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Juventus, CR7 prove di addio: Storia di un'amore mai decollato

 Rispetto, passione e voglia di vincere . Tre pensieri che accomunavano la Juventus e Cristiano Ronaldo tre anni orsono e che sono stati f...

giovedì 30 novembre 2017

Il Milan di Gattuso con il 3-4-3: Scatta la rimonta?

Gennaro Gattuso è da lunedì allenatore del Milan, ma già ha parlato tanto e ha voluto far intendere che ha intenzione di schierare il 3-4-3.
La formazione dovrebbe essere questa: Donnarumma in porta, Romagnoli, Bonucci, Zapata in difesa, a centrocampo Abate a destra, Rodriguez a sinistra e Biglia e Kessie al centro, mentre il tridente d'attacco dovrebbe essere composto da Suso, Bonaventura e Kalinic. Vedendo questa formazione il primo dubbio giunge dall'attaccante, Kalinic fin qui ha fatto molto male, e dal punto di vista delle prestazioni probabilmente fin qui merita il posto di più Cutrone. oltre a questo ci sono altre scelte che mi lasciano perplesso, ad esempio non riesco a capire perchè gli allenatori continuino a insistere con Zapata che non fa una partita decorosa da tempo immemore, magari cercano di equilibrare la difesa, ma sicuramente con Zapata si corre il rischio di prendere qualche gol di troppo. Un'altra cosa che mi stupisce tanto è il minutaggio concesso fino ad ora da Montella a Locatelli, certo sicuramente quest'anno ci sono Biglia e Kessie, ma considerate le poche alternative qualche possibilità in più al giovane centrocampista poteva essere data. Con Gattuso mi aspetto che possa giocare di più, uno che invece troverà meno spazio con questo modulo è sicuramente Calhanoglu, per cui se Gattuso dovesse fare bene e quindi essere confermato il giocatore turco potrebbe avere le valigie in mano già l'estate prossima. Con questo modulo Borini torna in panchina, anche se probabilmente fino ad ora è stato uno dei migliori di questa squadra, sacrificandosi e impegnandosi al massimo e per questo un po' dispiace. Detto questo non so se il Milan possa disputare tutta la stagione con questo modulo: ha troppi pochi esterni e considerato che c'è anche l'Europa League prima o poi i titolari dovranno riprendere il fiato e in quel caso per Gattuso saranno dolori. L'ex rossonero dovrà sicuramente fare un grande lavoro e non sarà facile, ma iniziare con il Benevento è una grande occasione per partire con il piede giusto e riprendere un po' di morale. Il tecnico di Corigliano Calabro ha un vantaggio rispetto ad altri giocatori più esperti: conosce l'ambiente e sa quindi cosa serve per far tornare San Siro a riempirsi come succedeva quando lui giocava in rossonero.
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mercoledì 29 novembre 2017

Nicolò Melli: il grande viaggio del cestista reggiano ep 3

Capitolo 3    2010-2015

Come prevedibile, su di lui nell'estate del 2010 si avventa l'Olimpia Milano. Con il suo appeal, l'Eurolega da giocare, un corposo buyout per Reggio e un contratto di 4 anni la società milanese batte la concorrenza, assicurandosi il miglior 1991 d'Italia in attesa di firmare l'anno successivo con il miglior '92, Alessandro Gentile. Questo è un momento spartiacque per Nicolò: abbandona l'ovile dove è nato e cresciuto nella più classica delle transizioni dalla provincia alla grande città, ma il salto, come dirà lui stesso, è addirittura triplo "da una realtà di LegaDue a una squadra che gioca in Eurolega".
Il primo anno a Milano, oltre a rinunciare al #9 che Marco Mordente vuole tenere per sè e di cui Nik si riapproprierà nel 2013. Il ragazzo è promettente, ma una società obbligata a vincere subito e ad essere competitiva in Europa non può permettersi di dare troppo spazio ad un giocatore evidentemente ancora in fase di adattamento, per cui dopo sole 18 partite Nik viene mandato in prestito a Pesaro, per continuare il proprio sviluppo con un minutaggio che l'Olimpia non poteva garantirgli.
Melli non delude le aspettative della piazza marchigiana: i minuti raddoppiano da 8 a 16 e il suo contributo diventa sensibile, segnando proprio all'ultima di campionato contro Milano il proprio massimo stagionale (17 punti). I progressi sono evidenti, la maturità lo fa sembrare talmente più grande che le prese in giro dei compagni sul "vecchio del gruppo" si protrarranno per tutti gli anni milanesi, e la nuova Milano di coach Scariolo non può che richiamarlo sotto la Madonnina per la stagione 2011/2012.
In questo periodo lo staff di Milano lavora su Melli per fargli compiere il definitivo salto di qualità, quello per diventare un giocatore d'impatto europeo. Il lavoro su fatto principalmente sull'equilibrio e sulla capacità di reggere gli urti, quindi di assorbire fisicamente i contatti in un ruolo dove questo aspetto era fondamentale considerati i fisici che s'incontravano a quel livello.
Per costituzione fisica Nicolò aveva un baricentro particolarmente alto, questo lo agevola sulla corsa, ma gli complicava la reattività e altri movimenti strutturalmente difficili per lui.
Ultimi indugi sul ruolo tolti dunque, e da "4" con velleità da "3", Nik si ritrova ad affrontare una trasformazione anche mentale per trovare quella che ad oggi è la sua dimensione ideale nella pallacanestro contemporanea: un'ala grande con minuti anche da centro in un sistema che può cambiare faccia più volte nella stessa partita grazie alla sua mobilità e alla sua versatilità.
L'Olimpia, soprattutto dopo l'arrivo a Natale 2013 di Daniel Hackett dall'agonizzante rivale Siena, decolla sia in campionato che nelle top 16 d'Eurolega, giocando un basket corale, efficiente, solido e pure esaltante, che ha tra i suoi cardini proprio il 23enne Melli, cruciale nel dettare i tempi dell'attacco di coach Banchi.
La stagione, trionfale in Italia e chiusa tra gli applausi e l'amaro in bocca in Europa contro un Maccabi che proprio al Forum di Milano conquisterà poi la coppa, si rivelerà essere anche un piccolo calvario per Melli, alle prese con un problema al ginocchio difficile da tamponare a causa dei ritmi serrati di una squadra competitiva su due fronti. Ma stringere i denti e risollevarsi dai momenti di difficoltà fisica non era mai stato un problema per un giocatore mentalmente tostissimo. Una condizione però non più sopportabile e che porta prima all'operazione appena conclusasi la stagione, e poi ad una continua rincorsa ed un lavoro individuale extra per riprendere forma, ritmo e condizione nella stagione 2014-2015.
CONTINUA...
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martedì 28 novembre 2017

Esonerare per dare la scossa

Quando si ha esigenza di dare un segnale forte all'ambiente il primo a pagare è l'allenatore. Che Montella non fosse più nelle grazie del duo Fassone/Mirabelli lo dimostravano le dichiarazioni reiterate di queste settimane sul futuro del tecnico.
Sono bastati tre mesi veramente deficitari, a far terminare l'idillio tra il tecnico napoletano e la società rossonera? Si, anche in base alla necessità del Milan di conseguire risultati sportivi, tali da assicurare la sostenibilità finanziaria del progetto iniziato questa estate. Il Milan non può fallire l'accesso alla Champions League, non ha tempo di programmare lato sportivo, di attendere che la squadra diventi una vera squadra.
Vincere è l'unica cosa che conta, ha ripetuto Mirabelli dopo Milan Torino. Montella ha le sue responsabilità, come è giusto che sia. Kalinic è stato un suo suggerimento alla dirigenza, nonostante fossero stati spesi 40 milioni per Silva. Ha avallato gli acquisti di Biglia, Rodriguez, Musacchio, Calhanoglu, da buon aziendalista qual è, preferendogli poi Antonelli, Zapata, Montolivo, Bonaventura. Ha pesato Bonucci, che ha influenzato le scelte del modulo del tecnico napoletano.
Montella sperava che fosse la sua occasione, che il tempo ed il lavoro avrebbero reso le figurine acquistate un 11 competitivo. Ma Roma non è stata costruita in un giorno, e così anche le squadre di calcio.
La scelta di affidare a Gattuso le redini tecniche del club, non mi convince. Quando cacciarono Allegri per Seedorf, i risultati furono sotto gli occhi di tutti. Il passato di Gattuso non è esaltante ed anche con la primavera rossonera non ha brillato. Si dirà che è un uomo Milan Gattuso, che utilizzerà il suo carisma nella guida, ma questa squadra non è figlia di nessun mister, benchè meno del tecnico calabrese.
Esonerare per esonerare non ha senso, se non per lanciare un segnale all'ambiente. Eppure, di alternative migliori e possibili di Montella non ne vedo. Il tempo è tiranno, ma anche capace di ricompensare chi sa attendere una risposta.
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lunedì 27 novembre 2017

Serie B: Palermo che meraviglia

Un campo difficile, un avversario ostico tanto quello precedente e l'espulsione di Cionek sul finale del primo tempo: le premesse per un'altra sconfitta c'arano tutte ma alla fine il Palermo si è imposto alla grande, portando a casa tre punti che valgono il secondo posto in classifica a un solo punto dalla capolista Bari.

Nonostante un buon ritmo, inizialmente la gara ha stentato un po' a decollare con entrambe le squadre, poco lucide in fase di rifinitura, che si son rese pericolose solamente con conclusioni dalla distanza, come quella pregevolissima tentata da un Jajalo che sabato, dopo una sfilza di partite anonime, ha giocato una buonissima gara. A rompere le simmetrie ci ha pensato l'autogol di Molina dovuto ad un goffo tentativo d'anticipo su Nestorovski: un episodio favorevole, dopo una lunga serie di circostanze sfortunate, su cui il Palermo ha costruito il risultato finale.
Dopo il rosso (severo) comminato a Cionek per un'entrata comunque irruente, la squadra di Tedino aveva un solo modo per spegnere le velleità avversarie, ovvero quello di colpire l'avversario a freddo a inizio ripresa: la provvidenza si manifesta in Coronado lesto nel rubare con un break da mediano palla a Moretti per poi involarsi in fuga per la vittoria verso l'area servendo l'assist per il raddoppio di Gnahorè. Dopo il secondo gol è arrivata la reazione degli irpini, più emotiva che non ragionata, ben contenuta da una concentratissima retroguardia rosanero che non ha fatto passare praticamente nulla.
A suggello di una grande prestazione è arrivato il terzo gol di Nestorovski, sentenza di cassazione dentro l'area di rigore, con un sinistro secco e potente su una bella giocata di Jajalo. L'immediato gol della bandiera degli irpini di Asencio, è figlio di un calo di tensione fisiologico e fa testo il giusto.
Nello spartito tecnico disegnato sabato da mister Tedino, con un centrocampo irrobustito dalla presenza di Gnahorè, si è rivisto il Palermo che vorremmo sempre vedere: ben organizzato, gagliardo sotto il profilo dell'atteggiamento e cinico sotto porta. Come già successo dopo la sconfitta contro il Novara anche stavolta è arrivata una grande reazione che dimostra la maturità di un gruppo sul quale, in attesa del futuro societario, bisogna cominciare seriamente a credere.
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domenica 26 novembre 2017

Sunday Thoughts: Un nuovo inizio per D'Angelo Russell

Il prezzo pagato dai Nets per avere D'Angelo Russell è stato assumere il ricco contratto di Timofey Mozgov. A Brooklyn sono stati felici di migliorare la situazione salary cap dei Lakers per l'anno prossimo, scambiando Brook Lopez per Mozgov. Con la scadenza del contratto di Lopez i Lakers si troveranno con lo spazio necessario per tentare l'assalto alle superstar nella FA 2018. Per una franchigia come i Nets invece, affamata di giovani talenti, prendere la seconda scelta assoluta D'Angelo Russell può essere l'inizio di svolta dopo tumultuose stagioni.
Ma perchè i Lakers hanno rinunciato a un giocatore che aveva le potenzialità di una futura star, con doti da ottimo scorer e buone capacità di far muovere la palla?
I dubbi principali dei gialloviola sono stati sulla maturità di Russell come giocatore NBA sia in campo che fuori, aspetto che gli è costato l'addio.

