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Juventus, CR7 prove di addio: Storia di un'amore mai decollato

 Rispetto, passione e voglia di vincere . Tre pensieri che accomunavano la Juventus e Cristiano Ronaldo tre anni orsono e che sono stati f...

martedì 30 ottobre 2018

Bucks unici imbattuti

I Bucks, dopo aver battuto questa notte l'altra squadra che finora aveva sempre vinto, sono rimasti l'unica franchigia a non aver ancora sconfitte al passivo.
Per i Raptors comunque era pronosticabile un cammino da protagonista nel povero Est, mentre pochi credevano realmente Milwaukee come una reale minaccia per le prime forze dell'Eastern Conference.
Particolarmente impressionanti sono state le due vittorie contro Timberwolves e Magic ottenute rispettivamente con un margine di 30 e 22 punti, con la pratica archiviata già all'intervallo e titolari tenuti sotto i 30 minuti di utilizzo.
Senza dubbio l'artefice principale di questo splendido inizio di stagione è il nuovo coach, Mike Budenholzer.
Lui è uno dei migliori allenatori della lega, ed è stato in grado di vincere 60 partite con gli Hawks nel 2015.
La prima differenza a livello, e la più evidente, è sicuramente relativa al PACE della squadra.
I Bucks sono da anni una squadra con del potenziale offensivo alto, ma han sempre scelto di giocarea ritmi piuttosto bassi, risultando l'anno scorso tra le ultime 10 squadre della NBA per quanto riguarda il PACE (numero di possessi giocati a partita).
Quest'anno sotto la guida di Budenholzer, i Bucks giocano circa 10 possessi in più di media, risultando la sesta squadra con il PACE più alto.

E'aumentato considerevolmente anche il numero di triple tentate e segnate a partita, grazie soprattutto al contributo dei lunghi, che stan permettendo ai Bucks di allargare il campo per lasciare più spazio alle iniziative di Giannis.
Fino ad ora i vari Brook Lopez, Ilyasova e Henson stanno dando il loro contributo, tirando con continuità e con buoni risultati da fuori.

E chi l'avrebbe mai detto che nel 2018 conviene giocare in transizione e mettere in campo più tiratori possibili? E' meglio che i sostenitori della vecchia pallacanestro se ne facciano una ragione, perchè tanto in qualunque caso contrastare i Warriors è praticamente impossibile.

Giannis, grazie a questa pallacanestro, soffre molto meno le lacune al tiro, sta dominando sotto le plance, il greco sta viaggiando su una proiezione di 16.6 rimbalzi e 2.0 stoppate per 36 minuti, contro i 9.8 rimbalzi e 1.2 stoppate della passata stagione.

Difensivamente, i Bucks sono attualmente la seconda miglior squadra della lega, impressionante fino a questo momento il contributo di Henson e Giannis, con il secondo che sembra aver fatto un deciso salto di qualità anche nella metà campo difensiva.
Snell e DiVincenzo, dalla panchina si stanno rivelando due ottimi difensori perimetrali.
Ma anche il quintetto con Ilyasova e Lopez, non propriamente due defensive stopper, sta producendo degli ottimi risultati.
Sorprendentemente infatti, il quintetto Bledsoe, Middleton, Giannis, Ilyasova e Lopez subisce circa 80 punti per 100 possessi, risultando il milgiore difensivamente dei Bucks e tra i milgiori in assoluto della lega.

Ritmo più alto, quintetti "larghi" per esaltare le capacità di Giannis, salto di qualità difensivo.
I Bucks sono da considerarsi una vera e propria minaccia per il titolo ad Est, e probabilmente Giannis avrà seriamente qualche Chance di prendere la statuetta del giocatore più forte della Lega a fine anno.
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domenica 28 ottobre 2018

Il "Clasico" più strano di sempre.

