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Juventus, CR7 prove di addio: Storia di un'amore mai decollato

 Rispetto, passione e voglia di vincere . Tre pensieri che accomunavano la Juventus e Cristiano Ronaldo tre anni orsono e che sono stati f...

mercoledì 30 maggio 2018

Perchè il Real ha vinto così tanto?

Vincere è importante, confermarsi lo è ancora di più. Jordan e i Bulls non sarebbero stati lo stesso se la loro dinastia si fosse interrotta ad un anello NBA. Lo stesso dicasi, cestisticamente parlando, per i Lakers di O'Neal e Bryant. Nel calcio il Milan di Sacchi, il Barcellona di Guardiola, sono le squadre che maggiormente nell'era moderna si avvicinano per caratteristiche quali, solidità economica, gruppo tecnicamente eccelso, allenatore intelligente, a questo Real. I bilanci offrono il retroterra oggettivo sul quale costruire la casa dei sogni, nella quale i giocatori poi devono coabitare. Chi ha giocato in sport associativi capirà l'importanza del fattore umano all'interno del gruppo, il superamento dell'IO per il NOI, per dirla alla Phil Jackson. La differenza tra il Real e il plotone che insegue è la parolina magica chiamata "ciclo", dove lo zoccolo duro della formazione non viene smantellato, ma anzi ogni anno alimenta il senso di appartenenza. Facile sognare di giocare al Real, direte voi. Si, ma un conto è far parte di un gruppo, un altro è essere gruppo. Il Real dei Galacticos era una formazione bella da vedere, ma solo nella lettura delle formazioni. Poi, le finali sono sempre storie a sé, partite secche dove il fattore sorpresa (C, fate voi) è dietro l'angolo, ma sono considerazioni formali, di facciata, insomma scontate. In un calcio polarizzato, nel quale i migliori talenti sono concentrati in pochi club, la sorpresa non è più la vittoria, ma lo sgretolamento di record nei filotti di vittorie. Un Marsiglia, per citare anche la parte di Madrid "meno vincente", avrà sempre meno possibilità di iscrivere il suo nome nell'èlite europea. Perché? Il gruppo, l'abitudine al successo, il gap tecnico, aggiungete voi ciò che resta. Parafrasando Lineker, per concludere, il calcio è un gioco semplice, si gioca 11 vs 11 e alla fine vincono le squadre di Madrid.

martedì 29 maggio 2018

Commento amichevoli internazionali

Siamo ufficialmente in clima pre-Mondiale.
La serata di ieri ha visto scendere in campo alcune delle selezioni impegnate nella prossima Coppa del Mondo: vediamo di mettere ordine assieme e di ricapitolare quanto accaduto.
ITALIA-ARABIA SAUDITA 2-1
Non ce ne voglia la squadra di Mancini, ma la nostra attenzione é stata rivolta esclusivamente verso la selezione saudita, impegnata il 14 Giugno nella partita d’esordio contro la Russia.
In particolar modo, occorre fare un po’ di chiarezza sulla squadra di Pizzi, dopo la confusa telecronaca RAI.
Innanzitutto, il test contro l’Italia arriva nel massimo momento di carico per la nazionale saudita: i Green Falcons sono in ritiro da inizio Maggio, salvo i tre “spagnoli” e gli elementi dell’Al Ahly che hanno raggiunto il ritiro solamente in seguito (per motivi diversi), hanno già giocato due amichevoli (vinte contro le selezioni B di Algeria e Grecia) ed é comprensibile che possano soffrire di una certa pesantezza nelle gambe.
In secondo luogo, Pizzi ha approfittato dell’esibizione per testare diverse seconde linee. Al Shahrani, terzino mancino naturale, è stato dirottato sulla destra per favorire l’inserimento di Al Harbi, in ballottaggio con Al Burayk per un posto da titolare.
Il reparto offensivo si é visto totalmente rivoluzionato (e impoverito): Al Muwallad, Al Dawsari e Al Shalawi, principali protagonisti della cavalcata di qualificazione, sono stati lasciati a riposo (per lo meno inizialmente), senza contare l’assenza del trequartista Al-Abed, alle prese con l’ultima fase di riabilitazione dopo un lungo infortunio.
Non è un caso, infatti, che l’Arabia Saudita abbia espresso le migliori cose nella seconda parte del match, quando ha potuto godere dell’innesto di molti elementi titolari, grazie ai quali ha potuto ritrovare velocità e proprietá di palleggio.
Questa é una squadra che difficilmente potrà passare il turno a causa di un’ineguatezza difensiva evidente, soprattutto nella coppia centrale, ma é tutt’altro che mediocre nelle geometrie sulla trequarti e darà del filo da torcere a Russia ed Egitto nel proprio girone.
Ottima prestazione per Al-Shehri in mezzo al campo, apparso in forma nonostante le zero presenze nell’ultimo semestre al Leganes, autore della rete di consolazione.
TURCHIA-IRAN 2-1
Continua il claudicante cammino preparatorio dell’Iran, che esce ancora una volta ridimensionato dal confronto amichevole, questa volta contro la Turchia.
La diatriba da Carlos Queiroz e i vertici della Federazione, arricchita nelle ultilme settimane da numerosi polemici comunicati del selezionatore portoghese, non deve aver contributo a rendere serena l’aria nel gruppo.
Queiroz ripropone il classico 4-2-3-1, al livello del quale però, rispetto al cammino di qualificazione, cambia la coppia difensiva centrale: affianco a Pouraliganji, inamovibile centrale dell’Al Sadd, viene schierato Chehsmi, difensore dell’Esteghlal, che prende il posto dell’escluso (non senza polemiche) Hosseini. Non si rivelerà una grande mossa. Il centrale dell’Esteghlal si dimostra doppiamente impreparato e colpevole nei due gol segnati dai turchi: prima si fa uccellare da Tosun in area di rigore e poi, nel corso della ripresa, sbaglia completamente lettura in ripiegamento sullo stesso attaccante dell’Everton.
Ciò che preoccupa maggiormente è la scarsa affinità tra i calciatori offensivi. Una formazione con un reparto d’attacco così tecnico e temibile, composto da elementi come Jahanbakhsh, Ansarifard, Azmoun e Taremi, deve necessariamente mantenere una mentalità propositiva, ma é chiaro che serve trovare una pulizia di manovra ben superiore per controllare il possesso e evitare così di mettere pressione sulla propria (mediocre) difesa.
Inutile il gol della bandiera di Dejagah, arrivato in pieno recupero su rigore.
PORTOGALLO-TUNISIA 2-2
Attenzione alla Tunisia. Questa squadra dimostra il giusto mix di tecnica, fisicitá, versatilità tattica ed esperienza internazionale per poter fare lo scherzetto: Belgio e Inghilterra, avversarie nel girone mondiale, dovranno arrivare al massimo della propria condizione per non cadere nella trappola tunisina.
La squadra di Maaloul può interpretare sistemi diversi: contro il Portogallo si dispone con un ordinato e propositivo 4-4-2, privo del proprio capitano Khazri, ma con Benalouane in mezzo alla difesa e Badri e Sliti, calciatori dall’attitudine spregiudicata, sulle corsie esterne. Pur soffrendo la qualità avversaria e andando doppiamente sotto (grazie al tempismo di Andrè Silva e a un bellissimo gol di Joao Mario), i tunisini non hanno mai smesso di offendere e di creare pericolo lungo le zone esterne del campo. Il Portogallo soffre terribilmente l’inferioritá numerica in ripartenza lungo gli esterni e prima Badri, supportato da Sliti, e poi il mediano Ben Youssef riescono con caparbietà ad agguantare il pareggio. Detto questo, è comunque un risultato che sta stretto alla squadra di Fernando Santos, priva di CR7 e disposta con il classico 4-3-3: Hassen, portiere tunisino, ha avuto una serata particolarmente impegnata e Bernando Silva ha trovato anche un palo.
Da tenere sott’occhio Nagguez, terzino destro tunisino classe 1992: nonostante debba migliorare tatticamente (la rete di Andrè Silva arriva da una sua diagonale mancata), dispone di fisicità, atletismo e attitudine alla spinta che garantirebbero un buon contributo in Europa. Attualmente gioca in Egitto con lo Zamalek, ottimo rapporto qualitá/prezzo.
Nelle altre due sfide, una Francia sperimentale e imbottita di riserve prende a pallate la malcapitata Irlanda. Nonostante l’iniziale riposo imposto a Griezmann, Pogba, Kante, Dembele e Lloris, oltre all’assenza di Varane, è sostanzialmente attacco contro difesa per tutta la partita. Decidono Giroud di testa e un comico gol da fuori di Fekir. Se contro di noi giocano con i titolari, finisce in imbarcata.
Poco possiamo dirvi invece sul pareggio della Nigeria contro la RD Congo (1-1), a causa del pessimo streaming fornito dall’emittente locale. La Nigeria è comunque scesa con gran parte della formazione titolare, un 4-3-3 con un centrocampo muscolare (Onazi-Obi-Etebo), Iheanacho sull’esterno e il mitico Nwankwo Simy come centravanti. Facile che l’attaccante del Crotone possa mantenere il posto al centro dell’attacco, in una rosa ricca per lo più di seconde punte.
In porta sembra prendere forza la candidatura di Francis Uzoho, portierino classe 1998 del Depor: sarebbe il più giovane del Mondiale in quel ruolo.