Mentre D-Loading era in guerra con Byron Scott e "ingombrava" il farewell tour di Kobe, voci riguardanti un'etica di lavoro discutibile circondavano il suo sviluppo. L'incidente con Nick Young ha creato vari dissidi nello spogliatoio. Ha perso la fiducia dei veterani dei Lakers e si è deciso che il suo potenziale a lungo termine non fosse all'altezza del nuovo progetto sotto Rob Pelinka e Magic Johnson. Il futuro della franchigia è così stato affidato a Lonzo Ball, considerato più adatto a prendere le chiavi dei Lakers rispetto a Russell.

Per i Nets la point guard ex Lakers può significare una seconda chance dopo il mare di errori commessi da Billy King. King ha devastato il futuro dei Nets, perdendo un mucchio di prime scelte nelle trade riguardanti Garnett, Pierce, Terry e Johnson.
Queste le scelte perse dall'estate 2013 ad oggi:

17° scelta nel 2014: James Young ai Celtics (scelto prima di Capela, Hood o Gary Harris);
15° scelta nel 2015: Kelly Oubre jr. ai Wizards (via Atlanta);
3° scelta nel 2016: Jaylen Brown ai Celtics;
1° scelta nel 2017: Markelle Fultz ai Sixers
Una scelta non protetta al primo giro, ora in mano ai Cavs, per il draft 2018.

Troppo talento rinunciato in un momento di rivalità frenetica coi New York Knicks.
Con l'arrivo di Russell i Nets vogliono far pesare di meno le scelte errate degli anni scorsi, il ragazzo rappresenterà un test per l'incredibile coaching staff che il nuovo GM Sean Marks ha assemblato.
L'head coach Atkinson è noto per lo sviluppo dei giovani, e lo sviluppo di un talento come Russell potrebbe essere un notevole passo avanti per i Nets. Ma in che modo questo potrebbe succedere per un ragazzo dalla discutibile reputazione? I Nets dovranno correggere l'immaturità della pg? E in campo, dove D'Angelo Russell deve crescere per far esplodere tutto il suo potenziale?

Diamo uno sguardo a cosa ha fatto Russell prima di entrare nella sua terza stagione NBA.

Le medie di Russell sembrano solide all'apparenza. La scorsa stagione ha registrato medie di 15.6 punti, 4.8 assist e 3.5 rimbalzi in poco più di 28 minuti. L'ex Lakers è stato uno dei 22 giocatori a registrare quelle medie nella scorsa stagione, di cui solo lui e Jokic al secondo anno nella lega. Ha anche tirato appena sotto la media della lega del 35.8% da tre punti, tirando con il 35.2%. Tuttavia, è qui che i dati positivi di D'Angelo Russell finiscono. Russell a mala pena prende tiri al ferro, con meno del 17% di FGA entro i tre piedi. Circa il 10% in meno di Ricky Rubio, uno che spesso rinuncia ai layup per cercare i compagni. Il turnover rate di Russell non è orrendo, ma è il terzo più alto tra quelli che non hanno un assist rate superiore al 27%.

La gente si aspetta un sacco di problemi dalle giovani guardie NBA. Quello che non si aspettano è quanto Russell si sia dimostrato orribile sotto alcuni aspetti base.
D-Loading si è dimostrato dannoso per i Lakers sia nei running pick and roll che nel segnare in transizione. Russell ha inoltre avuto un enorme declino di produzione in isolamento la scorsa stagione, ma il suo volume come punti in ISO non è stato abbastanza alto per dichiararlo un allarme. Ha mostrato però grandi miglioramenti nelle situazioni di handoff e nel venire fuori dagli schemi, oltre ad aver mostrato un buon lavoro off the ball.

Dove D'Angelo fa davvero fatica: come può essere così negativo in transizione?

Gli scarsi numeri di Russell in transizione sono davvero difficili da credere. Dovrebbe essere in grado di trovare canestri facili in queste situazioni. La maggior parte dei giocatori "pompa" i propri numeri di efficienza uscendo in transizione. Dei 90 giocatori con almeno 130 possessi in transizione solo 10 sono peggio di Russell. Ci sono un paio di nomi importanti dietro di lui, come Harden e Melo, ma ciò non rende più facile da digerire la difficoltà che ha D'Angelo di segnare in questo modo.
Il problema più grande che Russell ha in transizione è il suo tiro da tre punti. Ormai è diventata consuetudine nella lega tentare triple in transizione, ma lui realizza solo il 30.9% di triple tentate in questa maniera. Circa la metà delle sue transizioni vengono finalizzate in questa maniera, perciò spreca tante possibilità di segnare. Questa è una cosa relativamente facile da correggere. Cercando più il ferro, falli in transizioni, tentando queste triple quando si è entrati maggiormente in ritmo per convertire in canestri quasi tutti i tiri da tre punti

Il suo gioco in pick and roll non ricorda quello di una point guard

Nel PnR, il tiro da 3 di Russell è stato inconsistente, ma non il problema maggiore.
Nella sua stagione da rookie ha realizzato il 38% dei tentativi da 3 da PnR. La scorsa stagione i suoi numeri sono calati al 33.3 %, che non è buono, ma neanche terribile. Il grosso problema di Russell nel PnR viene coi turnover. Il suo 20% di turnover rate come finalizzatore nel PnR è il secondo più alto di tutta la lega la scorsa stagione (minimo 400 possessi). Sotto questo aspetto D-Lo ha compagnia d'elite, dato che a pari con lui c'è Curry e il peggiore in assoluto è Harden col 20.6%. Ma i turnover non hanno influito in maniera significativa sugli altri e due, dato che hanno segnato molto più efficacemente di Russell. Curry ha segnato 94 punti su 100 possessi, mentre Harden è stato tra i migliori in assoluto con 101.4. D'Angelo al contrario è tra i peggiori, con soli 76 punti su 100 possessi. Russell prende molte decisioni errate. Non esegue alla grande gli schemi e spesso lascia che i difensori sfidino i suoi tiri. Il suo ball handling è lento e disordinato in queste situazioni, portando a troppe intercettazioni. Un'altro problema riguarda il suo cercare poco il fallo per andare in lunetta, una situazione che potrebbe dargli molti vantaggi.

Dove è migliorato la scorsa stagione

La cosa strana delle difficoltà di Russell sul PnR è che è diventato uno scorer letale nelle situazioni di handoff. Le azioni sono sostanzialmente le stesse, con la differenza che negli handoff si fa una stretta curva attorno agli screen, al contrario della velocità nell'attaccare una copertura in PnR. Sotto l'allenatore dei Lakers, Luke Walton, la percentuale di Russell negli handoff possessions è salita dal 4.5% al 9.1%. Ha inoltre aumentato l'efficienza finalizzativa da 87.5 a 108.8 punti per 100 possessi. Questo è stato un grande aumento di efficienza mentre ha raddoppiato le sue opportunità. Russell sembra trovarsi a proprio agio in questi possessi.
Utilizza molto bene il cambio di ritmo, esitando e allo stesso tempo leggendo la difesa avversaria senza lasciare che guadagnino terreno. Attacca i big men nel pitturato e utilizza bene il fisico con le guardie più piccole. Uno dei suoi sorprendenti punti di forza come scorer viene dal post e riesce a usare bene lo stesso footwork per prendere vantaggio su una guardia in chiusura su di lui.
Russell riesce a mettere triple dalle situazioni di handoff col suo rapido one-dribble pull-up.
Non sarà un'impresa impossibile per Atkinson prendere come esempio questo approccio e insegnargli ad applicarlo anche nelle situazioni di pick and roll.
D'Angelo Russell è il fit ideale per Brooklyn e il prospetto ideale da sviluppare per Kenny Atkinson. Molti "luminari" della pallacanestro, hanno elogiato la mossa Russell e il fatto che sia andato ad Est, oltre alla sua capacità di adattarsi al nuovo contesto.
Russell, in ogni modo, può essere considerato come un draft pick. Al di fuori di Markelle Fultz, parliamo di forse la point guard con più margini di sviluppo draftata dal 2013 ad oggi, con ancora molto tempo per migliorare ancora. Inoltre, varie point guard diventate poi All-Star come Kyle Lowry, Chauncey Billups, Steve Nash o Jason Kidd sono stati scambiati tutti nelle loro prime tre stagioni NBA.
In questo momento è fuori a tempo indeterminato, a causa di una botta subita contro gli Utah Jazz ad inizio stagione, ma quando rientrerà toccherà a Atkinson il compito di far brillare la sua nuova potenziale stella: D'Angelo Russell.
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sabato 25 novembre 2017

Trash Talking Legends ep 8

Reggie Miller fu tanto un grandissimo tiratore.
E fin qui niente di nuovo.

Reggie Miller fu un grande trash talker.
Madison Square Garden.

Miller è più bollente di una stufa.
Gli entra di tutto.

Spike Lee si alza in piedi e inizia ad urlargli di tutto.

Reggie segna l'ennesima tripla, si gira verso Spike e gli fa questo gesto per zittirlo.
Reggie "quello gentile" Miller.
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venerdì 24 novembre 2017

Nicolò Melli: il grande viaggio del cestista reggiano ep 2

Capitolo 2     2007-2010

Nella sua prima stagione in LegaDue, la 2007/2008, regala subito lampi di gran classe in poco più di 12 minuti di media a partita, mostrando di essere un giocatore dall'etica del lavoro straordinaria e un'educazione da gentleman inglese di cui tutti non fanno altro che parlare bene, con una famiglia solida e sana alle spalle a supportarlo e una testa che stupisce per la sua maturità.
Tatticamente Nik è ancora in piena fase di sviluppo. I suoi movimenti in palleggio-arresto-e-tiro, oltre a mostrare una tecnica già eccellente, raccontano di un giocatore che "sente" ancora di essere un esterno e che vorrebbe continuare su quel percorso, aumentando la propria pericolosità perimetrale. Se la seconda stagione in LegaDue viene chiusa in anticipo dall'infortunio al ginocchio(solo 13 partite disputate), in quella successiva e con le nazionali Under-16 e Under-18 Nicolò Melli può togliersi le prime vere soddisfazioni a livello personale. Con in testa i suoi giocatori preferiti, tra cui Magic Johnson, a soli 17 anni Nik può già condurre coast-to-coast da rimbalzo difensivo, passare palla dietro la testa in contropiede o concludere in allontanamento su una sola gamba "à la Dirk Nowitzki" : un campionario sbalorditivo che mette in moto i principali club italiani ed europei per accaparrarselo.

Pure il sogno NBA, da sempre nei desideri di Nik come è normale che sia per un ragazzo con quelle qualità e quel background, inizia a diventare un'ambizione credibile e non una semplice utopia.

A testimonianza diretta di questi attestati di stima, Nik agli europei Under-16 del 2007 e Under-18 del 2008 è tra i migliori giocatori dell'Italia e una delle tre migliori ali delle manifestazioni, con partite da 19 punti e 11 rimbalzi contro la Serbia di Musli (U16) o da 22 punti e 12 rimbalzi contro Israele (U18).

Mentre in LegaDue, in quella che si rivelerà essere la sua ultima stagione nella serie cadetta (2009-2010), il ragazzone di Reggio toccherà vette di assoluto valore come 24 punti, 14 rimbalzi e 32 di valutazione per una media di 10.7 punti a partita, e la sensazione diffusa che "the new big thing", la prossima grande rivelazione della pallacanestro italiana, sia quel biondino dalla corsa elegante e l'IQ cestistico di un veterano.

L'evoluzione verso il giocatore del 2017, è però ancora lunga: il suo tiro da tre è a dir poco ondivago e il sospetto che sia più un "4" che un "3" si fa via via sempre maggiore, ma nel complesso stiamo parlando di un'ala 18enne di 2.05 metri con un impatto rilevante sia in attacco che in difesa, dove il suo tempismo per i rimbalzi e le stoppate, le letture nelle rotazioni e gli aiuti difensivi rendono già imprescindibile la sua presenza sia in LegaDue sia nelle nazionali giovanili (l'argento agli Europei Under-20 del 2011 è l'apice della sua carriera azzurra).
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mercoledì 22 novembre 2017

Domenico Tedesco: L'ingegnere industriale alla conquista della Germania

E' importante sottolinearlo: non è un ex calciatore professionista, tanto meno un nipote o conoscente di qualche personalità nota.

