dost, Freddy Montero e Seydou Doumbia. Tuttavia, la squadra di Jorge Jesus ha dimostrato di avere delle grandi fasi di stanca: molto più spesso di quanto non debba accadere, infatti, il gruppo tende ad adagiarsi e a faticare ad entrare in partita, soprattutto nelle prime fasi del match. E' successo recentemente ad Astana e a Plzen, riuscendo a sopravanzare comunque per evidente superiorità tecnica nei singoli. In questo caso, però, non sarà sufficiente: Jorge Jesus dovrà lasciare campo all'Atletico, mantenendo la squadra compatta e soprattutto concentrata, cercando di concedere poco spazio a Griezmann e Correa e di infastidire Diego Costa con l'esperienza di Mathieu, per poi ripartire velocemente con i brevilinei: sicuramente più adatti in questo contesto Doumbia o Montero rispetto a Bas Dost.
In ogni caso, parte sicuramente avanti la squadra di Simeone.
Atletico Madrid 60% - Sporting Lisbona 40%.
Di sicuro c'è che il RB Lipsia può battere chiunque: lo ha dimostrato contro il Napoli e contro lo Zenit. La squadra di Hasenhuttl, contro i russi, non ha di certo subito la qualificazione, dominando la sfida casalinga d'andata (solamente una magia balistica di Criscito diede speranza alla formazione di Mancini) e legittimando la propria superiorità in quella di ritorno, nella quale ha anche fallito un calcio di rigore. I tedeschi sono abituati a giocare a calcio e a farlo il più vicino possibile alla porta avversaria, di modo tale da valorizzare la grande potenzialità offensiva a disposizione (centralmente con Keita, sugli esterni con Augustin, Bruma e Poulsen, sottoporta con Werner): questa caratteristica ha sicuramente agevolato il compito contro la remissività dello Zenit, mentre poteva dimostrarsi un'arma a doppio taglio contro il Napoli (e per poco non si è rivelato tale). Il prossimo avversario, ovvero il Marsiglia di Rudy Garcia, è molto simile ai tedeschi per certi aspetti, sebbene l'ex tecnico dell'AS Roma preferisca di gran lunga sviluppare la manovra sugli esterni: Luiz Gustavo e Maxime Lopez, interni di centrocampo, sono relegati a un ruolo di copertura e smistamento, mentre Payet e Thauvin vengono eletti a vero fulcro del gioco. Tutte le azioni offensive passano attraverso le loro giocate, spesso rivolte al rientro sul proprio piede forte o a imbeccare la coppia d'attacco (Ocampos-Germain). E' chiaro che ciò costituisce da una parte un limite, perchè le soluzioni tattiche sono più o meno quelle e quindi sei più facilmente leggibile, ma dall'altra un'evidenza, avendo dimostrato di avere una qualità talmente alta da poter andare oltre la previdibilità.
Tuttavia, credo che il Lipsia abbia qualcosa in più.
RB Lipsia 55% - Olympique Marsiglia 45%.
Poteva andare meglio, poteva andare peggio. Il tifoso della Lazio deve prendere con le pinze ciò che è scaturito dall'urna di Nyon: il RB Salisburgo non è nè il FCSB nè la Dynamo Kiev, con tutte le difficoltà che comunque hanno portato. La squadra di Rose ha numeri impressionanti in stagione: 19 partite consecutive d'imbattibilità nelle competizioni europee (ultima sconfitta lo 0-1 vs il Nizza del 20 Ottobre 2016, altri tre risultati utili e stabilisce il recordo ASSOLUTO in campo europeo) e UNA sola sconfitta stagionale (il 27 Agosto 2017 vs Sturm Graz). Differentemente dal Lipsia, il Salisburgo compensa individualità di sicuro avvenire, ma ancora in corso di sviluppo, con una trama di gioco versatile, mutevole e difficilmente leggibile: preferibilmente viene schierato un 4-3-1-2 o un 4-4-2, ma in alcuni casi si è passati anche al 3-5-2 (come nello 0-0 della fase a gironi contro il Marsiglia). Questa è una squadra entra in campo per dominare gioco e possesso, chiave che ha permesso sia di controllare agevolmente il proprio campionato sia di vincere il proprio girone di UEL, per poi demolire rispettivamente Real Sociedad e BVB. Le individualità contano fino a un certo punto, ma non mancano: in ambito europeo, il centravanti Dabbur si è rivelato fattore decisivo soprattutto durante la fase a gironi, mentre il coreano Hwang, veloce attaccante classe 1996, il giapponese Minamino (classe 1995) e il veterano (per così dire, essendo un classe 1993) Valon Berisha hanno fatto la differenza durante l'eliminazione diretta, senza dimenticare il lavoro in mezzo al campo di quei meravigliosi motorini che prendono il nome di Samassekou (1996) e Haidara (1998). La Lazio dovrà affrontare il doppio appuntamento con il massimo rispetto possibile, soprattutto in una stagione in cui ha sofferto non poco nelle occasioni in cui si è ritrovata costretta a lasciare spazio alle proprie spalle. La sensazione è che si tratti di una doppia sfida da rendere il più bloccata e lenta possibile, sulle ali di quella che è stata quella contro la Juventus, per poi andare a risolverla grazie all'evidente maggiore fisicità a disposizione dei biancocelesti: Lukaku, Marusic, Parolo, Milinkovic Savic e i centrali difensivi dovranno avere una maggiore importanza negli episodi rispetto a Immobile e Luis Alberto, perchè se ci mettiamo a giocare a calcio, vincono loro.
Squalificato all'andata il coreano Hwang.
Lazio 55% - RB Salisburgo 45%.