lunedì 28 maggio 2018

Lebron James: onnipotenza assoluta

La più incredibile di tutte.
Contro ogni pronostico.
Spalle al muro al primo turno, ha preso per mano i suoi. Fuori i Pacers.
Ha spazzato via Toronto 4-0.
Spalle al muro contro i Celtics.
0-2 subito, Boston che nella sua storia non ha mai dilapidato un vantaggio del genere. Pareggia la serie, si trova sotto 3-2 e perde Kevin Love.
Gioca 46 minuti in gara 6, ne gioca 48 alla settima. Come non faceva dal 2006. Sono passati 12 anni, è alla 100esima partita della stagione, ha giocato più minuti di tutta l’NBA in regular season, ha giocato più minuti di tutti nei Playoff.
Ma la Grandezza supera, e di molto, la stanchezza. Conta solo vincere, conta trascinare la squadra alle Finals.
In pochi lo seguono, la panchina segna 5 punti. Servono straordinari in attacco e in difesa. Da un lato crea 21, ventuno tiri per i compagni. 13 di questi sono aperti, smarcati, con metri di spazio. In difesa contro di lui i Celtics tirano 6/19. Serviva l’MVP su due lati del campo, è arrivato nel momento più delicato della serie, della stagione e forse tra i più difficili della sua carriera.
Perché si sa, dopo quest’annata di gente pronta a criticarlo per una eliminazione ce n’è sempre tantissima, gli stessi che prenderanno voce dopo le Finals. Un’abitudine. Di chi dimentica che l’ultima volta in cui non ha giocato le Finals il 78% degli attuali giocatori NBA non aveva ancora esordito.
Ha vinto in un Garden che in post-season non era stato ancora violato. Lo ha fatto segnando nei momenti più delicati, col cronometro vicino allo zero, da 3, in penetrazione, galleggiando in aria, nel traffico di sinistra tra 3 uomini C’s a ostacolarlo.
Dopo 47 minuti di pazzesca intensità, in volo verso il canestro, è stato letteralmente braccato da Morris che lo ha tirato giù con due braccia. È arrivato anche Brown a toccargli la palla, ma ha segnato col fallo. Nella più grande dimostrazione di forza della più grande cavalcata Playoffs della più grande macchina da guerra vista su un campo da basket.
Gara 7 è sua, come le ultime sei giocate. A 34.5 punti, 11 rimbalzi, 6.2 assist di media. Non ne perde una da 10 anni. E ora sono Finals.
8 consecutive. Come solo 5 giocatori, tutti di Boston, più di 50 anni fa.
Ma queste valgono di più. Dopo le rivoluzioni, le trade, le critiche, la fatica, vince lui. Vince sempre lui. Alle Finals ci arrivano Hill, Green, Nance, Clarkson, Thompson, Korver, Hood e JR.
C’è posto per tutti sulle spalle di LeBron Raymone James.

sabato 26 maggio 2018

Real- Liverpool: Ronaldo o Salah?

Madrid
Se stasera il portoghese dovesse vincere metterebbe in bacheca la quinta coppa, nella storia Gento ne ha 6, Paolo Maldini, Di Stefano e Zarraga 5.
Tra gli attaccanti del Real è l'unico ad essere sicuro del posto da titolare, dietro di lui sgomitano in cinque per due posti: Asensio, Bale, Benzema,Isco e Lucas Vazquez.
Zidane probabilmente schiererà la stessa formazione di un anno fa a Cardiff con un solo cambio: Bale al posto di Benzema. C'è chi parla del ritorno della BBC, Bale- Benzema e Ronaldo, ma il tridente non gioca assieme in Champions dallo scorso anno: nel girone per acciacchi vari, dagli ottavi in poi per scelta tecnica: col PSG titolari Ronaldo e Benzema, poi due volte sostituito da Bale. Contro la Juve invece all'andata panchina per il gallese, al ritorno per Karim. Col Bayern a Monaco Bale in panchina inutiliazzato e al Bernabeu rimpiazzo di Benzema a metà ripresa.

Liverpool
The Trident, per dirla all'inglese, ha fatto 90 gol in questa stagione. Una cifra incredibile.
Momo, il re nella terra dei faraoni ha firmato 44 reti in 51 gare, Roberto Firmino, l'uomo che viene dal Brasile, è a quota 27 in 53 gare, mentre Sadio Manè, il profumo dell'Africa, vanta 19 centri in 43 match.
La figura chiave del Trident è Firmino. Fra i tre, è il re degli assist: ben 16, contro i 14 dell'egiziano e i 9 del senegalese. Firmino è attore protagonista e spalla.
Il Trident neanche a dirlo è l'anima del Liverpool che ha realizzato ben 46 reti in Champions. ;a prima fu segnata da un "ragazzino molto interessante" Trent Alexander-Arnold, nell'andata dei playoff sul campo dell'Hoffenheim. Perchè poi c'è anche questo dato da non dimenticare, la cavalcata dei Reds cominciò nel Ferragosto 2017. Quattordici gare, nove successi, quattro pareggi, una sconfitta, 46 gol all'attivo e 16 subiti. In 2 circostanze i Reds hanno vinto 7-0: con il Maribor in trasferta e con lo Spartak Mosca in casa. Insomma una vera e propria macchina guerra.
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We are all witnesses, again.