E' nato in Calabria ma tedesco in tutto e per tutto: la sua completa formazione, calcistica e non, è avvenuta in Germania.

Tedesco, figlio di Nessuno e di nessuna carriera professionistica, ha potuto dare prova delle proprie capacità da tecnico grazie alla lungimiranza del Paese in cui è cresciuto. In Italia, alla sua età e con il suo passato, al massimo( e con grande fatica) avrebbe potuto aspirare a un patentino di primo livello(UEFA B, per intenderci) e difficilmente sarebbe già inserito anche solo in un contesto giovanile professionistico.

Sono trascorse due settimane ormai dall'uscita della nostra nazionale dalla Coppa del Mondo: si parla(e si è parlato tanto) di problemi minori, della scorza in superficie di una casta che non conferisce eguali possibilità di emergere.

Invochiamo la rinascita del nostro movimento e diamo spazio solamente alle discussioni riguardo il cambio della guida tecnica o federale, come se una volta cambiate potessimo metterci alle spalle tutti i nostri problemi: allo stato attuale, non ci sarebbe alcun miglioramento.

Se non prendiamo esempio da realtà virtuose vicine a noi la delusione di San Siro sarà la prima di molte: quello che vogliamo sentire non è l'approdo di Carlo Ancelotti sulla panchina degli Azzurri o di Chichessia ai vertici della Federazione ma, tra le altre cose veramente rilevanti, l'abolizione della discriminazione che caratterizza il settore tecnico nazionale e la totale rivoluzione del sistema di formazione dei nostri allenatori, che permetta una concreta, libera e accessibile formazione.
Ne avrebbero tutti giovamento: il sistema, gli appassionati e soprattutto quei bambini finora invocati solamente per strappare qualche like con il nostalgico rimpianto di non poter godere di un Mondiale con la propria nazionale, ma che continuano nel disinteresse generale a giocare nel fango guidati da istruttori non qualificati.

Domenico Tedesco è attualmente al secondo posto in Bundesliga, dietro al grande Bayern Monaco: è un orgoglio tedesco, non italiano, e le nostre parole rimarranno poche gocce in un arido deserto politicizzato e disinteressato ai veri problemi del nostro calcio.
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martedì 21 novembre 2017

Nicolo Melli: il grande viaggio del cestista reggiano ep 1



Intro
Dicono che quando uno incontra una stella il tempo si fermi. Ed è vero

Un nuvoloso martedì dell'ottobre 2006, il 24 per la precisione, al PalaLido di Milano stava giocando sua divinità Michael Jordan. L'occasione era l'arrivo dell'unica tappa italiana del famoso "Jordan Classic", con MJ per una volta scomodatosi come ambasciatore nel tour internazionale per adempire ai suoi impegni di uomo Nike.

L'evento, una sorta di All Star Game dei migliori Under 16 italiani, era naturalmente un contorno alla quale si buttavano sguardi distratti, in ansiosa attesa del Jumpan Logo in carne ed ossa sul parquet milanese. C'era un giocatore in canotta nera, biondino, tosto fisicamente e dinamico palla in mano. Dall'altra parte c'era Tommasino Ingrosso, ala toscana dinoccolata del Benetton Treviso, anche lui molto bravo con la palla in mano. Il loro duello, era chiaro a tutti, avrebbe decretato l'MVP dell'incontro e il conseguente invito al camp di specializzazione americano sempre sotto il brand Jordan.
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Il tempo si fermò, dicevamo, quando Nicolò Melli partì dall'ala in uno contro uno contro Ingrosso. Un palleggio. Arresto fulmineo in due tempi. Tiro in sospensione. E canestro dalla fluidità disarmante.

Tutto il PalaLido, Milano, l'universo si arrestarono.
Nik in aria, immobile, il polso spezzato.
Ingrosso poco distante, a contestare invano il tiro.
Gli avversari e il pubblico fermi a guardare, incuriositi.
Mi avvicinai, volevo vedere meglio questa "stella" che improvvisamente aveva iniziato a brillare così fulgidamente.
A 15 anni, con la prima panchina in serie A inserita nel curriculum a 13 e il premio di co-MVP ricevuto direttamente dalle sante mani di Michael Jordan, Nicolò Melli era già una stella.
Capitolo 1- 1991-2007
Proprio della primissima convocazione in A parla l'allora capo allenatore di Reggio Emilia, Fabrizio Frates, che il 24 ottobre 2004( esattamente due anni prima) porta Melli in panca per la prima volta stabilendo un record: "Chiamammo Nik a 13 anni per la trasferta di Pesaro semplicemente per due motivi: ad inizio stagione avevamo grossi problemi con atleti influenzati, e Nik stava facendo talmente bene a livello di settore giovanile che si meritava un premio. Ecco, fu un riconoscimento per quanto stava facendo. Ovviamente non era ancora pronto per scendere in campo, ma dal punto di vista fisico era evidente sin da subito che avesse grande predisposizione, potenziale e talento".
Una naturalezza che, come in altri casi eccellenti, affonda le sue radici in un DNA formidabile, composto da geni di papà Leo, ex cestista proprio di Reggio Emilia, e mamma Julie Vollersten, statunitense e argento olimpico con la nazionale di pallavolo alle Olimpiadi di Los Angeles '84.
Una miscela esplosiva, che produce un figlio sovradimensionato sin da tenera età nel fisico e completamente immerso ed affascinato dalla cultura sportiva che si respira a casa: " A casa mia si parla 25 ore su 24 di sport" ha ricordato Melli in una conferenza stampa, condizione quotidiana che, unita alla sua intelligenza, lo fanno presto emergere.
Quando era più piccolo tutti i suoi allenatori si ponevano un dubbio: doveva giocare da ala piccola o ala grande? "A quei tempi Nik era ancora snello e si ipotizzava un ruolo di tre nel suo futuro: questo era dovuto al fatto che fosse molto leggero, seppur alto, ma con quelle lunghe leve, come si potrebbe notare anche nella postura di Gallinari, era difficile pensare che potesse stare piegato costantemente.
Il problema della postura e del baricentro saranno due tematiche fondamentali nello sviluppo di Nik, ma intanto il figlio d'arte impressionava in campo e stupiva per la sua versatilità legata a una coordinazione evidentemente genetica, seminando le basi per un futuro da "point forward" di caratura internazionale, incentivato dallo staff di Reggio: "Avere un ragazzo con la sua altezza a portare palla magari non lo avrebbe reso un playmaker, ma di sicuro un giocatore migliore. Il post basso non era la sua zona preferita del campo, ma giocare in area era determinante per completarlo come giocatore. Per questo molto del lavoro fatto con lui riguardava l'uso delle gambe e dei piedi, il piegarsi, il muoversi rapidamente, magari accoppiandolo in partita con esterni avversari più bassi" spiega Menozzi.
Una completezza che anche Giordano Consolini non manca di sottolineare:" Durante il famoso torneo di San Lazzaro Under-17 rimasi colpito: a quell'età non avevo mai visto nessuno con quella statura, padronanza tecnica e un bagaglio così completo". Una superiorità che lo porta direttamente a dominare il secondo livello del basket italiano, la LegaDue, a maggiore età ancora lontana, ovviamente sempre con Reggio Emilia.
"Probabilmente il suo inseriemento in L2 a 16 anni è arrivato in anticipo rispetto ai tempi naturali, anche se era difficile frenare il suo esordio in un contesto senior: purtroppo il livello pro consentiva molti meno sbagli rispetto alle giovanili per ovvi motivi, costringendo Nik a fare meno cose e quindi anche a rallentare uno sviluppo che, purtroppo, si arrestò bruscamente a causa del primo infortunio al ginocchio contro Sassari a fine 2008."

Continua...

lunedì 20 novembre 2017

Falcao: il prezzo pregiato della Roma

Falcao è il prezzo pregiato della Roma, ma nel 1983, dopo aver portato lo scudetto nella capitale, qualcosa si spezza.
Napoli e Verona si fiondano per assicurarsi le prestazioni del brasiliano.

Ma non avevano nessuna possibilità: Falcao aveva già firmato con l'Inter, all'oscuro del presidente giallorosso Dino Viola e del presidente nerazzurro, Ivanoe Fraizzoli. Mazzola, allora dirigente interista, è quindi pronto a bere calici di champagne con il suo presidente che però, appena appresa la notizia, da signore quale era, telefona Viola per informarlo.

Ma Viola non poteva accettare di perdere il brasiliano, quindi ecco che qui entra in scena la politica, col presidente giallorosso che mette in mezzo un certo Giulio Andreotti.

Questo, insieme a dei collaboratori, inizialmente cerca di convincere la madre di Falcao a non lasciare Roma, puntando sulla fede e sulla volontà che aveva espresso il papa, il quale non voleva che Falcao andasse via dalla Capitale.

Ma questo è solo una puntina, uno spillo, un pizzicotto.
Andreotti passa all'artiglieria pesante.
Chiama Fraizzoli e minaccia di far sciogliere la collaborazione tra il ministero e le divise da lui prodotte, che venivano distribuite perfino nelle carceri.

La reazione di Fraizzoli? "Stracciate quel contratto".

Falcao rimase così alla Roma in una trattativa che ha ben poco di lecito.
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domenica 19 novembre 2017

Trash Talking legends ep 7

Il trio delle meraviglie composto da Jordan, Pippen e Rodman fa visita agli Orlando Magic, casa del talentuoso O'Neal.

A Rodman viene chiamato un fallo, secondo lui inesistente.
Da uno calmo, sobrio come lui ci aspetteremmo una reazione di un certo tipo.

E invece...
Dice: "Ok, proviamo così!"

Si mette le mani dietro la testa.
Quando Shaq prende la palla e cerca di scaricarla, Dennis la ruba dando il via al contropiede Bulls.

The Worm, due attributi grossi come lo United Center.

Unico ed inimitabile.

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Shapovalov porta ossigeno al tennis

La stagione tennistica 2017 è la prima, dopo diverso tempo, in cui si inizia ad annusare un'aria di reale rinnovamento. Nonostante a vincere siano in sostanza sempre gli stessi, qualcosa si sta muovendo, rimescolando delle gerarchie che per troppi anni hanno vissuto di eccessivo ordine. Nel 2017 è arrivata la prima grande vittoria di Alexander Zverev ma anche il primo attesissimo titolo master 1000 di Dimitrov a Cincinnati. I veterani per rimanere competitivi sono stati obbligati a cambiare qualcosa: Federer il rovescio, Nadal l'allenatore. Nonostante ciò il tennis resta comunque preoccupato del proprio futuro, e della possibile emorragia di appassionati una volta che si ritireranno Federer e Nadal, e per questo si sono giocate quest'anno per la prima volta le Next Gen ATP Finals. Un vero e proprio Master U-21, che si gioca a ridosso del Master vero e proprio.

In assenza di Zverev, qualificatosi per le Finals di Londra, il tennista più atteso era Denis Shapovalov, forse la sorpresa più grande del 2017. IN un contesto in cui la vita media dei tennisti si è incredibilmente allungata, sembrava non essere più possibile per un ragazzino di 18 anni ottenere risultati e affacciarsi nel circuito con credibilità. Shapovalov è riuscito perfino a far dimenticare il ricambio generazionale già avviato dalla vittoria a Roma di Zverev. Al Master 1000 di Montreal era riuscito a battere Del Potro e Nadal nel giro di 24 ore, confermandosi poi in un insidioso match contro Mannarino in cui aveva già qualcosa in più da perdere. Ha proseguito il suo grande finale di stagione con gli ottavi di finale allo US Open, da qualificato, prima di tirare il fiato con una serie di sconfitte. Attorno a lui c'è un hype assurdo, prima di tutto perchè Shapovalov è un giocatore dotato di un talento incredibile, per quanto grezzo. Già è salito alla posizione 49 del ranking mondiale, nonostante definisca l'erba la sua superficie preferita, ovvero quella che mette in palio meno punti durante l'anno. Con questi risultati Shapovalov si è quindi qualificato come numero 4 nella race stagionale delle Next Gen. Bisogna però considerare che si tratta di un giocatore di ben tre anni sotto l'età massima della competizione, e il suo potenziale va analizzato tenendo in considerazione relativa i suoi risultati.

