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venerdì 18 maggio 2018

LeBron da solo contro il sistema Celtics

Solo, come altre volte, più di altre volte. Al TD 10 ore prima, pronto a lanciare un messaggio evidentemente non colto dai compagni.
Tu, da avversario, sai già dalla mattina della partita che giocherà così.
I compagni li ha scelti lui, altrimenti non si spiegano così tanti cambiamenti nelle rotazioni. Riesumato Nance, TT in quintetto, tanti minuti ai giocatori che lui ritiene capaci di stare in campo. Ma sono solo i “meno peggio”: nel primo tempo il migliore è il 37enne Korver, per intenderci.
Segna di potenza il primo canestro. Segna da tre, segna da 9 metri, segna da 9 metri e mezzo. Penetra a testa bassa e chiude in semi-gancio, segna in palleggio arresto e tiro dal fondo, il Garden è muto e ha capito l’andazzo. Sono anni che gli vede giocare certe partite, ma continua a meravigliarsi perché questo è sempre più forte. Dopo 6 minuti ha pareggiato la produzione di gara 1, poco dopo contro Smart segna in step-back da 3 il canestro più bello di suoi Playoff e alla prima sirena ha la terza miglior prestazione in un quarto di post-season della carriera.
Secondo quarto, gioca il pick and roll, da Morris si trova Horford in marcatura, cambia poco, vuole segnare. E segna. La squadra sale di colpi, non può e non deve sprecare una serata del genere. Ti viene quasi naturale fare qualcosa in più se vedi quella partita e sai che 10 ore prima quel giocatore, che non deve dimostrare più nulla a nessuno, è al campo a tirare. Arriva Love, Nance prova a sbattersi per una palla vagante, Cleveland difende, poi in attacco ci pensa lui, sia chi si tratti di segnare che di passare la palla. Il Garden trema, Tatum e Brown tengono botta, ma tutti hanno capito che è una di quelle sere.
È 8/14 nei tiri contestati nel primo tempo, la seconda miglior prestazione in assoluto nei Playoff.
La seconda? Sua.
La terza? Sua.
Porta Tatum spalle a canestro e segna, guarda Love arrabbiato dopo una palla buttata ma nell’azione successiva lo premia con un assist, come solo i più carismatici possono fare per accendere e motivare i compagni subito dopo averli ripresi.
Altra tripla. Poi segna in secondo tempo da centro area conto Baynes.
Boston però rientra, Smart segna da fuori, Rozier accende il TD schiacciando in contropiede. Si mette male e tra stanchezza e compagni che si nascondono non ha più supporto. Spalle a canestro e praticamente da 7 metri trova Love, anche perché serve che l’unico compagno degno di nota gli dia una mano. Ma pian piano tutti scompaiono. Hill e JR non esistono, Lue insiste su Hood dopo aver giustamente cestinato Clarkson. Intanto Boston rientra e prende un vantaggio rassicurante.
Un po’ per la partenza sparata, un po’ forse per la botta, un po’ perché è dura mantenere quel livello quando il cast attorno a te non mostra segni di vita, sembra quasi spegnersi anche lui. E quando si riaccende, in attacco e con la chase-down, è troppo tardi.
Alza la testa a fine partita, legge 107-94 Boston. Quei 42 punti, 10 rimbalzi e 13 assist non sono bastati. È la terza tripla doppia da 40 punti ai Playoff in carriera. Esattamente quante ne hanno fatte negli ultimi 50 anni tutti gli altri giocatori passati in post-season.
Per la quinta volta supera i 40 tra Pacers, Raptors e Celtics, suo massimo in post-season in 15 anni.
È più forte che mai, ma anche più solo che mai.

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