C'era chi diceva che questa fosse l'ultima partita di questi playoffs per i Cavs, c'era chi diceva che LeBron in gara 5 era apparso per la prima volta stanco e non sarebbe riuscito a trascinare i suoi a gara 7, poi c'è chi come me si affida molto ai dati e va vedere le statistiche del Re nell'elimination game:
Le ultime 7 partite di LeBron quando si è trovato spalle al muro e a una sconfitta dall’eliminazione:
45 punti, 8 rimbalzi, 7 assist
41 punti, 13 rimbalzi, 8 assist
31 punti, 10 rimbalzi, 11 assist
27 punti, 11 rimbalzi, 11 assist
41 punti, 8 rimbalzi, 11 assist
41 punti, 16 rimbalzi, 7 assist
32 punti, 18 rimbalzi, 9 assist
Occhio.

Ecco l'ultima parola, occhio è quella che conta di più, è il succo del discorso, invita tutto il mondo Celtics a porre attenzione. Qual'è il risultato? Finisce come tutte le altre volte, 40 punti o tripla doppia da assoluto dominatore.

Con poco più di due minuti da giocare i Celtics rientrano a -7, il re allora si infastidisce e decide di chiuderla in questa maniera:
  1. Uno contro uno con Tatum, tripla in step back da 8 metri.
  2. Uno contro uno con Tatum, tripla in step back da 8 metri e mezzo.
  3. Una penetrazione con palla poggiata al vetro con fallo subito contro Brown
Alla fine chiude con 46 punti, 11 rimbalzi, 9 assist, 3 palle recuperate, 5/7 da tre e... una stoppata.

Questa stoppata arriva sul +16, subito dopo aver segnato in contropiede.

Tutto questo al minuto 29 in campo su 29 totali.
Si, perchè LeBron riposa 57 secondi nel terzo quarto ed esce a 57 secondi dalla sirena finale, dominando e avendo sempre il controllo del gioco, come fa d'altronde da 15 anni a questa parte.

In questi playoff è alla settima partita da 40 o più punti, come Jordan nel 1989 e a -1 da Jerry West, primatista assoluto.

Dopo la miglior regular season in 15 anni di NBA e i migliori playoff ecco una delle 2-3 migliori partite della sua carriera. Nel solo ultimo quarto ha messo insieme 14 punti, 4 rimbalzi e 2 assist. Con una Boston mai doma, che rientrava e continuava a spaventare.

Ah... Love non ha praticamente giocato a causa di una commozione celebrata che gli è costata l'abbandono del campo dopo appena 5 minuti di partita.

Può fare più di così? E' umanamente possibile? C'è qualcos'altro che possa fare per voi?
Ma no, James apposto così, grazie.

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venerdì 25 maggio 2018

LeBron ti chiediamo un altro miracolo

CON I CAVS ORMAI AD UNA PARTITA DALL'ELIMINAZIONE, LEBRON JAMES DEVE ESSERE SEMPLICEMENTE PERFETTO NELLE PROSSIME DUE GARE SE CLEVELAND VUOLE SOPRAVVIVERE
È così. LeBron James ha trascinato i Cleveland Cavaliers come fossero il suo personale fardello durante tutti i playoff NBA, quindi quello che ci si attende adesso da lui non sarebbe una novità in senso assoluto, per questa stagione. Deve semplicemente essere perfetto. Due volte di seguito. Contro una squadra come i Boston Celtics, che sembra già pregustare il viaggio verso le Finali NBA.
La vittoria di Boston mercoledì sera (96-83) nella quinta partita delle Eastern Conference Finals mette infatti James e compagni sull'orlo dell'eliminazione (Boston guida la Serie 3-2), con tutto quello che potrebbe accadere nel caso: speculazioni sul futuro della franchigia, sui piani di James per la fase finale della sua carriera (Rimarrà? Andrà via?) ed in generale con il destino del basket giocato a Cleveland a rischio, almeno come lo conosciamo oggi.
Qualcosa di meno rispetto al miglior LeBron James, ed i Cavs sono finiti.
Bron che in realtà non è stato perfetto mercoledì, ma che è stato comunque il migliore tra i suoi compagni di squadra. Ha collezionato 26 punti tirando 11/22 dal campo, con 10 rimbalzi e 5 assist. Le sue 6 palle perse pesano nel giudizio, ma molte di queste sono state la diretta conseguenza dei continui raddoppi a tutto campo dei difensori di Boston, che chiudevano le finestre di passaggio non appena si aprivano. Considerando che nessun altro Cavaliers ha chiuso con più di 6 canestri segnati o con più di 2 assist, possiamo perdonare al Re i suoi errori, alla luce del carico che portava.
Un paio di esempi della partita dei suoi compagni di squadra?
George Hill e JR Smith hanno segnato complessivamente 2 soli canestri, ed i rispettivi +/- (una statistica che calcola il risultato netto della squadra quando il giocatore in esame è in campo) registrano -21 e -19. Un disastro. Nonostante tutto, Coach Tyronn Lue ha tenuto fuori Kyle Korver nell'intero primo e terzo Quarto di gioco, continuando invece a cavalcare Smith cercando… Bo. È difficile indovinare cosa stesse cercando di ottenere.
Certo, i Celtics hanno spesso attaccato Korver in difesa. Ma i Cavs che, ricordiamo, hanno segnato 83 punti in Gara 5, forse avrebbero beneficiato della sua qualità offensiva.
Ma ancora più strana è stata la gestione di Kevin Love e dello stesso James all’inizio del quarto Quarto. Lue ha iniziato il periodo con entrambi i suoi migliori giocatori a riposare in panchina, permettendo ai Celtics di aumentare il vantaggio da 16 a 21 punti. Senza senso.
Va detto che in difesa i Cavs non hanno demeritato, hanno addirittura tenuto Boston senza canestri per nove possessi consecutivi nel 4Q (Boston ha tirato solo con il 36.5% dal campo nella notte). Questo sforzo difensivo sarebbe dovuto essere sufficiente per vincere. Invece, come sappiamo, James non è stato perfetto, il suo supporting cast lo ha abbandonato ancora una volta, e di Lue abbiamo detto.
La differenza tra ciò che serve a Cleveland per vincere una partita, e ciò che basta invece a Boston, non potrebbe essere (anche inaspettatamente, all’inizio delle Serie) più ampia.
Il giovane Jayson Tatum ha guidato i Celtics con 24 punti, ma non ha dovuto giocare ad un livello mondiale per permettere alla sua squadra di vincere. Boston ha avuto altri quattro giocatori in doppia cifra, ha profuso un grande sforzo difensivo in tutte le sue parti ed ha vinto agevolmente nonostante un Rozier da 3/15 dal campo.
Questi Celtics probabilmente non hanno una stella trascendente, ma questo non significa che non possano vincere in più di un modo. Significa, soprattutto, che possono vincere anche senza affidarsi ad un uomo solo.
Per Cleveland è diverso. Il suo successo dipende da James. Deve segnare, deve creare per i compagni di squadra (che non possono creare nulla, da soli) e deve difendere in maniera che definirei “contagiosa”.
Come aiutarlo?
Cleveland deve giocare di più su Korver, innanzitutto. Potrebbe poi anche riportare Love nel ruolo di Centro, aumentando le spaziature e creando più chance per segnare. Boston ha allontanato i Cavs da quell’idea in precedenza nella serie (Gara 1) prendendo di mira Love e Korver in difesa, ma quando totalizzi solo 83 punti in una partita fondamentale come la recente Gara 5, vale la pena di riconsiderare tutto ciò che può essere utile a segnare.
Ma, alla fine, tutto dipende da James.
Deve fare ancora 44 punti, con Boston che sceglie di lasciarlo giocare praticamente da solo per tenere i suoi difensori in aiuto incollati ai tiratori?
Deve invece distribuire una dozzina di assist per i compagni e scegliere quindi di tirare solo 12 volte (8 su 12 al tiro) come fatto in Gara 3?
Non è semplice. I Cavs hanno comunque perso di 13 punti Gara 2, quando James ha fatto (incredibile) entrambe le cose. Ha segnato 42 punti (tirando con un efficiente 16 su 29 dal campo), ed ha smazzato 12 assist (il tutto condito da 10 rimbalzi). Ed è questo l’aspetto più preoccupante per i Cavaliers. Anche quando James fa tutto quello che è umanamente possibile (e forse un po’ di più), il risultato non è comunque garantito.
Ricordiamo che i Celtics sono 10-0 in casa in questi playoff. LBJ e compagni dovrebbero adesso vincere in casa Gara 6, per poi chiudere la Serie con una vittoria a Boston nella decisiva Gara 7.
Sembra semplicemente troppo. Nessuno, nemmeno il giocatore più forte del pianeta, può giocare 82 partite di Regular Season nella sua 15a stagione nella Lega, per poi trascinare un roster mediocre per tutti i PlayOff, e per poi trovarsi a fine Maggio a dover sfornare due partite consecutive oltre la perfezione in regime di “win or go home”. Sarebbe una impresa oltre la leggenda, una cosa da scrivere sui Sussidiari delle elementari tra le imprese di Giulio Cesare e Napoleone.
È impossibile. È irragionevole. È troppo per chiunque.
Ed infatti lo stiamo chiedendo a LeBron James.