Denis Shapovalov è nato a Tel Aviv da padre russo di religione ortodossa e madre israeliana ebraica. Prima di compiere il primo anno di vita i genitori si trasferiscono in Canada, in Ontario, dove inizia a giocare a tennis all'età di 5 anni nel tennis club nel quale sua madre fa l'allenatrice. In seguito nel 2012 , la madre apre un'accademia a Vaughan nella quale tuttora Shapovalov si allena sotto le sue direttive e quelle del capitano della nazionale di Coppa Davis del Canada (Martin Laurendau) dopo aver invece collaborato per diversi anni con il coach italo-canadese Adriano Fuorivia.


La sua crescita è parallela a quella di un altro fenomeno annunciato del tennis canadese, Felix Auger-Aliassime. Di un anno più giovane rispetto a Shapovalov. La sua classifica attuale di numero 154 rende l'idea della sua competitività, dimostrata anche dalla prima vittoria Challenger al torneo di Lione a nemmeno 17 anni, settimo più giovane della storia a vincere un torneo di quel livello.

Shapovalov è un giocatore mancino che gioca il rovescio a una mano, che sta tornando di moda nella generazione del futuro. Sembra più alto dei suoi 183 cm, non molti a dire il vero per gli standard futuristici del tennis attuale. Rispetto allo scorso anno non è salito di statura, ma è invece aumentato di peso, da 70 a 76 kg, avendo evidentemente lavorato sulle masse muscolari, stando comunque attento a non perdere agilità ed elasticità.

Shapovalov ha uno stile di gioco aggressivo, tuttavia è da sottolineare la capacità di fare punti diretti nonostante la mole ridotta, oltre alla buona fase difensiva, già migliore di quella di molti suoi colleghi. Uno dei suoi punti di forza è la risposta, specie di rovescio. Shapovalov riesce ad avere un ottimo timing nell'anticipo che lo aiuta anche quando deve difendersi, nonostante disponga di una sbracciata piuttosto ampia nel finale del movimento. Un colpo molto diverso da quello di Federer, il più grande esecutore del rovescio a una mano in anticipo, che ha però un'apertura nettamente più breve.
In questo è aiutato da una leggera tendenza a colpire il rovescio vicino al corpo, che gli dà una migliore coordinazione nell'impatto in anticipo su una palla veloce, anche alla risposta . Tuttavia riesce a coordinarsi bene con il rovescio anche per caricare una palla più lenta, soprattutto quando accelera in diagonale.

Diverso il discorso per il dritto, diventato il colpo più penetrante e sicuro dell'arsenale. Anche Shapovalov piega il gomito in preparazione, come ormai costante della nuova scuola, ma senza esasperare come fanno invece ad esempio Kyrgios, Khachanov e Sock. Shapovalov non dà dunque molta rotazione al suo dritto, ma riesce a produrre un colpo più penetrante e fluido, meno strappato. Utilizza inoltre molto il braccio non dominante(il destro) fino a pochissimi istanti prima dell'impatto e in questo modo riesce ad avere la parte superiore del corpo molto stabile durante il corpo.

Il dritto di Shapovalov è secco, definitivo, perfino poco elaborato rispetto ai giocatori della nuova generazione che danno tutti l'impressione di possedere dritti altamente sofisticati e studiati a tavolino.

Shapovalov dispone anche di un buon servizio, facilitato dall'essere mancino naturale. Le sue partite abbondano di doppi falli: spesso i suoi servizi escono dal quadrato quasi di mezzo metro, anche in punti importanti. Shapovalov dimostra però tutto il suo talento naturale riuscendo in altri casi invece ad alternare servizi potenti e piatti ad altri kick da destra e soprattutto a quello che è un po' il suo marchio di fabbrica alla battuta: il servizio slice incrociato da sinistra, utilizzato soprattutto nelle palle break. Con il servizio Shapovalov è discontinuo ma spesso efficace, nonostante la statura mediamente ridotta: può migliorare in imprevedibilità nella direzione in base al lancio palla, ma il suo talento di base è notevole anche in questo fondamentale.

Per completare il repertorio di un giocatore con ambizioni così offensive servirebbe una volèe decisamente più sicura, con meno apertura e con un posizionamento migliore. Ma come ormai accade frequentemente, il fatto che abbia 18 anni dimostra quanto la priorità nel lavoro da impostare su un ragazzo sia ormai centrata prevalentemente sui tre fondamentali, andando ad aggiungere le transizioni a rete come un successivo completamento di un gioco ormai abbastanza solido da fondo. Del resto questa è un po' la parabola di molti grandi giocatori che hanno mostrato miglioramenti nel gioco a rete solo dopo i 24-25 anni: Djokovic, Raonic, Nishikori, Del Potro e perfino Federer con la cura-Edberg.

Era da anni forse che un giocatore così giovane non dava un'impressione di talento così promettente.
Shapovalov è supportato da un carattere all'apparenza imperturbabile. Riesce a esprimere una grande intensità agonistica, ma restando sempre in controllo della partita. Shapovalov ha dichiarato che si diverte giocando e questo forse contribuisce a scacciare le pressioni che tutti provano a mettergli addosso. Questa sua indole al piacere nel gioco è forse il suo principale punto di forza, ma per arrivare a vincere ad alti livelli Shapovalov dovrà imparare anche a districarsi nel fango. Ci saranno tante partite in cui dovrà imparare ad avere la meglio anche scalando una marcia, lavorando più sui punti deboli dell'avversario che sui propri pregi, riflettendo di più su come ricalibrare il proprio gioco in giornate dove le condizioni mentali o di gioco non saranno del tutto favorevoli.
Al momento non sembra in grado di assicurare perfetta continuità: è il prezzo da pagare per giocare a braccio sciolto, di non voler sempre "morire" in campo.

Di certo quell'importante porzione di appassionati che ha già prematuramente annunciato di smettere di seguire il tennis dopo l'addio di Federer, si dovrà ricredere. Con Shapovalov( ma anche con Zverev o Kyrgios) determinati canoni di talento, piacere ed emozioni potrebbero rimanere immutati, anche se sotto forme diverse.

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sabato 18 novembre 2017

L'esplosione di Cristante



Poco più di tre anni fa Bryan Cristante lasciava il milan per 6 milioni di euro dopo aver giocato appena cinque partite, dividendo in maniera netta i tifosi, tra chi riteneva la cessione un'opportunità troppo vantaggiosa per non essere colta e chi invece gli avrebbe dato fiducia, vista la giovane età (19 anni) e le prospettive lasciate intravedere nelle poche apparizioni concesse.

Cristante ha dunque vissuto esperienze deludenti, per motivi diversi, al Benfica, al Palermo e al Pescara, con presenze in campo sporadiche che non hanno aiutato a scoprire i margini del suo talento e a chiarire che tipo di giocatore fosse.
Cresciuto nel Milan come centrocampista tecnico con un senso spiccato per la verticalizzazione, preciso sia sul corto che sul lungo, Cristante ha già dovuto riadattare molte volte le proprie qualità nel corso della carriera, in squadre piuttosto lontane tra loro per ambizioni e stili di gioco.
Al Milan, Allegri lo ha utilizzato prevalentemente come mezzala in un centrocampo a tre, mettendone in evidenza le capacità di inserimento. Jorge Jesus ha quindi provato a trasformarlo nel regista del suo Benfica, schierandolo interno di un centrocampo a due col compito di iniziare l'azione, anche abbassandosi in mezzo ai difensori centrali. Poi a Palermo e a Pescara ha giocato troppo poco per capire dove i rispettivi allenatori avessero intenzione di farlo giocare.

Lo scorso gennaio, dopo la cessione di Gagliardini all'Inter e con Kessie impegnato in coppa d'Africa, l'Atalanta ha deciso di puntare su di lui, nonostante le poche presenze accumulate nei due anni e mezzo precedenti e l'incertezza su che tipo di centrocampista fosse: regista o incursore? Cristante mostrava in realtà di avere le idee chiare: "So lanciare i compagni a rete e mi trovo bene davanti la difesa, così come da mezzala. Ma se devo scegliere io, dico mezzala. Mi piace molto inserirmi, provarci, farmi vedere in zona gol".
Risultati immagini per Rombo gasperiniNel calcio di Gasperini, che Cristante trova all'Atalanta, le differenze tra i ruoli sono sfumate. Non sono previsti registi puri, ma chi imposta l'azione deve superare le linee avversarie avendo come riferimenti i rombi che si creano sulle catene laterali, dove si sviluppa tradizionalmente la manovra delle squadre di Gasperini. I centrocampisti, poi, sono invitati a inserirsi occupando gli spazi aperti dal centravanti.

All'Atalanta le qualità di Cristante hanno trovato così il terreno adatto per maturare: la pulizia dei suoi passaggi, sia corti che lunghi, è al servizio di un calcio verticale che fornisce diverse opzioni oltre le linee avversarie e fa ampio ricorso a lanci e cambi di gioco, mentre l'attitudine agli inserimenti è incanalata in un sistema che crea spazi da attaccare grazie soprattutto ai movimenti spalle alla porta di Petagna.

Cristante è entrato con naturalezza nei meccanismi di una delle squadre più organizzate del campionato, e alla seconda partita giocata ha trovato il primo gol, nella trasferta a Palermo della scorsa stagione. Un gol bello e strano perchè Gomez e Cristante hanno appena iniziato a conoscersi, ma mostrano quel tipo d'intesa che lega ad esempio Insigne e Callejon e si consolida appunto dopo molte partite giocate insieme.

I gol segnati, 8 in 26 partite finora con l'Atalanta, sono la parte più visibile della crescita di Cristante in questi mesi. Ne ha segnato ben 6 di testa, anche se non è riconosciuto come uno specialista e non viene utilizzato come un riferimento per il gioco a la Milinkovic-Savic o Fellaini, ad esempio. La dinamica è ricorrente: Cristante entra in area da dietro e gira in porta i cross da sinistra dei compagni. Contano di più il tempismo e il senso innato per gli inserimenti, insomma, che la sua altezza(186 cm). Rimane comunque una minaccia sulle palle inattive: ha segnato 4 gol sugli sviluppi di un corner o di un calcio di punizione, situazioni nelle quali solitamente attacca il primo palo

Il sistema dell'Atalanta ha favorito la connessione molto forte con Gomez, da cui ha ricevuto 5 assist sugli 8 gol segnati. Il "Papu" è ovviamente il riferimento creativo della catena sinistra e con la sua qualità è l'incastro ideale del gioco senza palla di Cristante.

Gasperini ha utilizzato Cristante in diverse posizioni: da interno di centrocampo, ma anche da trequartista su entrambi i lati, senza particolari responsabilità creative, ma col compito di inserirsi negli spazi aperti da Petagna e di chiudere le catene di fascia da vertice alto, dando un'opzione ai compagni oltre le linee di pressione avversarie per facilitare lo sviluppo della manovra.
I principi di gioco di Gasperini hanno messo Cristante nelle condizioni di fare la differenza anche in un ruolo in teoria poco adatto alle sue caratteristiche tecniche e fisiche. Negli spazi stretti l'ex Milan deve fare i conti con la rigidità imposta dal suo fisico, non è abbastanza agile e rapido nè ha la sensibilità tecnica del numero 10 per condizionare la manovra giocando tra le linee. Pressato spalle alla porta va in difficoltà se non ha un compagno vicino a cui scaricare immediatamente il pallone.