Sarà il "Clasico" più strano di sempre, sarà il primo Clasico senza Messi e Ronaldo dopo 11 anni e sarà probabilmente l'ultima chance per Lopetegui sulla panchina del Real, perchè in caso di sconfitta l'esonero sarebbe molto probabile.
Mai come quest'anno è una sfida cruciale per le sorti delle due squadre, da una parte c'è il Barcellona che mancanza di Messi a parte è in buona salute, dall'altra c'è proprio il Madrid che invece ha bisogno di iniezioni di ossigeno per riprendere la corsa verso le posizioni che contano.
La squadra ha sicuramente risentito dell'addio di CR7 e Zidane e non riesce più a uscire dal tunnel che l'ha portato a essere settimo in Liga con appena 14 punti.
In Champions va leggermente meglio, le Merengues sono primi a pari punti con la Roma.
In tema Champions i blaugrana arrivano invece da tre vittorie in altrettante gare.
Sicuramente l'assenza di Messi riequilibrerà leggermente la partita di oggi pomeriggio, ma sicuramente i catalani affronteranno la partita con maggiore tranquillità.
Il risultato del Clasico, può, però cambiare tutto. Lopetegui appare in evidente difficoltà, lui, sbarcato a Madrid dopo il clamoroso addio di Zidane, potrebbe calcarne le orme.
Il francese, nella passata stagione ebbe un avvio simile, ma come ben sappiamo poi conquistò la Champions.
Lo spagnolo però che per i Blancos ha lasciato la selezione spagnola e di conseguenza non ha potuto essere presente al Mondiale dell'estate appena passata appare però in una situazione più complicata.
Aldilà dell'assenza di Ronaldo, i Galacticos sembrano avere problemi più gravi rispetto a quelli di un anno fa e anche in Spagna pensano che l'avventura del tecnico ispanico sia vicina al capolinea.
L'impressione è quella di una squadra forte, ma che ha bisogno di nuovi stimoli per ritrovare quella lucidità e fame di vittoria che tanto spesso gli viene affibbiata.
Vedremo se, per svoltare, sarà necessaria la presenza di una nuova guida, oppure la vittoria nel "Clasico" potrebbe risultare la giusta medicina.
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venerdì 26 ottobre 2018

La Juventus infiamma la Champions

La vittoria di martedì sera ha posto ancora più in risalto il grande valore dei bianconeri, che si sono ancora una volta dimostrati grandi candidati ad alzare la coppa, ma come ogni cosa, c'è sempre qualcosa che si può migliorare.
Il tecnico toscano, è stato molto lucido nell'analizzare la gara. Cercare problemi nei meccanismi dei piemontesi è una cosa imbarazzante, ma qualche lacuna si trova.
Innanzitutto, la cinicità. Per la mole di gioco che la Juve crea deve segnare di più.
 Spesso manca l'ultimo passaggio, e probabilmente il problema è dato dalla vista di Ronaldo.
Mi spiego meglio, in pratica quando i compagni vedono CR7 la passano solamente a lui, e tra l'altro il portoghese non ha ancora trovato il suo primo sigillo in Champions League, ma ciò non può costituire un problema, visto e considerato che fin qui in bianconero ha giocato nella competizione europea 1 partita e 30 minuti.
Inoltre anche all'interno della singola ci sono delle variazioni nell'interpretazione della stessa, la squadra di Allegri solitamente disputa dei primi tempi ottimi, staccando poi la spina nei secondi 45 minuti.
Probabilmente questo è collegato anche alla forma fisica, nei mesi di Marzo e Aprile dove cominceranno le partite importanti probabilmente la squadra bianconera avrà una forma fisica tale da potersi permettere di giocare 90 minuti tutti con la stessa concentrazione.
Bisogna certamente recuperare Khedira e Can che sono due giocatori importantissimi per lo sviluppo del gioco della Vecchia Signora.
Fatta questa premessa generale, tornando alla partita di Old Trafford, la Juve ha fatto una partita spaziale. Adesso il passaggio agli ottavi come prima del girone è a portata di mano, perchè al giro di boa del girone ha già 5 lunghezze di vantaggio sulla seconda squadra che è proprio lo United.
Occorre però rimanere sul pezzo e non effettuare voli pindarici, perchè il PSG della scorsa stagione ne è l'esempio.
L'anno scorso i parigini superarono il girone senza troppi patemi, ma nella doppia sfida degli ottavi di finale contro il Real Madrid presero una sonora lezione di calcio e di umiltà.
Naturalmente le potenzialità per essere una delle candidate al titolo ci sono tutte, ma a febbraio inizierà un altro torneo e la caratura delle rivali potrebbe essere decisamente superiore.
Per quanto riguarda invece Manchester United e Valencia ci si sarebbe sicuramente aspettato di più, ma i risultati che stanno arrivando nei rispettivi campionati rispecchiano un periodo difficile.
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giovedì 25 ottobre 2018