Carlo Ancelotti nuovo allenatore del Napoli

“Le possibilità per far si che questa non si sia rivelata solamente una felice parentesi tecnica sono poche: ingaggiare un allenatore (nel caso in cui Sarri decidesse di lasciare) dal curriculum e considerazione paragonabili a quella di Benitez dell'epoca, per poter ricominciare un percorso di crescita e consolidamento extra-nazionale, oppure vincere il campionato attuale, permettendo così al club di poter godere del vantaggio di "testa di serie" nella prossima Champions League, la prima nella nuova versione elitaria.”
Opzione 1, del resto, obbligata.
Carlo Ancelotti è il Rafa Benitez di cinque anni fa.
Impossibile che il rapporto tra Sarri e il Napoli potesse continuare: l’ottimo lavoro di campo dell’allenatore toscano ha reso internazionale un gruppo di giocatori immerso in un contesto fortemente nazionale, o meglio, italico: nella gestione societaria, nelle strutture a disposizione, nella differenza dei risultati in campionato e in Europa.
Per Mertens, Koulibaly, Callejon, Hamsik, Zielinski, Jorginho sarebbe stato controproducente rimanere in Campania in assenza di un progetto che permettesse loro di calcare nella maniera più adeguata palcoscenici di altissimo livello: Ancelotti è l’evidenza più chiara di una forte proiezione all’Europa.
Ai top-player attualmente in rosa viene dunque data l’opportunità di scegliere: andare meritatamente in un grande club o rimanere in quella che sarà una squadra migliore, più ampia, più completa, e contribuire a portarla nella top ten del calcio europeo. Irrilevante la loro decisione, in quanto con queste basi verrebbero comunque sostituiti a dovere.
Perchè Ancelotti è garanzia di ambizione, è sicurezza di un progetto tecnico importante, e rappresenterà il vero (e probabilmente unico, ma dominante) punto di forza del calciomercato partenopeo. Si passerà come d’incanto dagli Inglese, Maksimovic, Tonelli, Valdifiori, Pavoletti, Ounas a profili di livello o di avvenire internazionale, e non è difficile capire il perchè.
Ma la cosa più interessante è che cambiano gli obiettivi: dall’affannosa rincorsa allo Scudetto al consolidamento europeo, in una gestione tecnica che dovrà garantire grandi risultati internazionali e la possibilitá di ripetere questi anche nella stagione successiva.
Perchè se il contesto non aiuta (o meglio, non è stato aiutato) a proiettarti in alto nelle considerazioni europee, serve necessariamente il contributo del campo.
Europa=ricavi, Europa=appeal, Europa=garanzia di continuità.
La dimensione europea come unica possibilità di crescita per una società calcistica.
Abbiamo ancora tutti negli occhi la corsara vittoria del Napoli all'Allianz Stadium: un successo che non nasce certo ieri, ma che è frutto di un percorso di crescita iniziato ben cinque stagioni fa.
In molti hanno sottolineato le differenze in termini di formazione iniziale tra Napoli e Juventus rispetto alla sfida del 13 Febbraio 2016, decisiva per le sorti di quella stagione, decisa da un lampo allo scadere di Zaza. Se nella Juventus solo Buffon, Khedira e Dybala possono dire di essere stati in campo dall'inizio anche in quell'occasione, sono ben nove i calciatori del Napoli confermati da Sarri a distanza di due anni: unici assenti Ghoulam (infortunato) e Higuain (ceduto alla Juventus), sostituito da Mertens, anch'egli presente in quell'occasione, seppur in panchina.
La vera questione però è un'altra: perchè questi ragazzi sono arrivati a Napoli?
Per rispondere, dobbiamo tornare all'estate del 2013, quando Walter Mazzarri lascia la panchina del Napoli e Edinson Cavani viene ceduto al PSG per la bellezza di 64,5 milioni di euro, cifra monstre per quei tempi.
Mazzarri ha sicuramente contribuito alla crescita della considerazione internazionale del club, soprattutto grazie all'ottavo di finale di Champions League 2011/12, perso ai tempi supplementari contro il Chelsea. Grazie al lavoro del tecnico toscano, il Napoli è tornato sulla cartina geografica della UEFA, tuttavia, per poter spendere quel tesoretto così da aumentare concretamente la competitività della squadra e non rendere invana la cessione del miglior centravanti in rosa, serviva qualcosa in più.
Per questo motivo, viene chiamato Rafa Benitez, tecnico che arrivava dalla vittoria dell'Europa League con il Chelsea nella stagione precedente, oltre alla vittorie di Champions League (Liverpool) e Mondiale per Club (Inter) negli anni passati: un allenatore decisamente internazionale.
Benitez, da ottimo manager qual è, decide di distribuire il denaro, ricavato dalla cessione di Cavani allo scopo di rinforzare la squadra in ogni reparto, con profili affermati e giovani in grande considerazione tra gli addetti ai lavori dell'epoca: dal Real Madrid arrivano Higuain (39 milioni), Albiol (12 milioni) e Callejon (9 milioni), dal Liverpool arriva Reina in prestito, dal PSV arriva Mertens (9 milioni), mentre dall'ASSE viene prelevato Ghoulam (5 milioni). A Gennaio 2014 si aggiunge Jorginho (9,5 milioni), mentre nell'estate dello stesso anno arrivano Koulibaly (7,75 milioni al Genk) e Gabbiadini (12,5 milioni).
Perchè questo mix di campioni e giovani di belle speranze decide di trasferirsi in massa nella città partenopea? Esclusivamente per Rafa Benitez. La presenza dell'ex tecnico del Liverpool è garanzia di progetto serio e internazionale.
Benitez si è poi rivelato più un ottimo manager che un grande allenatore nella sua gestione napoletana, ma ha contribuito comunque enormemente alla causa del club, accrescendo la dimensione internazionale dello stesso con le prestazioni in Champions (terzo posto per differenza reti nell'edizione 2013/14, a pari merito con BVB e Arsenal) ed Europa League (semifinale nell'edizione 2014/15).
Pur non ottenendo grandi successi in Italia (d'accordo, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana, ma non possiamo definirli trofei di primo ordine), il tecnico spagnolo ha permesso alla società di mantenere, se non incrementare, quello status internazionale fondamentale sia per poter spendere i propri soldi in maniera funzionale sia, conseguentemente, per mantenere una rosa di alto livello.
E ora veniamo al punto: cosa lascia Sarri a questo Napoli?
Non fraintendete: se il Napoli è attualmente a un punto dal primato non è certo merito di Benitez ma del tecnico toscano, che è riuscito sul campo a dare quell'equilibrio e quella fluidità di manovra che prima evidentemente mancavano.
Tuttavia, nella gestione dell'ex tecnico dell'Empoli, la dimensione internazionale del club è rimasta pressochè invariata, se non diminuita: Sarri non ha goduto certo dello stesso appeal di Benitez in termini di considerazione e credibilità internazionale (basti pensare agli acquisti delle campagne estive: fior fior di milioni spesi, più male che bene, per Allan, Hysai e Zielinski, ma anche per Rog, Pavoletti, Regini, Grassi, Valdifiori, Tonelli, Diawara, Maksimovic, Ounas, Inglese, non certo nomi di primo livello, a prescindere dal loro rendimento) e i risultati nelle coppe europee sono stati mediocri (due miseri sedicesimi di finale di Europa League, con eliminazione da parte di Villareal nella stagione 2015/16 e RB Lipsia in quella attuale, e un ottavo di finale di Champions, con eliminazione da parte del Real Madrid nella stagione 2016/17).
Il rischio è che al termine di questo ciclo, il Napoli si ritrovi perlopiù con terra bruciata: Reina è in partenza, Albiol è in parabola discendente, Mertens, Callejon e Koulibaly potrebbero cercare nuovi stimoli. Questi calciatori andranno sostituiti e il Napoli non ha attualmente le basi per poter rimanere al livello tecnico attuale.
Le possibilità per far si che questa non si sia rivelata solamente una felice parentesi tecnica sono poche: ingaggiare un allenatore (nel caso in cui Sarri decidesse di lasciare) dal curriculum e considerazione paragonabili a quella di Benitez dell'epoca, per poter ricominciare un percorso di crescita e consolidamento extra-nazionale, oppure vincere il campionato attuale, permettendo così al club di poter godere del vantaggio di "testa di serie" nella prossima Champions League, la prima nella nuova versione elitaria.
Vale veramente la pena rischiare di tornare indietro di sei anni nella speranza di vincere un campionato?
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giovedì 24 maggio 2018