Nel gioco di Gasperini deve però limitarsi ai tipici movimenti della catena laterale, tagliando dall'interno all'esterno per dare continuità al possesso o abbassandosi per occupare lo spazio lasciato libero da un compagno, ad esempio dall'esterno che si accentra. Cristante resta in facilitatore della manovra piuttosto che un rifinitore e lo spostamento in una posizione più avanzata gli ha semplicemente permesso di inserirsi con maggiore frequenza. La sua pericolosità si è così impennata: ha eliminato o quasi i tiri dalla distanza per concludere quasi esclusivamente da dentro l'area di rigore.
Quando è schierato a centrocampo si occupa invece di iniziare l'azione, e la sua attitudine a giocare in verticale tagliando le linee o lanciando verso il centravanti è particolarmente preziosa per guadagnare metri velocemente. Cristante ama giocare su distanze lunghe, in tutte le fasi. Non è raro che gli tocchi gestire situazioni d'inferiorità numerica: per avere un uomo in più in difesa, il tecnico dell'Atalanta è solito lasciare un avversario libero, su cui solitamente vuole indirizzare la costruzione della manovra. Una volta entrato in possesso, il centrocampista o il trequartista più vicino scalano su di lui lasciando il proprio uomo di riferimento. Cristante è a suo agio anche in questo caso e non ha problemi a portare una pressione prolungata, accorciando su più avversari nella stessa azione.

All'Atalanta Cristante ha trovato la fiducia di cui ha bisogno ogni calciatore per mettere in mostra il proprio talento e un contesto che ne ha definito in maniera chiara le caratteristiche. Non ci sono molti centrocampisti in serie A in grado di combinare la sua pulizia tecnica, la capacità di coprire ampie porzioni di campo e il suo senso per gli inserimenti. L'Atalanta l'ha preso in prestito dal Benfica e a quanto pare lo potrà riscattare pagando appena 4 milioni, una cifra irrisoria visto il rendimento avuto in questi mesi. E' probabile che a breve Cristante tornerà a confrontarsi con contesti di livello più alto, con maggiori pressioni e meno tempo e possibilità per mettere in vetrina il proprio talento.

La traiettoria della carriera di ogni giocatore, specie se giovane e sul punto di affermarsi, è legata a infinite variabili, molte delle quali indipendenti dalla propria volontà. Nel caso di Cristante i tasselli hanno faticato a incastrarsi per due anni e mezzo, fino a quando non ha incontrato Gasperini. Ora che sembrano finalmente al posto giusto sarebbe un peccato sprecare uno dei talenti più unici tra i centrocampisti italiani per mancanza di tempo o fiducia, come fatto dal Milan tre anni fa.
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venerdì 17 novembre 2017

Boston Celtics: Sono 14!!!

Per molti sarebbe stata la partita in cui i campioni NBA avrebbero riportato i verdi con i piedi per terra. Invece...

E' stata la partita di Jaylen Brown, migliore in campo, che ha dedicato i suoi 22 punti al miglior amico scomparso poche ore prima.

E' stata la partita di Kyrie Irving, insufficiente nei primi tre quarti e straordinariamente clutch nell'ultimo, in cui ha segnato 11 dei suoi 16 punti totali.

E' stata la partita in cui, e non è la prima volta, i ragazzi di Brad Stevens si sono trovati sotto anche di 17 salvo poi riemergere dalle difficoltà con prepotenza e rabbia.

E' stata la partita in cui la difesa Green ha costretto Curry al 3/14 e Green al 3/11. La difesa che permette ad una squadra di avere un record vincente anche quando in attacco le cose non vanno benissimo. Per intenderci, tutte le squadre NBA sono 14-89 (14% di record) quando segnano meno di 96 punti, Boston 5-0. L'ultima volta che Curry e soci hanno segnato 88 o meno punti è stata proprio contro di loro. E non è una coincidenza.

E' stata la partita del +15 Boston con Smart in campo, +16 con Horford. Giocatori che spesso all'ombra di Kyrie non vengono esaltati a dovere.

E' stata l'ennesima gara in cui tutto il quintetto di Stevens è andato in doppia cifra.

E' stata la partita di Tatum, la cui mano non ha tremato sui liberi a 6 secondi dalla sirena.

E' la partita che ci consegna, una volta di più, una squadra che cresce giorno dopo giorno in un progetto destinato a raggiungere la vetta. Dopo 13 partite in cui li abbiamo visti sempre vittoriosi, la numero 14 contro i campioni NBA ha un sapore speciale.

Ora tutti sanno che i Boston Celtics fanno tremendamente sul serio. Tocca segnalarlo ai Cavs, ai Warriors e alla lega intera. E dopo questa estate non tutti lo avrebbero immaginato.
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giovedì 16 novembre 2017

Trash Talking legends ep 6

Forse dovremmo dire ManateinfacciaLegends

Detroit.
40 secondi alla fine della partita.
I Pacers stanno vincendo sui Pistons.
Penetrazione di Big Ben Wallace.
Bruttissimo fallo di? Ovviamente Ron Artest.
Reazione di Wallace e parte la rissa più grande della storia NBA.

Inizialmente intervengono arbitri e compagni di squadra per tranquillizzare la situazione.
E non ci riescono.

Un tifoso dei Pistons ha la geniale idea di tirare qualcosa addosso a Ron.
Putiferio.

Ron, Stephen Jackson e Jermaine O'Neal sugli scudi a dare pugni a chiunque si trovino davanti.
Una lotta selvaggia.

Sembra una scena di 300.
Battaglia epica.

La NBA sospese 9 giocatori per un totale di 146 partite e bandì 5 fans dei Pistons da ogni palazzetto.

E vissero tutti felici e contenti, o più o meno.
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mercoledì 15 novembre 2017

Space Jam compie 21 anni

Scusate se scrivo adesso, ma durante la giornata mi sono dovuto occupare di altro.

"Michael! Cosa fai ancora qui, è quasi mezzanotte"

-Non riesco a dormire papà-

"Se è per questo neanche noi con tutto il rumore che fai. Andiamo dai, vieni dentro"

-Faccio l'ultimo tiro-

"Va bene, solo uno eh..."

-Certo-

"Ehehe niente male, fanne un altro. Stai diventando un cecchino, continua a tirare finchè non sbagli!"

-Se divento abbastanza bravo posso andare al college?-

"Ah certo, se diventi bravo potrai fare qualsiasi cosa vorrai Michael"

-Voglio giocare per la North Carolina-

"Ecco hai detto una cosa saggia, quella è un'ottima università, un'istruzione di ottimo livello..."

-Voglio giocare in una squadra che vincerà il titolo e poi voglio giocare nell'NBA!-

"Ahah, se continui così ci arrivi, adesso però frena eh...meglio dormirci sopra"

-E dopo aver fatto tutto questo, voglio giocare a baseball come te papà-

"A baseball?! Ecco quello si che è uno sport! E dopo aver provato anche quello che altro vuoi fare,VOLARE!?"

15 novembre di 21 anni fa. Iniziava così, e finiva con quel ragazzino che batteva i Monstars. Usciva nelle sale Space Jam.
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Michael Jordan insieme ai looney tunes

Palermo: Tedino come recuperare l'irrecuperabile

Sarebbe stato difficile, al termine della passata stagione, immaginare alcuni interpreti rosanero vincenti e compatti fra di loro. Quasi una visione, vedere al Palermo volti sorridenti immersi in un ambiente sereno.
Eppure oggi si prende atto del lavoro certosino e silenzioso che Bruno Tedino ha cominciato sin dal primo giorno di ritiro precampionato. Il tecnico trevigiano ha capito subito l'importanza che avrebbe avuto l'attenzione del gruppo, prima che ad ogni altro aspetto tecnico-tattico.
Tedino ha chiarito le priorità e ha chiesto collaborazione a tutti i giocatori: prima diventiamo gruppo, poi squadra, poi si capirà dove e come migliorare individualmente. Come nel processo di costruzione di un edificio: senza fondamenta, non c'è piano terra, non c'è primo piano e così via.
Una volta ricompattato il gruppo, completata l'integrazione dei nuovi e riconsegnata un'identità alla squadra, Tedino ha potuto agire con mano ferma sulle individualità, a partire da quei calciatori che tanto hanno deluso e nei quali, perciò, nessuno riponeva più speranze.
Si prenda per esmpio Posavec: tra i giocatori più fischiati e insultati della storia recente rosanero. Papere su papere, così tante che il rischio di trasformare l'area di rigore in un laghetto stava per diventare realtà. Non si può affermare che il croato abbia eliminato ogni suo difetto, o colmato ogni lacuna tecnica, ma è fuori dubbio che il giovanissimo portiere stia prendendo sicurezza giornata dopo giornata. Complice la fiducia di Tedino e quella senza condizioni della società. Complice, forse, anche la presenza ingombrante di un ottimo estremo difensore come Pomini. Il fatto accertato è che non è lo stesso Posavec visto la passata stagione.
L'allenatore italiano sembra aver trovato la formula adatta anche per Struna,  di ritorno a Palermo proprio per espressa richiesta del tecnico, che da subito ha investito il centrale sloveno di grandi responsabilità. Prima a parole, poi con i fatti, schierandolo da regista difensivo e affidandogli di fatto le chiavi della difesa rosanero. Il numero 6 non ha deluso le aspettative dell'allenatore, inanellando prestazioni convincenti alla guida di quella che, al momento, è la seconda migliore difesa della serie B. E come con Posavec e Struna, Tedino ha trovato la chiave che aprisse la strada ad un altro rosanero mai entrato nel cuore dei tifosi: Ivaylo Chochev, che negli anni passati, sembrava l'ombra sbiadita del centrocampista decisivo che apprezziamo oggi. Adesso Chochev sa di poter fare la differenza in ogni partita; ha capito, insomma, di non essere scarso come veniva dipinto. Assist e gol sempre più frequenti ne sono la prova. Un altro esperimento riuscito nel laboratorio di Tedino. Quest'ultimo è al lavoro per recuperare un altro rosanero  che con la tifoseria non va molto d'accordo: Mato Jajalo. Il bosniaco ha sempre fallito l'occasione del riscatto, Tedino ha speso parole imporatanti per il centrocampista e, dopo qualche esclusione dall'11 titolare, gli ha ridato fiducia. Il numero 8 ha risposto presente e sta crescendo, anche se è costantemente fuori ruolo.

Tra i tanti recuperi che sembravano impossibili, c'è quello più importante, necessario se non vitale per l'obiettivo promozione: Andrea Rispoli, l'ex capitano che al 31 agosto aveva la valigia pronta per raggiungere Mihajilovic al Torino. Tedino è stato bravo ad accompagnare l'esterno in questi due mesi e mezzo: gestione impeccabile, se i risultati sono quelli che abbiamo visto nelle ultime uscite del vicecapitano, esplosivo come pochi.
Insomma, mister Tedino ha saputo svestire i panni del semplice tecnico, per diventare un po' psicologo, un po' motivatore, un po' alchimista. Prima alla ricerca degli elementi, poi della combinazione giusta tra di loro. Se il laboratorio guidato dal tecnico avrà serenità ed unione d'intenti anche da parte della dirigenza, non ci sono troppi motivi per abbandonarsi al pessimismo.
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Trash Talking legends ep 5

Novembre.
1995.
Chicago Bulls e Vancouver Grizzlies.
I canadesi riuscirono, non si sa bene come, a essere in vantaggio nell'ultimo quarto di partita contro i Bulls che avrebbero poi terminato quella stagione regolare con il celebre record di 72-10.
E proprio quei mostri stavano perdendo contro i Grizzlies.

Darrick Martin, guardia della squadra canadese, mise un tiro che portò i suoi in vantaggio nell'ultimo quarto, poi si girò verso la panchina avversaria dicendo:

"Ve l'avevo detto che vi avremmo battuto stasera!"

E qua mi viene un dubbio.
Non poteva pensarlo veramente.
Secondo me voleva soltanto godersi un Jordan motivato senza dover pagare il biglietto.

MJ saltò in piedi, entrò in campo appena possibile, andò verso Martin e gli disse:

"Piccolo uomo, ti avevo detto di non provocarmi."

Il detto dice" uomo avvisato, mezzo salvato" ma evidentemente non può valere per gli avversari che provocano Jordan.

19 dei suoi 29 punti totali li fece negli ultimi sei minuti di partita.

I Bulls vinsero una delle 72 partite contro Martin e compagnia, ma avrei potuto anche non dirvelo.
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martedì 14 novembre 2017

Niente Mondiale: Un occasione per disintossicarsi?

Ieri dopo la partita ho scritto delle parole, ma in quel momento ero abbastanza nervoso e non potevo analizzare bene alcuni aspetti della mancata qualificazione. A un giorno di distanza, a mente fredda proverò a capire e a farvi capire cosa non è andato in questo biennio Venturiano. 