sabato 17 marzo 2018

Pronostico quarti di finale Champions League

Il sorteggio è tutto.
Mondiali, Europei, Champions ed Europa League sono state vinte negli anni grazie anche a una buona dose di fortuna nel tabellone o nel sorteggio, soprattutto per quella è la prima fase a eliminazione diretta (ottavi, quarti di finale), in cui è fondamentale più essere spinto che spingere verso le partite che contano.
In competizioni in cui sono gli episodi a fare la differenza, è fondamentale incontrare il meno possibile (o il più avanti possibile) quei campioni, o peggio fuoriclasse, che gli episodi se li mangiano a colazione.
Barça e Real Madrid andavano evitate.
Tralasciando (solamente per un attimo) la straordinaria forza delle due spagnole, è il contesto a fare la differenza: entrambe hanno tutti i motivi per mettere anima e corpo nella massima competizione europea, avendo già rispettivamente vinto e perso il campionato d'appartenenza.
La Roma esce virtualmente dalla competizione, perlomeno in quello che è il buon senso del "sulla carta": la situazione è radicalmente cambiata rispetto solamente a due ore fa, quando addirittura si paventavano prospettive di semifinale. Allo stato attuale, si dovrà andare a Barcellona con il solo scopo di prendere meno di due gol e segnarne almeno uno, mantenendo così viva la qualificazione in vista della gara di ritorno. E' chiaro che è più facile a dirsi che a farsi: il Barcellona, oltre all'evidente superiorità offensiva, è soprattutto una squadra terribilmente solida, mai come in quest'annata: solamente tredici gol subiti in 28 partite di Liga spagnola, nessuna sconfitta a referto e, udite udite, solamente DUE gol subiti in Champions League.
E' chiaro che, a questo punto, la priorità dei giallorossi potrebbe diventare quella del quarto posto in campionato, fondamentale per le prospettive di crescita della società romana.
La Juventus ha chiaramente più possibilità di passaggio del turno, sebbene l'esito del sorteggio sia comunque sfibrante. Le priorità dei madrileni coincidono perfettamente nella competizione europea: in caso di eliminazione, tutti in vacanza.
E' chiaro che, delle tre diverse squadre con la camiseta blanca affrontate nelle ultime quattro stagioni, questa è decisamente quella più superabile, ancor di più rispetto a quella battuta dal gol di Morata: lo dicono i numeri, soprattutto quelli difensivi, tutt'altro che confortanti per gli uomini di Zidane. Appare evidente, in ogni caso, che ad Allegri si chiede quel passo in più per entrare definitivamente nell'elitè culturale dei tecnici mondiali: questa è decisamente un confronto da prendere di petto, perché, se con il Tottenham l'atteggiamento remissivo poteva costare a caro prezzo, in questo caso non ci saranno ulteriori sconti. La Juve è una squadra terribile da affrontare in doppia gara, sia chiaro, e non parte certo sconfitta: ma difendere bene, non farsi sorprendere e sperare che qualcuno la risolva con un'accerelazione non basterà contro i detentori del trofeo.
Per quanto la qualificazione si decida in due gare, è la prima partita ad avere un peso specifico superiore: la Juventus giocherà in casa, cercando di non commettere gli stessi errori della sfida col Tottenham.
L'aria buona tira prepotentemente verso Monaco di Baviera: il Bayern, dopo un facile sorteggio da SECONDA classificata nel proprio girone (Besiktas), gode ancora una volta della benevolenza della Dea Bendata e pesca il Siviglia di Vincenzo Montella: tutt'altro che una squadra senza idee o principi di gioco, ma di almeno un livello inferiore rispetto a quello dimostrato dai bavaresi sotto la gestione Heynckes, singolarmente e collettivamente.
Il Bayern storicamente trova più facilità nel giocare la prima in casa, destabilizzando l'avversario per poi chiudere subito la pratica: in questo caso si comincia in Andalusia e Montella ha già dimostrato di affrontare con intelligenza il doppio confronto. E' chiaro che i bavaresi hanno tutt'altre caratteristiche (e problemi) rispetto agli avversari finora affrontati e, a mio parere, non avranno problemi a segnare quella rete decisiva nell'apparecchiare una più agevole sfida di ritorno all'Allianz Arena.
Infine, il Manchester City trova l'unica squadra finora in grado di mettere seriamente in difficoltà il proprio credo. Il Liverpool è una squadra di terribili ragazzotti che può farti passare un bruttissimo quarto d'ora. E' evidente che, tralasciando il match giocato all'Etihad a Settembre (5-0 per il City, condizionato da una prematura espulsione di Manè), anche il confronto vinto dai Reds a Gennaio non lascia grandi prospettive alla squadra di Klopp, nonostante la vittoria finale (4-3): a pesare è sempre quella coperta corta del sistema di gioco impostato dal tedesco, mai come in questa stagione tirata verso la metà campo avversaria, con inevitabili ripercussioni difensive. Per caratteristiche, sarebbe stato più interessante (per noi appassionati) giocare la gara d'andata a campi invertiti (nella realtà si giocherà la prima ad Anfield), con Salah, Manè e Firmino liberi di sprigionare la propria esplosività senza tante preoccupazioni. Allo stato attuale, il rischio per Klopp è una grande vittoria di Pirro, con quel vecchio volpone di Guardiola pronto a limitare i danni per poi legittimare la qualificazione nella sfida di ritorno.
Anzi, ripensandoci, è probabilmente ciò che accadrà.
Pronostico veloce: Barcellona, Juventus, Bayern, Manchester City.