Il Boston Garden è come un labirinto per i Cavs

Siete mai stati in un labirinto?
E non parlo di quelli da Luna Park, con specchi e mostri di pezza, ma di mura alte 6 metri e strade senza sfondo.
Ecco. Quando i Cavs mettono piede al Garden, entrano nel loro personalissimo labirinto.
Perdono quel poco di identità che hanno coltivato nel corso di questa travagliata Regular Season e si appellano (ancor di più) anima e corpo alla loro unica guida.
LeBron James, portabandiera immarcescibile, ha finora dato l'impressione di non sentire la pressione. Di non subire i segni del tempo. Di non avvertire la fatica.
Stanotte, per la prima volta in questi playoff, è apparso provato, stanco, ai limiti dell'impotente. Umano.
Soprattutto se paragonato alla freschezza e alla disumana lucidità del rookie biancoverde dei miracoli: un Jayson Tatum (24+7+4+4+2) in versione minotauro al centro del labirinto. I Cavs la sua preda designata.
È probabilmente una parentesi ingannevole come tutte quelle che abbiamo incontrato nell'ottovolante di emozioni di queste finali.
Da Gara 6, nel pieno rispetto del fattore campo, potremmo tornare a santificare l'operato di LBJ e quello dei suoi scudieri.
Proprio loro però sono gli assenti ingiustificati della gara di stanotte: JR Smith, dopo aver sbandierato al mondo intero d'essere il Re delle gare in trasferta, finisce per sparare a salve (1/6). Thompson pare posseduto dal fantasma della Kardashian. Se persino Nance la butta sulla rissa e Clarkson fa il Clarkson fa da sé che la faccenda si fa dura. Durissima.
Eppure i Celtics, in preda ad un mix letale di masochismo e superficialità, avevano più volte srotolato il filo di Arianna, cercando di dare ai loro avversari una speranza e una via d'uscita, salvo poi tornare frettolosamente e cinicamente sui loro passi svanendo a suon di transizioni e secondi possessi.
Le rotazioni cort(issim)e di Stevens stavolta hanno sortito gli effetti sperati.
Cleveland è spalle al muro, al centro del labirinto.
La Luce per uscirne sembra fioca, ma ogni volta che lo è stata è sempre tornata a brillare. Come e più di prima...