Il calcio Italiano è morto e conosciamo tutti data e luogo del decesso: 13 novembre 2017, ore kkk, stadio Meazza, Milano. Posso dire che è morto con dignità? Non avevamo uno squadrone, magari non siamo scesi in campo messi al meglio, sicuramente il paese in cui tutti si sentono CT avrà qualcosa da dire sulle scelte di Ventura, però i nostri non hanno ciondolato. Hanno tentato il tutto per tutto. Sfortuna. Mancanza di talento. Quello che volete. Abbiamo perso combattendo e quando si ha perso bisogna farsene una ragione e vedere(non si ha scelta) il lato positivo di una situazione.
C'è un lato positivo? Secondo me si, più di uno. Ieri si parlava delle conseguenze economiche nel caso l'Italia non si fosse qualificata: tutte negative. Sponsor, vendite dei giornali, calo di riflesso nelle vendite del made in Italy. Una squadra ai mondiali porta ricchezza perchè è sotto i riflettori del mondo. Una squadra che non gioca i mondiali perde una vetrina importante.
Ci sono però altre conseguenze da valutare, non di tipo prettamente economico, ma culturale e sociale.
Il calcio italiano era già da tempo una parabola discendente e non solo da un punto di vista sportivo. Calciopoli, l'elezione di Carlo Tavecchio a presidente FIGC macchiata da certe frasi ritenute offensive per gli extracomunitari espresse dallo stesso, i cori negli stadi che, ingiustamente, hanno dipinto l'Italia agli occhi degli stranieri come un paese razzista( non che non lo sia, ma lo è meno di quanto quei cori vergognosi facciano pensare), gli episodi di fascismo sugli spalti e anche quelli in campo da parte di certi giocatori, le società ostaggio degli ultras. Il calcio italiano era moribondo da anni. Mancava di linfa vitale e può darsi che ciò sia anche una questione fisiologica.
Tornando ai problemi del razzismo e di un calcio spesso megafono più dei difetti che dei pregi della nazione, ovvio che quei difetti non vengono eliminati con una mancata qualificazione ai mondiali, ma una squalifica come quella subita lunedì impone un ripensamento, il ripristino di un sistema. E magari uno spostamento di attenzione. Come accaduto in molti altri settori, abbiamo vissuto di rendita la grandezza degli anni ottanta, ancora echeggiava nelle menti quella frase "il campionato più bello del mondo" ripetuta quando i nostri campi erano calcati dai piedi di Maradona, Zico, Van Basten, come se un passato glorioso dovesse garantirci per forza un presente, se non alla sua altezza, comunque decente. Ma non è così,l'Italia non è un paese speciale a prescindere. L'Italia è un paese che è stato speciale, grande se vogliamo, per delle circostanze storiche e culturali che lo hanno reso tale. Oggi, la storia è tale che non riusciamo a riemergere.
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Cannavaro alza in alto la coppa del mondiale vinto nel 2006

Kile Kuzma: Il ragazzo da Flint

Ogni ragazzo a Flint pensa di essere il giocatore più forte della città. Non importa se sei un ragazzino al quarto anno delle elementari o un quarantasettenne stremato che gioca nel campionato amatori. Se giochi a pallacanestro a Flint, pensi di essere il migliore cestista in città.

Prima di essere scelto con la ventottesima scelta nel draft del 2017, prima di tenere 21.9 punti, 6.4 rimbalzi, 2.7 assist, 1.4 stoppate e 1.1 palle rubate di media nella Summer League, prima che i tifosi Lakers urlassero "KUUUUZZZ" ad ogni suo tocco di palla, Kyle Kuzma sapeva di essere il giocatore più forte in città.

Sapeva pure che doveva andarsene da lì.

Crescendo a Flint, la settima più grande città del Michigan, luogo della più grande crisi d'acqua nella storia recente americana, Kuzma sentiva il suo mondo contrarsi. Ha visto la violenza delle gang, ha visto tale violenza portarsi via alcuni suoi amici d'infanzia. Ha visto casa sua, un posto dove non poteva bere dal rubinetto o aprire la propria bocca sotto la doccia. Kuzma le ha viste tutte, e il basket era l'unico modo per uscire da questo mondo.

"Non volevo tornarci", dice Kuzma, "Volevo esplorare il mondo e la vita. Volevo una vita fuori da Flint."

Kuzma inoltre sapeva che, anche se era uno dei migliori giocatori dello stato, nessuno sarebbe andato alla Bentley High School per vederlo giocare. Kuzma era il ragazzino che diceva ai professori che sarebbe arrivato in NBA, nonostante il loro sgomento.

Quando era piccolo, Kyle parlò a sua madre, Karri Kuzma, riguardo la sua volontà di giocare in NBA. Le scuole interessate, però, erano solo due: Oakland University e University of Detroit.

"Se fosse rimasto qui, sarebbe potuto andare al college e avrebbe potuto giocare, ma probabilmente non sarebbe stato al massimo livello," disse Karri. "La sua intera storia sarebbe scritta in tutt'altro modo."

Ovviamente, la storia sarebbe iniziata nello stesso modo. Karri frequentava l'Hillsdale College, una piccola scuola artistica liberale, con una borsa di studio quando scoprì di essere incinta. Era stata due volte campionessa di lancio del peso di classe B all'Otisville Lakeville High School, ma tornò nell'area di Flint per iniziare la sua vita da genitore singolo.

Prima che Kyle potesse camminare, Karri gli comprò un mini-canestro della Little Tikes.
Schiacciare in quel canestro e usare una striscia di nastro adesivo come linea del tiro libero rimangono momenti impressi nella memoria di Kyle. Hanno fatto sbocciare il suo amore per il gioco, che l'ha accompagnato verso i campetti di strada, il campionato YMCA e infine l'AAU.

Karri faceva due lavori durante tutta l'infanzia di Kyle e la famiglia si trasferì per 9 volte in 16 anni, vivendo pure nel seminterrato della nonna dopo che Karri fu licenziata.
"Lavoravo tutto il tempo", disse Karri. "Credo che lui lo comprendesse. Il duro lavoro è praticamente tutto ciò che conosce. Devi lavorare sodo per sfamare tutta la famiglia."

Kyle dovette lavorare più duramente per arrivare in NBA, e per lavorare duramente aveva bisogno di una migliore competizione. Da junior, tenne 17.9 punti, 14.4 rimbalzi, 3.8 assist e 3.4 stoppate di media a partita per la Bentley High, quindi prima del suo anno da senior mandò filamti dei suoi tiri in YMCA a varie scuole private, attirando lo sguardo di Vin Sparacio, all'epoca allenatore alla Rise Academy di Philadelphia.

Sparacio vide un talento naturale di 198 centimetri per 80 chili di peso, con un grande senso per il gioco, e lo prese immediatamente. "Non era un grande difensore, un gran tiratore o un giocatore dotato di grande controllo di palla", dice Sparacio. "Ma era facile vedere che aveva quello speciale senso per il gioco che è difficile da insegnare. Per il primo paio di mesi, non era bravo abbastanza per il livello nel quale giocava."

Per la prima volta, Kyle e Karri si separarono per un lungo periodo di tempo. La notte precedente alla partenza di Kyle per Philadelphia, Karri, incredula, si sdraiò col figlio. Lo abbracciò mentre i due piangevano insieme. "Era ciò che voleva", dice Karri. "Non potevo credere che se ne sarebbe andato."
Se ne andò e fu immediatamente gettato nel panico. Ebbe molte difficoltà in partenza, non riuscendo a tenere il passo della competizione. Non era mai sceso in campo contro cinque giocatori capaci di giocare pallacanestro ad alto livello.

La svolta arrivò dopo aver affrontato Kuran Iverson della Fishburne Military school, una delle migliori dieci reclute nella sua posizione nonchè cugino di secondo grado di Allen Iverson.
"Era l'uomo che dovevo marcare io, e mi ha molto colpito. Ero sconvolto," dice Kuzma. "Stavo pensando, Oddio, non so se sono pronto, non so in cosa mi sono cacciato."

Con una spinta da parte di Sparacio, iniziò a sollevare pesi. Durante i fine settimana di AAU, Kuzma stava nel Campus, alternando il sollevamento pesi e il giocare partitelle dalle 7 di mattina alle 7 di sera. L'allenatore vide dei miglioramenti immediati, e Kuzma finì la stagione con 22 punti e 7 rimbalzi di media, ricevendo chiamate da scuole di prima classe. Arrivarono offerte da Connecticut, Iowa State, Tennessee e Missouri, tra le altre, prima che Kuzma scelse di andare a Utah.

Kuzma migliorò improvvisamente in questa squadra sotto la guida dell'allenatore Larry Krystkowiak. Dopo aver giocato 8.1 minuti di media nel suo anno da matricola, Kuzma entrò a far parte del quintetto titolare nel suo secondo anno tenendo medie di 10.8 punti e 5.7 rimbalzi a partita tirando con il 52.5% dal campo. Nei mesi prima del suo terzo anno, Kuzma decise che se dovesse essere riuscito a tenere una media vicina alla doppia doppia e a laurearsi in tre anni, si sarebbe reso eleggibile per il draft Nba.

Dopo aver tenuto 16.4 punti di media e 9.3 assist di media, laureandosi inoltre in sociologia, Kuzma si dichiarò eleggibile.
Gli esperti del draft lo vedevano come un giocatore del secondo round o addirittura non scelto, ma Kuzma sapeva che se fosse riuscito a mettersi di fronte agli scout avrebbe impressionato. Un'eccellente prova agli NBA combine e 17 provini con altrettante squadre dopo, sembrava avesse ragione. "Non ero particolarmente nervoso perchè sapevo di star andando benissimo nel combine e nei provini. Sapevo che sarei stato draftato," dice Kuzma.
"Il giorno del draft, non ero per niente nervoso. Dopo l'inizio di esso, dopo aver visto le prime 5 scelte passare ho iniziato a pensare 'Oddio, non so dove andrò.' Solo una volta che il draft parte cominci a essere nervoso."

Nella notte del draft, mentre era ad una festa con 80 persone, tra amici e familiari, Kuzma diventò un membro dei Lakers, che acquisirono quella scelta all'interno dello scambio che portò D'Angelo Russell ai Brooklyn Nets. A Karri, che era una fan di Dennis Rodman, i Bulls e i Pistons, non piacevano i Lakers durante la sua crescita- eccetto Magic Johnson, come ci tiene a precisare.

L' "altra" matricola dei Lakers si è velocemente fatto vedere nella Summer League, sviluppando una grande intesa con Lonzo Ball prima di esplodere nelle prime tre partite di preseason, nelle quali ha messo a segno 19 punti, 23 punti e infine 21 punti rispettivamente contro i Timberwolves e nei due match contro i Nuggets, brillando in particolar modo nell'ultima di queste tre, mettendo a segno una gran schiacciata in reverse dalla linea di fondo ed essendo il miglior marcatore della squadra. Dopo partite giocate in regular season, la Kuzmania è già al culmine.

"E' surreale", dice Kuzma. " I Lakers sono la più grande franchigia nella pallacanestro, e il più grande brand nella pallacanestro. E' davvero un'esperienza surreale svegliarsi ogni giorno, mettermi addosso i miei vestiti targati Lakers, vedere Magic e giocare per Luke Walton."
Il duro lavoro non è ancora finito. Sparacio, in una recente visita a L.A., non ha potuto fare altro che notare quanto Kuzma stia ancora lavorando. "Sta lavorando come se non fosse ancora scelto," dice Sparacio. "Con i soldi dell'NBA, i ragazzi tendono a prendersi una pausa, ma lui non se n'è ancora presa una. E probabilmente non la prenderà mai."

Lo sconvolgimento non è ancora finito per Karri. Kyle la ha recentemente fatta traslocare in un bell'appartamento con la sua prima paga. I general manager dell'NBA hanno nominato suo figlio la seconda migliore steal del draft.

A Karri piace ripensare alla conferenza stampa di introduzione di suo figlio. Ad un certo punto Magic Johnson arrivò per presentarsi ai Kuzma e Karri impazzì di gioia. Quindi, con un gran sorriso stampato in faccia, Magic si presentò. " Sembrate proprio una famiglia," disse Johnson.

Per Karri, ciò mise finalmente le cose in prospettiva. Suo figlio aveva lasciato Flint. Aveva raggiunto l'NBA. Il suo sogno era finalmente diventato realtà.
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lunedì 13 novembre 2017

Italia fuori dai mondiali!!!

Scrivo queste parole a caldo perchè le impressioni che si hanno sul momento poi non si avvertono più.
Oggi L'Italia è uscita dal Mondiale(60 anni dopo l'ultima volta) forse con merito, ma sicuramente anche causa sfortuna. Non ci si può attaccare a degli episodi, anche se come ha detto Buffon nell'intervista finale, loro hanno avuto alcuni episodi favorevoli mentre noi alcuni sfavorevoli. Questa Italia ha pagato dazio al principio quando a causa di alcune sconfitte nelle amichevoli pre-sorteggio qualificazioni mondiali non è stata sorteggiata come testa di serie e ha beccato la Spagna. Questo è stato l'ultimo atto per Buffon e probabilmente per Barzagli e De Rossi, gli ultimi superstiti di una generazione d'oro capace di vincere il mondiale 2006 partendo non da favoriti. Oggi il calcio italiano sta vedendo davanti a se il baratro, è per questo bisogna ripartire da zero e puntare su giocatori italiani: il nostro campionato è pieno di stranieri e i giocatori tricolore vengono molto spesso accantonati per prendere un giocatore straniero, molto spesso extra-comunitario. Adesso non bisogna dare colpe a nessuno, i giocatori devono prendersi le loro responsabilità e pensare al prossimo scoglio che sarà l'europeo 2020. Il problema è stato Ventura? Non lo sapremo mai, fatto sta che adesso da domani si tornerà a parlare su chi deve allenare questa nazionale negli anni a venire. A me dispiace soprattutto per Gigi(Buffon) che per questa maglia ha sempre dato tutto e che non meritava di finire la carriera con una mancata qualificazione. Questo è il punto più basso che la nazionale abbia mai toccato. Stasera abbiamo fatto un po' la partita che dovevamo fare all'andata: aggressivi, spregiudicati, e con rabbia agonistica. Sicuramente appeno scaricherò l'app dei mondiali(se la scaricherò) non vedere l'italia mi rattristerà in maniera indefinibile, ma purtroppo è la realtà dei fatti.
Tutti quelli che hanno comprato la maglia nuova dell'Italia tra 30 anni si ricorderanno che quella è la maglia della nazionale che non è riuscita ad andare alla rassegna continentale, ma soprattutto si ricorderanno che come gioco è stata la nazionale più brutta da vedere di sempre. Potenzialmente sta squadra potrebbe battere tranquillamente squadre molto più dotate della Svezia, abbiamo in squadra Bernardeschi, Belotti, El Sharawy, Immobile, Florenzi e una difesa tra le più forti al mondo e ci facciamo eliminare così? Se noi andiamo a vedere i tre cambi della Svezia, il giocatore più forte è Rohden, un giocatore che gioca nel Crotone, si avete capito bene Crotone. Noi abbiamo il lusso di far entrare dalla panchina giocatori della Roma, Juventus, Fiorentina, Lazio e Napoli e non lo sfruttiamo?
Di fronte a questo insuccesso non si può che girare pagina e sperare che la federazione cambi rotta verso un campionato più italianizzato. Spero di essere stato chiaro, mi sono voluto sfogare perchè non è accettabile che la nazionale che ha vinto più mondiali di sempre dopo il Brasile non vada ai mondiali.
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Buffon durante il mondiale vinto del 2006

Italia Svezia: Oggi è il giorno, dentro o fuori

Questo dev'essere il giorno dell'impresa, di quelli che segnano puntualmente la nostra storia calcistica, che racconteremo per anni con nostalgia e qualche lacrima. Perchè tutto era contro di noi, eravamo spalle al muro, non c'erano speranze. Dal Mondiale di calciopoli a quello del silenzio stampa, dall'assedio olandese alla Germania fulminata da Grosso e Del Piero, fino a Italia-Germania 4-3: noi sempre risorti sull'orlo del baratro. In una sola maniera, con una dote speciale, il farsi squadra, che grandissime come Argentina e Francia storicamente ci invidiano, e che ci ha regalato quattro mondiali e un europeo senza avere Pelè, Maradona, Cruijff e Platini. Questo deve essere Italia Svezia.
Sicuramente in quei giorni magici c'erano però Riva e Totti, Baggio e Tardelli o Pirlo e Rivera. Stasera restano Buffon, De Rossi e Barzagli (fantastici reduci, ma all'ultimo capitolo azzurro se dovesse andar male) per raggiungere un'ultima impresa. Non contro una super squadra come Germania, Brasile o Spagna, ma con la semplice Svezia. Un ribaltone non avrà mai lo stesso fascino d'epoca, ma come giustificheremmo ai posteri un fallimento?
A Ventura non bisogna dirgli niente, l'allenatore è lui, e di conseguenza decide lui chi va in campo e chi no. La Svezia recupera il terzino destro Lustig, noi cambiamo. Non una rivoluzione ma mosse diverse da quelle immaginate. Sarà ancora 3-5-2 e Insigne resterà in panchina. Spreco? Lungimiranza? Nessuna sicurezza, il c.t. potrebbe sorprendere. Rispetto a Solna, comunque, s'annuncia una sostituzione obbligata(Florenzi per Verratti) e due per scelta tecnica: Jorginho per De Rossi e Gabbiadini al posto di Belotti

Insigne no?
Al c.t. concediamo un'attenuante: impiegare un'ala sinistra come seconda punta in un 3-5-2 significherebbe fargli fare una brutta figura. Una cosa è certa, in questo momento Insigne è il giocatore della nazionale con maggiore talento e quindi non farlo giocare significa correre un rischio. Speriamo fortemente che Ventura abbia ragione

La tattica:
L'Italia deve rischiare, cercare il gol immediatamente, partire da un teorico 1-1 subito. Servirà altro ritmo e non solo nella circolazione di palla: dalle rimesse in gioco ai lanci di Bonucci le idee dovranno essere più chiare e veloci. Non dovremo assolutamente rinunciare al pressing, per mettere la Svezia di fronte ai suoi limiti tecnici, spostando di una ventina di metri il nostro baricentro

Le marcature: 
Ci dovremo concentrare maggiormente sul contenere Forsberg, soprattutto Candreva in ripiegamento e Jorginho. Dovremo cercare di muoverci di più davanti, all'andata siamo rimasti un po' troppo statici e abbiamo aiutato due difensori lenti come Granqvist e Lindelof.

Il risultato:
Abbiamo soltanto un risultato a disposizione e vincere potrebbe non bastare. Per la regola dei gol fuori casa, l'1-0 ci garantirebbe solamente i supplementari: servono invece due gol o più di differenza per scongiurare l'apocalisse. Risultato non semplice per quest'Italia che non segna due gol a partita dall'11 giugno. L'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è "la paura stessa" come disse il presidente americano Roosvelt al popolo nel 1933, appena eletto dopo la grande depressione: La nostra Wall street, calcisticamente parlando, è stata il Bernabeu, e dal Bernabeu si esce smettendo di contorcersi.
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Insigne,Candreva,Buffon,Bonucci e Immobile sono quelli che devono trascinare questa Italia ai Mondiali

Boston Celtics: che inizio di stagione!!!

Tre settimane lunghe e intense quanto una stagione, forse anche di più.

Tutto parte dalla maledetta notte d'esordio a Cleveland. Nei cinque minuti che vanno dalla palla a due al terribile incidente occorso a Gordon Hayward, Boston apre e immediatamente chiude il libro di una storia immaginata, ma che non sarà mai scritta.
Almeno non ora, non quest'anno.

Neanche il tempo di un timeout, neanche l'occasione di guardarci negli occhi e hai perso una stella e hai perso due partite. Panic button? Non a Boston.

Una certezza, Brad Stevens. Una grande incognita, i giovani virgulti. Entrambi rispondono presente.

Ecco Brad, non so neanche esprimere pienamente l'ammirazione che ho per lui. La notte stessa dell'incidente a Hayward si occupa personalmente di caricarlo a braccia in aereo. Il suo giocatore simbolo ha bisogno di lui. Poi è tempo di fare gli aggiustamenti, di accelerare il processo di sviluppo. Scatta l'ora di Jay & Jay e i ragazzini non si fano pregare.

Nel frattempo passano otto partite, otto vittorie consecutive e i Celtics tornano a guardare la Eastern, la lega, dall'alto in basso. Questo è solo l'inizio, ma che inizio.

Stevens può contare su Irving e Horford, i suoi pilastri. Trova il modo di inserire nei meccanismi Aron Baynes e pure di testare, con incoraggianti ritorni, Daniel Theis. Ma è da Jaylen Brown e da Jayson Tatum che arrivano le risposte più inaspettate e incoraggianti.

Il sophomore da Cal Berkeley era atteso ad una conferma dopo una stagione di esordio promettente, e Brown sta facendo addirittura un passo in più. Mettendo il suo atletismo, la sua debordante fisicità a disposizione su entrambi lati del campo. 15.6 punti di media per lui e 6.6 rimbalzi, un ottimo 40% da tre, tanta energia, progressi in post, ma soprattutto la capacità di difendere, se necessario, cinque posizioni. Una delle chiavi per la squadra con il miglior defensive rating della lega.

Anche la scelta n.3 dello scorso draft, chiamato fin da subito in scena con i mattatori, non si è fatto emozionare dalla platea. In 32 minuti di utilizzo, come fosse un veterano, Tatum sta rispondendo con 13.7 punti e 6.6 carambole, più un abbagliante( sicuramente insostenibile) 52% da tre. Non iso-game, quello che sembrava il suo forte, non solo mid-range, ma varietà di soluzioni, grande reattività in catch-and-shoot dall'arco e capacità di farsi trovare negli angoli. Anche per lui contributo in difesa, grazie alle braccia lunghe e a letture da giocatore maturo.

Brillano gli occhi di Brad Stevens e credo sorrida sornione di nascosto nel suo ufficio Danny Ainge. Con la faccia di uno che lo ha sempre saputo, dall'inizio. Da anni.
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domenica 12 novembre 2017

Trash Talking legends ep 4

Finalmente un po' D'Italia.

05/12/13.
Andrea Bargnani e Kevin Garnett.
I New York Knicks fanno visita ai Brooklyn Nets.

Come ogni derby, quello della grande mela inizia a scaldarsi.
Bargnani domina tutta la partita.
Lui e Garnett si provocano a vicenda.

Nel quarto quarto Bargnani esagera parecchio con il taglia fuori e spinge KG.
Si sa, da cosa nasce cosa e Garnett risponde.

Doppio tecnico.

Pochi minuti dopo Andrea mette una tripla dall'angolo in faccia a Kevin

La leggenda, e soprattutto noi con lei, vuole che Bargnani, tornando in difesa gli abbia detto:

"Your Wife tastes like fettuccine Alfredo."

Ma per l'appunto è solo una leggenda e non ci sono le prove che sia andata così, dobbiamo continuare a sognare. Peccato.

Beccato da Joey Crawford si becca il secondo tecnico e va negli spogliatoi.

26 punti contro i 6 di Garnett.
Orgoglio italiano.

Nel post partita KG ha dichiarato di non aver capito una singola parola di quello che gli aveva urlato Bargnani perchè non sa l'italiano.

E Bargnani secco:"I wasn't speaking italian."
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sabato 11 novembre 2017

San Siro Aiutaci tu

Volete un riassunto della partita di ieri sera? Eccovi accontentati, italia brutta e confusa, De rossi devia in gol un tiro di Johansson, palo di Darmian, male le punte, disastro Verratti: giallo e squalifica e Bonucci si rompe il naso. L'Italia è un piede fuori dal mondiale, ma ancora c'è la possibilità di salvarsi: Lunedì a San Siro bisognerà vincere con due gol di scarto, difficile, ma non impossibile.
L'Apocalisse non è mai stata così vicina e il Cremlino così lontano. Ci restano 90' per salvare il mondiale. Dobbiamo chiedere un miracolo a San Siro e alle 70 mila anime che lo riempiranno lunedì. La parola "miracolo" potrebbe apparire esagerata.