mercoledì 23 maggio 2018

Riflessioni sulla serie Rockets - GSW

I primi minuti di gara 4 – con i Rockets a 0 punti e scelte offensive pessime – avevo già visto la conclusione della serie. Poi, la partita è andata diversamente. Ecco qualche riflessione generale sulle quattro partite giocate.
- Quando i GSW difendono in ritmo, riescono a mettere in dubbio (quasi) tutti i capisaldi dell’attacco di Harden e compagni. Sul pick-and-roll centrale, chi sta sul portatore (Paul o Harden solitamente) è in grado in generale di tenergli due palleggi in scivolamento. A questo punto, l’approccio dei Rockets è chiaro: penetra-e-scarica sul perimetro o lob per Capela. Bene. Peccato che i Warriors abbiano alcuni tra i migliori difensori in close-out della NBA (Thompson, Iguodala, Durant o Green) in grado di recuperare sul tiratore in spot-up. E Draymond Green, quando chiamato in causa, sta coprendo alla grande sul roll o sul taglio di Capela con obiettivo alley-oop.
- Il problema è che i GSW non riescono sempre a mantenere questo approccio difensivo e hanno mostrato una sinistra tendenza a cercare troppo l’anticipo, lasciando banali back-door o tagli verso canestro dal centro area alle ali dei Rockets.
- Kevin “the-missmatch” Durant non è marcabile per questi Rockets. Mettine in conto 30 e fai partire da lì il tuo piano-partita. Può solo sbagliare lui. Nemmeno Ariza – difensore di livello top sia sulla palla che in aiuto (come Tucker) – può contestargli il tiro con continuità. L’unica cosa che può “limitare” Durant, per me, è la sua selezione di tiro. A volte, esagera con gli isolamenti e con il jumper senza ritmo dalla media. Classica situazione in cui “se la mette è un fenomeno”. Però, credo sia un tema chiave dell’attaco dei GSW.
- La tendenza all’isolamento eccessivo è anche un limite strutturale per l’attacco di Houston. GSW ha bravi difensori sul perimetro. L’unico modo per farli diventare “meno bravi” è costringerli a lavorare di più, a esasperare i close-out con più ribaltamenti, tentando maggiori extra-pass sul perimetro. Anche perché, Steve Kerr sta ruotando anche pochi uomini (tipo 6 o 7).
- Anche i Warriors, tra l’altro, hanno a tratti perso ritmo in attacco, interrotto il flusso di gioco, cullandosi nell’isolamento. A questo punto, diventano un rebus meno complesso per i Rockets. A questo punto, il solito sistema di gioco a “flipper” che li contraddistingue viene meno.
- Entrambe le squadre stanno ruotando pochi uomini. Mi mancherà qualche informazione. Tuttavia, non capisco perché – per esempio – un giocatore come Joe Johnson (0 minuti in gara 4) non è mai stato considerato da D’Antoni come arma dalla panchina, nelle fasi in cui i Rockets hanno avuto problemi di realizzazione.
Bella serie. Datemi un’altra dose di NBA.

martedì 22 maggio 2018

Cleveland impatta la serie coi Celtics sul 2-2

Se cercate nel vocabolario dei sinonimi alla voce onnipotenza trovate sicuramente LeBron James, e credo che lo troverete per molti anni ancora.

33 punti, 9.4 assist, 9.0 rimbalzi tirando con il 55%. Sei partite da 40 punti, 3 triple-doppie, 2 buzzer beaters. 32 di media contro i Pacers, 34 contro Raptors e Celtics.

Più realizzatore che mai: così tanti quarantelli in una edizione di playoff li avevano segnati solo West, King, Iverson e MJ.

Gli ultimi 10 quarti periodi giocati dicono: 91 punti, 60% da due e 57% da tre.

Stanotte ha anche superato Abdul-Jabbar al primo posto per canestri segnati nella storia della post-season, e MJ per partite da 40 punti tirando col 60%, roba da alieni.

Vedo persone che si lamentano che le pagine di basket stanno diventando monotone perchè si parla troppo del Re... Per quanto mi riguarda mi sembra il minimo dover rendere omaggio a questo grandissimo professionista (che ha comunque i suoi difetti) alla sua 15esima e miglior stagione in carriera.
Ogni volta alza l'asticella e io sono orgoglioso di poter celebrare ogni notte una sua prestazione monstre. E non dimentichiamoci che a fine anno compirà 34 anni, pertanto godiamocelo finchè possiamo. Adesso la serie è in parità, si torna a Boston per gara 5, solitamente la pivotal game per eccellenza.
2-2, con un ottimo contributo di Tristan Thompson, Hill e Korver dalla panchina. Ora, per guadagnarsi le Finals, tocca vincere dove nessuna squadra è mai riuscita in questi playoff.
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lunedì 21 maggio 2018

Italians do it better but Doncic do it best (Final four Eurolega)

L'anno scorso si parlava dell'italiano sul tetto d'Europa (Gigi Datome) che vinse il suo primo titolo in finale contro il Real Madrid, quest'anno la finale è stata di nuovo tra queste due squadre,  con protagonisti  diversi, ma con tanto spettacolo.
Una partita entusiasmante con tanti colpi di scena, aggiustamenti tattici nel corso del match, grandi giocatori da una parte e dall'altra e grandi giocate.
Ma partiamo con ordine e parliamo della prima semifinale tra Zalgiris e Fenerbahce.
Questa è stata una bella partita, anche se è quella che ho guardato meno delle 4 che si sono disputate.
L'incontro è sempre stato comandato dal Fenerbahce, però come in tutta la stagione regolare lo Zalgiris si è battuto fino all'ultimo centesimo di secondo. Veramente belli da veder giocare: commuoventi.

L'altra semifinale tra Cska Mosca e Real Madrid è stata molto più interessante:
Tanto per cambiare il Cska una volta arrivato in fondo si scioglie: Sopra di dieci nel primo quarto, sopra all'intervallo e poi dramma totale nel secondo tempo. Real Madrid che aveva fatto una stagione regolare mediocre, visti i vari infortuni e sfortune all'interno dello spogliatoio, Cska invece aveva perso appena sei partite in tutto l'anno, arrivano alle final four e guarda caso qualcosa combina e perde. Il Chacho Rodriguez irriconoscibile, De Colo ha deciso con la testa di rimanere a Mosca, il Real guidato da un super Doncic va in finale strameritatamente. Quindi anche questa seconda semifinale molto divertente da vedere, anche in questo caso da entrambe le parti grandissimi giocatori, ma il Cska ancora una volta rimane imbottigliato nella maledizione delle final four.

A questo punto parliamo della partita più attesa ovvero la finale tra Fenerbahce e Real Madrid.
A dir la verità seppur io sia un estimatore di Luka Doncic ero dalla parte del Fene che schierava nelle sue file due italiani (Melli e Datome).
Una partita bella, ma molto strana. Con protagonisti inaspettati: Da una parte Doncic che fa una partita ottima ma tutto sommato tranquilla, che fa da spalla a Causeur che realizza 16 punti, dall'altra parte stessa cosa, i vari Wanamaker, Dixon e Datome non hanno fatto granchè, a fare grandi cose ci ha pensato Melli, che ha segnato 28 punti in tutti i modi possibili e immaginabili: triple, finta penetrazione, finta sottomano incrociato, schiacciata a rimorchio...Insomma miglior giocatore della finale a mani basse.
Chiudiamo questo discorso parlando di Doncic, che in un'annata solare mi vince Eurolega, Europeo, miglior quintetto dell'Europeo, miglior quintetto dell'Eurolega, miglior under 22 dell'Eurolega e MVP delle Final Four.
Volendo dare un commento finale: partita intelligente, da veterano, di Doncic, ma chi l'ha girata è stato Causeur. Il Real Madrid è per la decima volta campione d'Europa. 10 come il voto di un commuovente Nicolò Melli da 28 punti e 6 rimbalzi nella partita più importante della sua vita.
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domenica 20 maggio 2018

Lazio - Inter: Chi la spunta?

L'estate scorsa quando ci fu il sorteggio del campionato molti (compreso me) rimasero incuriositi del big match all'ultima giornata tra Lazio e Inter.
Fino a Dicembre dalle parti di Appiano si credeva di poter puntare allo scudetto, ma la conquista della Champions è comunque traguardo vitale per il futuro del club.
A Spalletti serve una grande prestazione corale e da grande squadra, matura. Non mi prendete per pazzo, ma la partita di oggi è la più importante degli ultimi sei anni per l'Inter. Il tecnico toscano ha bisogno di gente che sappia più di tutti gestire le insidie che si possono presentare in una classica gara da non ritorno. Seguendo queste caratteristiche non possono rimanere assolutamente fuori Miranda, Cancelo, Rafinha e Icardi.
C'è un precedente non proprio bello da ricordare per i tifosi nerazzurri, era il 5 maggio 2002, l'Inter giocava per lo scudetto mentre i biancocelesti per la Coppa Uefa. Prima dell'inizio dell'ultima giornata l'Inter era primo a 69 punti la Juve seconda a 68 e la Roma terza con 67. Oltre appunto a Lazio Inter, le altre partite erano Udinese - Juve e Torino - Roma. La Juve in 11 minuti già vince 2-0. L'Inter invece va due volte in vantaggio 0-1 gol di Vieri e 1-2 rete di Di Biagio. La svolta psicofisica arriva al 45esimo, quando Gresko con uno sciagurato colpo di testa serva a Poborsky il 2-2. Mazzata tremenda e quando Simeone in avvio di ripresa segna il 3-2 laziale, l'apocalisse si compie. A chiudere la partita ci pensa Simone Inzaghi (l'allenatore laziale di oggi) fa 4-2 e chiude i giochi. La Juve vince il campionato, la Roma vince e va seconda mentre l'Inter chiude il campionato al terzo posto ed è costretta ad affrontare il preliminare di Champions. Allora ci furono le lacrime di Ronaldo, la rabbia di Cuper, la pietrificazione di Moratti. Era di Maggio, e lo è di nuovo. Il grande spettro ritorna, ma gli spettri si possono spazzare via.
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sabato 19 maggio 2018

Commento ultima giornata Serie B

Partiamo dal presupposto che la Serie B c’entra poco con quello che è il calcio a cui assistiamo nelle massime serie dei primi quindici campionati europei.
La mediocrità del livello tecnico e tattico è lampante e questo non dovrebbe sorprendere dal momento che sistematicamente due squadre all’anno fanno la spola tra massima serie e serie cadetta.
Un’altra conseguenza è l’ipervalutazione di coloro che effettivamente qualcosa possono dire nel professionismo d’alto livello, perchè nella melma balistica qualche fiore riesce comunque a emergere: ma se ragazzi come Tonali, Kouamè e Varnier vengono valutati in doppia cifra, chi ha mezzi economici per sopportare investimenti di tale portata per promesse che tutto devono ancora dimostrare e che, magari, in realtà potrebbero sfruttare l’”effetto cheerleader” della categoria?
Solo club stranieri, come successe per Verratti.
In ogni caso, complimenti al Parma per la terza promozione consecutiva, unico club nella storia del calcio italiano a passare dalla Serie D alla Serie A in sole tre stagioni.
Il profilo ideale per la Lega Serie A era proprio quello della società emiliana: società abbiente e ambiziosa, bacino d’utenza importante e capacità di attirare fin da subito profili tecnici importanti.
La dirigenza parmigiana dovrà essere brava a costruire una squadra competitiva già dalla prossima estate, perchè sopravvalutare il gruppo della promozione porta solamente a perdere punti fondamentali nella lotta salvezza.
A volte, anche sopravvalutare la guida tecnica porta guai...
Le lacrime dei giocatori del Frosinone sono l’emblema di un gruppo destinato a fallire nei momenti decisivi: per il secondo anno consecutivo i ciociari disputeranno i Playoff per differenza reti negli scontri diretti a sfavore e per il secondo anno consecutivo la promozione sfuma (in questo caso temporaneamente) in casa propria e in condizione di controllo del proprio destino.
Quest’anno l’harakiri è ancora più assurdo: in vantaggio a una manciata di minuti dal termine, prendere gol in contropiede è francamente imbarazzante.
Il contraccolpo psicologico è devastante, ma restano ancora quattro partite da giocare, seppur con la possibilità di pareggiarle tutte.
Sarà un Playoff Mondiale: Grosso (Bari), Inzaghi (Venezia) e Nesta (Perugia), tre campioni del Mondo, proveranno a riportare in massima serie altrettante importanti piazze. Oltre a Frosinone e Palermo, che progressivamente sta entrando nei meccanismi di Stellone, occhio anche al Cittadella, squadra giovane, con poco da perdere e con il maggior numero di vittorie in trasferta dell’intero campionato.
I valori si azzerano, Benevento-Carpi, finale della scorsa stagione, insegna...
Complimenti a Gennaro Volpe, bandiera dell’Entella, capace in due partite di stravolgere gli animi dei propri giocatori e sbancare Novara, regalandosi la possibilità di salvezza dei Playout, da vincere contro l’Ascoli di Serse Cosmi.
Finiscono nel baratro il Novara e Mimmo Di Carlo, due profili che avevano bisogno come il pane di riscatto professionale e che invece retrocedono malamente in terza divisione con Ternana e Pro Vercelli.
Complimenti infine a Ivo Pulga, Bepi Pillon e Fabrizio Castori, vecchi bucanieri delle panchine, in grado di portare rispettivamente Brescia, Pescara e Cesena in porto, in una stagione terribilmente complicata per motivi diversi.
Ora gli spareggi, si salvi chi può...