Si fa dura, tremendamente dura. E non soltanto per l'1-0, che un gol alla fine puoi sempre recuperarlo. Si fa dura perchè non si vede come quest'Italia possa essere ribaltata in settantadue ore, tornando la nazionale non indimenticabile ma neanche timida , sconclusionata e disorganizzata vista in Svezia. Onestamente non c'era molto da inventarsi, gli scandinavi si sono dimostrati quelli che sapevamo: solidi, fisicamente piantati, perforabili in difesa e con poca classe. L'Italia li ha ingigantiti, giocando bassa, lentissima e rinchiudendosi nel suo 3-5-2 manco davanti ci fosse la Germania. Se fai così prima o poi qualcosa succede e infatti, dopo quasi un'ora, nel momento oltretutto peggiore degli svedesi, Johansson appena entrato colpisce De Rossi e spiazza Buffon: si riparte da 1-0, ma a guardarlo da qui sembra un abisso.

Siamo rimasti al Bernabeu
Responsabilità e colpevoli non è il caso di tirarli fuori adesso perchè ci sono ancora 90 minuti, forse di più, per "fare" l'Italia, non è una missione impossibile. Secondo me la spiegazione a tutto quello che abbiamo visto ieri sera è una: siamo rimasti alla Spagna, dal Bernabeu non ci siamo più risollevati, due successi minimi contro Israele e Albania, un pari con la Macedonia e questo k.o. con la Svezia. Siamo rimasti alla Spagna soprattutto nel gioco che non c'è. Il 4-2-4 è stato accantonato, non si sa quanto volontariamente, da Ventura: ma il nuovo-vecchio 3-5-2 è sembrato egualmente impresentabile, spiegando che oltre il sistema c'è altro. C'è una pochezza impressionante nella manovra. Si potrebbe dire, vedendo il lato positivo, che abbiamo fatto girare bassa e lenta la palla per farli uscire e colpire, ma temo che sarebbe una pietosa bugia. L'altro problema, inutile nascondersolo, è che non siamo più blindati. Con Conte il 3-5-2 chiudeva gli spiragli e chiudeva alto, questo di Ventura non solo resta troppo vicino a Buffon, ma è pure privo di protezione davanti, e non è solo colpa della BBC. La Svezia questo lo capisce subito e accentra Forsberg e avvicinando l'altro esterno Claesson ai due attaccanti centrali, si crea una zona franca davanti all'area dove la Svezia è sempre in superiorità e in anticipo e dove nascono tutti i pericoli

Pochi alibi
Poi ci si può aggrappare a tutto: ai fallacci degli svedesi,che facevano a gara ad alzare i gomiti, si può ricorrere al palo di Darmian, il più costante e lucido, ma cambia poco: abbiamo perso e dobbiamo già pensare a lunedì. Ventura poi dice: "Più giusto il pari, noi penalizzati dall'arbitro: ora ci aiuti San Siro", poi continua:" Abbiamo sofferto la loro fisicità, dobbiamo lavorare sulla testa, adesso cambierò qualcosa ma servirà la voglia di vincere.
Dal mio parere c'è da preoccuparsi, ma non più di tanto, sono convinto che l'Italia spinta dai 70 mila di San Siro riesca a tornare a esprimere un gioco decente e possa ribaltare il risultato dell'andata, ma per averne la certezza bisognerà aspettare lunedì serà.
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De rossi devia in porta il tiro di Johansson

venerdì 10 novembre 2017

Simone Verdi: a Bologna ha ritrovato fiducia?

La sua carriera sembrava non dovesse mai decollare. Fenomeno nelle giovanili del Milan, discontinuo e meteora in serie A. L'etichetta del classico incompiuto. I primi anni tra Torino, Empoli, Juve Stabia, Eibar e Carpi sono caratterizzati da più bassi che alti, tant'è che dopo queste esperienze nessuno sembrava più credere in lui. Ma poi arriva il Bologna... Il feeling tra il trequartista e la piazza felsinea è instantaneo, il buon Simone offre prestazioni e gol di alta classe sin dall'inizio dello scorso anno. Quest'anno si sta confermando sui livelli dello scorso anno e i due gol su punizione contro il Crotone sono due autentiche perle: a renderle “autentiche” è soprattutto il cambio di piede nel calciarle. La prima di sinistro, la seconda di destro, il risultato è lo stesso: Palla in rete! Primo nella storia a segnare due punizioni nella stessa partita con entrambi i piedi. Purtroppo non sono servite al Bologna per vincere la partita, ma saranno servite sicuramente per far capire, in primis forse a lui stesso, del grande potenziale in suo possesso. Il passato da incompiuto sembra non esistere più, il presente del Bologna si chiama Simone Verdi: sperando in un futuro dove possa fare il definitivo salto di qualità.
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mercoledì 8 novembre 2017

Che fine ha fatto Gianluigi Quinzi?

Mentre il 5 giugno 2010 Francesca Schiavone vinceva il Roland Garros, sempre a Parigi l'ambiente tennistico stava seguendo le prestazioni di un giovanissimo ragazzo di Porto San Giorgio di soli 14 anni, pupillo di Nick Bollettieri.
All'epoca Quinzi era considerato il grande nome che avrebbe portato alla rinascita il movimento tennistico maschile italiano e che avrebbe potuto riportare in Italia qualche trofeo dello slam anche nel settore degli uomini. La sua crescita è stata imperiosa e costante nei piani alti del tennis juniores, coronata dalla vittoria del torneo giovanile di Wimbledon, con il quale ha affiancato nell'albo d'oro campioni come Roger Federer, Stefan Edberg, Bjorn Borg e Ivan Lendl, ma bisogna precisare anche numerosissimi casi di flop tra i professionisti, chi ricorda Florine Mergea, Thiemo De Bakker o Martin Fucsovics?
Ad anni di distanza si è di nuovo tornato a parlare del futuro del tennis italiano, sebbene con toni completamente diversi. Il ritiro di Flavia Pennetta e quelli imminenti di Schiavone e Vinci, la scissione della famiglia Giorgi dalla federazione, l'età avanzata di Seppi, la lungodegenza di Bolelli, hanno aperto una fase interlocutoria e creato allarmi. Nel frattempo i risultati di Quinzi hanno continuato a deludere, fino a quando non è stato addirittura considerato un ex prospetto e portando avanti con più insistenza le candidature di altri profili, teoricamente anche meno dotati, come Napolitano, Donati, Sonego e Pellegrino.
L'opinione pubblica ha cavalcato l'onda della precocità di Quinzi nei successi nel circuito giovanile e con la stessa fretta lo ha etichettato come bruciato, mettendolo fin troppo in paragone diretto con altri suoi più o meno coetanei( Coric, Kirgios, Zverev, Edmund, Kokkinakis prima dell'infortunio) ora già stabilmente in top 100. In effetti se ci pensiamo bene non è per forza automatico esplodere prima dei 20 anni, e magari Quinzi per caratteristiche tecniche, fisiche o di personalità ha bisogno di più tempo per liberare il proprio talento.
Nato a Cittadella il primo febbraio del 1996, Gianluigi Quinzi è cresciuto nel circolo del paese dove è poi vissuto e vive attualmente. Dopo aver provato diversi sport da bambino, a sette anni decide di dedicarsi esclusivamente al tennis e già un anno dopo Bollettieri gli offre una borsa di studio nella sua famosa Academy a Bradenton, in Florida. Quinzi vince il prestigioso trofeo Bonfiglio nel 2012 a 16 anni in un torneo Under 18 distruggendo tra l'altro Borna Coric in semifinale, e la Coppa Davis Junior nello stesso anno, vincendo in finale il singolare contro Kokkinakis e trionfando in coppia con l'altra promessa italiana Filippo Baldi nel doppio decisivo sugli australiani. L'anno successivo vince l'edizione junior di Wimbledon battendo in semifinale Edmund e Chung in finale: la popolarità schizza alle stelle e i tempi per l'ascesa tra i professionisti sembrano imminenti. Invece a sorpresa ci sono le prime difficoltà, con un best ranking tuttora fermo alla posizione 301 e i primi due top 100 battuti solo quest'anno.
Quando vinse Wimbledon, Quinzi si presentava come un ragazzo alto e fisicamente più sviluppato dei suoi coetanei. Nonostante dicesse di ammirare Nadal e tutti lo accostassero ingiustamente allo spagnolo, Quinzi aveva in comune con lui solo l'essere mancino. Era invece un giocatore diverso, sia nell'esecuzione dei colpi che nella ricerca della posizione in campo. Il colpo sicuramente più naturale di Quinzi è il rovescio, la palla che gli esce è molto piatta e rapida. L'attacco con il rovescio lungolinea è forse la vera arma principale nel bagaglio tecnico di Quinzi, con la quale molto spesso capovolge l'inerzia dello scambio a proprio favore e che secondo Bollettieri dovrebbe seguire molto più spesso a rete. Nella mente di Quinzi è talmente radicata la convinzione della solidità del proprio rovescio bimane che in alcune occasioni in corsa ci arriva in allungo sicuro di ribattere efficacemente la palla, quando sarebbe molto più consigliabile un back anche per rifiatare e riprendere campo.
L'impostazione del dritto mancino è completamente diversa rispetto al rovescio. L'apertura è molto più elaborata e porta subito dietro il gomito durante l'apertura( una caratteristica comune a Kirgios, Kokkinakis ed Edmund, che sia una prerogativa della nuova scuola?). Quando ha tempo di aprire e comandare il gioco Quinzi è molto efficace anche con il dritto, ma soffre maggiormente in situazioni di difesa per la sua apertura.
Quinzi non ha una gran varietà nelle soluzioni al servizio, ma ha un'ottima velocità con la prima: già tre anni fa superava costantemente i 190 km/h. La seconda è più leggera e incostante e gli causa spesso numerosi doppi falli. Anche nelle esecuzioni a rete Quinzi mostrava margini di miglioramento, l'attacco in controtempo in avanzamento in corsa sembrava più che buono ma necessitava di un colpo quasi definitivo e di un conseguente passante lento in difesa dell'avversario. Quando veniva chiamato a rete e non poteva giocare un attacco efficace, il posizionamento e la difesa della rete erano un problema che per sua fortuna condivideva anche con i suoi coetanei.
La vittoria di Wimbledon ha aperto a Quinzi una seconda parte di carriera, paradossalmente la peggiore. La luminosità del futuro atteso dall'Italia intera è stata oscurato dall'ombra pesante della pressione, delle aspettative da mantenere, della giungla del circuito maggiore ricco di vecchie volpi.
Già senza consultare i risultati è perfettamente visibile da alcuni match recenti la differenza di atteggiamento sul campo e di autostima rispetto al periodo d'oro del circuito giovanile. Quinzi gioca sempre più lontano dalla riga di fondo e sembra sempre più incapace di comandare il gioco.
Quinzi ha detto di aver iniziato a sentire la pressione dopo la vittoria di Wimbledon, generando frettolosi giudizi sulla sua incapacità mentale di gestire la propria crescita e la propria notorietà, necessaria per diventare un campione. Quinzi è entrato in un tunnel dal quale non è facile uscire.
Quinzi ha motivato la perdita di fiducia parlando di pressione, sfiducia e necessità di migliorare psicologicamente. Recentemente Zverev ha detto che la sua ricetta per scacciare la pressione è quella di pensare soprattutto a migliorare partita dopo partita, senza pensare troppo ai singoli risultati e soprattutto alle classifiche. Un motivo della crisi psicologica di Quinzi potrebbe risiedere nell'eccessiva concentrazione sui risultati . Un'altro motivo di questi passi indietro potrebbe però essere trovato nella sua ossessiva centrifuga di coach al suo angolo( tale da averlo perfino etichettato come lo "Zamparini" del tennis azzurro) . Insomma qualche base per riprendere il percorso è stata gettata, è abbastanza ridicolo escludere categoricamente il suo nome dalla lista di quelli che potrebbero rappresentare l'elitè del tennis italiano, ma il livello attuale non è certo sufficiente per un avvenire roseo.
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