venerdì 18 maggio 2018

LeBron da solo contro il sistema Celtics

Solo, come altre volte, più di altre volte. Al TD 10 ore prima, pronto a lanciare un messaggio evidentemente non colto dai compagni.
Tu, da avversario, sai già dalla mattina della partita che giocherà così.
I compagni li ha scelti lui, altrimenti non si spiegano così tanti cambiamenti nelle rotazioni. Riesumato Nance, TT in quintetto, tanti minuti ai giocatori che lui ritiene capaci di stare in campo. Ma sono solo i “meno peggio”: nel primo tempo il migliore è il 37enne Korver, per intenderci.
Segna di potenza il primo canestro. Segna da tre, segna da 9 metri, segna da 9 metri e mezzo. Penetra a testa bassa e chiude in semi-gancio, segna in palleggio arresto e tiro dal fondo, il Garden è muto e ha capito l’andazzo. Sono anni che gli vede giocare certe partite, ma continua a meravigliarsi perché questo è sempre più forte. Dopo 6 minuti ha pareggiato la produzione di gara 1, poco dopo contro Smart segna in step-back da 3 il canestro più bello di suoi Playoff e alla prima sirena ha la terza miglior prestazione in un quarto di post-season della carriera.
Secondo quarto, gioca il pick and roll, da Morris si trova Horford in marcatura, cambia poco, vuole segnare. E segna. La squadra sale di colpi, non può e non deve sprecare una serata del genere. Ti viene quasi naturale fare qualcosa in più se vedi quella partita e sai che 10 ore prima quel giocatore, che non deve dimostrare più nulla a nessuno, è al campo a tirare. Arriva Love, Nance prova a sbattersi per una palla vagante, Cleveland difende, poi in attacco ci pensa lui, sia chi si tratti di segnare che di passare la palla. Il Garden trema, Tatum e Brown tengono botta, ma tutti hanno capito che è una di quelle sere.
È 8/14 nei tiri contestati nel primo tempo, la seconda miglior prestazione in assoluto nei Playoff.
La seconda? Sua.
La terza? Sua.
Porta Tatum spalle a canestro e segna, guarda Love arrabbiato dopo una palla buttata ma nell’azione successiva lo premia con un assist, come solo i più carismatici possono fare per accendere e motivare i compagni subito dopo averli ripresi.
Altra tripla. Poi segna in secondo tempo da centro area conto Baynes.
Boston però rientra, Smart segna da fuori, Rozier accende il TD schiacciando in contropiede. Si mette male e tra stanchezza e compagni che si nascondono non ha più supporto. Spalle a canestro e praticamente da 7 metri trova Love, anche perché serve che l’unico compagno degno di nota gli dia una mano. Ma pian piano tutti scompaiono. Hill e JR non esistono, Lue insiste su Hood dopo aver giustamente cestinato Clarkson. Intanto Boston rientra e prende un vantaggio rassicurante.
Un po’ per la partenza sparata, un po’ forse per la botta, un po’ perché è dura mantenere quel livello quando il cast attorno a te non mostra segni di vita, sembra quasi spegnersi anche lui. E quando si riaccende, in attacco e con la chase-down, è troppo tardi.
Alza la testa a fine partita, legge 107-94 Boston. Quei 42 punti, 10 rimbalzi e 13 assist non sono bastati. È la terza tripla doppia da 40 punti ai Playoff in carriera. Esattamente quante ne hanno fatte negli ultimi 50 anni tutti gli altri giocatori passati in post-season.
Per la quinta volta supera i 40 tra Pacers, Raptors e Celtics, suo massimo in post-season in 15 anni.
È più forte che mai, ma anche più solo che mai.

giovedì 17 maggio 2018

Commento finale Europa League

La partita di ieri sera è durata venti minuti.
L’incoraggiante avvio del Marsiglia aveva dato la speranza di una finale equilibrata, con l’Atletico infastidito dal brio dei calciatori offensivi francesi e incapace di trovare contromisure adeguate alle fiammate avversarie.
La differenza tra le due squadre, al di là di fatturato e di valori individuali che giustamente andrebbero sottolineati, è nella forza mentale.
Germain spreca una clamorosa occasione in avvio di primo tempo? Germain esce dalla partita.
Anguissa sbaglia, in occasione del vantaggio Colchoneros, un facile controllo in fase di costruzione bassa? Mandanda non gioca più un pallone.
Payet è costretto ad abbandonare il campo infortunio?
La squadra smette di giocare.
Non che Rudy Garcia ci abbia capito molto, soprattutto a partita in corso.
Perchè togliere Ocampos, il più vivo tra le mezzepunte, all’inizio del secondo tempo per inserire Njie, che definire povero tecnicamente è un complimento?
Perchè non inserire Mitroglu prima, al posto di un Germain che lottava con i sensi di colpa dal quarto minuto di gara?
All’OM resta il buon cammino europeo, iniziato al terzo turno preliminare, per quanto arrivare ultimi o arrivare secondi è sostanzialmente la stessa cosa, perlomeno dal punto di vista sportivo.
È il trionfo del Cholo, l’uomo capace di portare l’Atletico Madrid tra le cinque potenze del calcio mondiale, che per quanto non possa piacere riesce a far giocare Correa e Griezmann da terzino senza perdere la loro qualità dove conta veramente.
Ah già, Griezmann: L come Leggenda.
Complimenti anche a Kuipers, arbitro dall’invidiabile curriculum che ritroveremo al Mondiale.
L’Europa League non finisce, è appena iniziata: ci vediamo il 12 Giugno, per i sorteggi del primo turno preliminare.

mercoledì 16 maggio 2018

Troppo brutti questi Cavs

Raramente ho visto squadre con obiettivi da Finale, con così poca qualità. Parlo di difesa, ma anche di attacco. Questi Cavs stanno continuando a correre sullo stesso binario (morto) che ha attraversato la loro stagione. Possono anche vincere la serie contro i Celtics, perché con una sola spalla di Lebron porti i Kings ai playoff. Però, per il resto, il nulla o quasi.
- Un attacco statico, senza nessun movimento di palla. Ribaltarla anche solo una volta sul perimetro sembra cosa di difficoltà estrema. Nessuno – tranne il Prescelto – ha attitudini di playmaking. Hill, Jeff Green, Hood, a occhio e croce mestieranti e nulla più (per quello che si è visto in gara).
- I Celtics hanno pensato: ok, l’unico che va verso la palla è Korver. Difendiamo forte sul blocco cieco di Love (o sul ricciolo) e il gioco è fatto. Per il resto, stiamo fermi sulla linea da tre, al massimo tirano senza ritmo. E sacrifichiamo qualcosa sotto. Lasciamo spazio ai vari tagli baseline o back-door, tanto sono Love e Nance, mica Charles Barkley e Kevin Garnett.
- Ora, Lebron ti porta dove vuoi, ma pensare che possa vincere da solo una Finale di Conference tirando per gran parte dai 9 metri (pur mettendola) o in fade-away su un piede è poco realistico (poi magari lo fa, perché è il migliore, ma non è un piano partita solido). Doveva giocarsela di più in post-basso? Facile a dirsi. Richiede ancora più sforzo fisico, subisci molti più contatti, pretendi tanto di più dal tuo (seppur assurdo) corpo. Morris, tra l'altro, non è un fuscello.
- Non c’è un secondo creatore di gioco on-the-ball. Lebron ha sempre sofferto questa situazione. Kevin Love ha tanti punti nelle mani, ma sono punti che provengono dalla “costruzione” altrui. Da uno scarico sul perimetro, da un passaggio dalla posizione di guardia, da un ribaltamento. Con la palla così ferma, addio.
- J.R. Smith in versione “arma letame”. Sembra (ed è quasi un complimento) un ex giocatore. Visto sulla transizione dei Celtics spostarsi lateralmente (per pigrizia) invece di accoppiarsi col palleggiatore che riempie la corsia centrale (Rozier). Visto fare “finta di nulla” sui tagli lungo la linea di fondo. Sempre in ritardo sui close-out. In attacco, non ne parliamo nemmeno. Anche perché, se non gli entra da fuori, smette di guardare il canestro.
- Infine c’è la difesa. Non ne vorrei parlare (perché sono schifato), ma lo faccio lo stesso. Anzi, dico solo una cosa: non è possibile passare sempre (e dico sempre) dietro al blocco o rimanere dietro il palleggiatore sui pick-and-roll. Non è possibile – in una Finale di Conference – che due compagni non si parlino e rimangano entrambi sulla guardia, lasciando il rollante solo verso il canestro.
I Celtics sono ammirevoli. Jaylen Brown è una bestia, etc… Ma questi Cavs sono proprio brutti. Poi, ripeto, magari passano. Ma per me cambia poco. Non so cosa ne pensate.