Napoli spettacolare pareggia 2-2 a Parigi

La squadra di Ancelotti pareggia 2-2 al campo dei Principi e continua a lanciare segnali importanti.
Gli azzurri hanno disputato un'ottima gara in cui si sono fatti preferire ai francesi, e avrebbero meritato la vittoria che è stata tolta loro al 93' dopo un tiro spettacolare di Angel Di Maria.
Nonostante lo squilibrio verso l'attacco che i parigini hanno, e l'abitudine alla poca intensità dovuta a un campionato transalpino mediocre, si sta comunque parlando di una delle candidate alla vittoria finale e di una squadra che davanti può vantare un attacco con Di Maria, Neymar, Mbappe e Cavani, insomma una grande del calcio internazionale.
Il percorso seguito fin qui dalla squadra partenopea, ricorda quello della prima Juventus targata Allegri, Ancelotti è stato bravo a non rompere i meccanismi di Sarri e nell'inserirvi all'interno quei ritocchi necessari per migliorare le lacune.
Il lavoro di Carlo, come fu quello di Max, è soprattutto sulla mentalità della squadra, resa meno timorosa e più serena. Ecco così spiegato in pochissimo tempo a cosa sono dovuti i miglioramenti che si evincono nella squadra dell'allenatore di Reggiolo.
Insigne, non è più ingabbiato all'interno dei troppi schemi ed è stato posizionato più vicino alla porta, risultando molto più efficace. A questo si aggiunge un utilizzo del turnover, che negli anni precedenti a Napoli era praticamente sconosciuto.
Coinvolgere molti giocatori, consente di far sentire tutti parte integrante del progetto e di conseguenza compatta lo spogliatoio e migliora lo svolgimento degli allenamenti.
Dicendo questo non si vuole assolutamente denigrare lo splendido lavoro effettuato da Sarri, ma semplicemente sottolineare come sia stato abile Ancelotti a migliorare laddove ce n'era bisogno, facendo diventare il Napoli una macchina quasi perfetta.
Adesso in campionato i campani si trovano al secondo posto a 4 punti dalla Juve, che pare fino a questo punto una corazzata inarrestabile.
Certo c'è da dire però che a differenza dei bianconeri hanno avuto un campionato più in salita e che potrà provare il contrattacco nel mese di Dicembre, periodo in cui i bianconeri avranno una serie di incontri ravvicinati piuttosto probanti.
Per quanto riguarda la Champions, invece gli uomini di Ancelotti sono secondi nel loro girone accoppiati con il PSG. A guidare il gruppo c'è il Liverpool con 6 punti, mentre la Stella Rossa occupa l'ultima posizione con un punto. Considerata la forza posta in campo dal Napoli e le due sfide in casa contro parigini e serbi, il Napoli ha tutte le carte in regola per accedere agli ottavi.
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martedì 23 ottobre 2018

Il problema del Chievo

Il problema del Chievo non è che abbia investito poco nel mercato. Il Chievo non ha mai avuto soldi, non solo in confronto alla grandi potenze del nostro calcio, ma anche e soprattutto rispetto alle dirette concorrenti per la salvezza.
Sono ormai vent'anni che Campedelli fa miracoli per sostenere il proprio club a questo livello professionistico, riuscendo peraltro anche a dare valore concreto alla società, con un centro tecnico giovanile nuovo di zecca.
Non dimentichiamo che il fatturato 2017 della Paluani parla di 43 milioni di euro, con un utile netto di 1,5 milioni, il che non è che consenta grandissimi margini di manovra in un calcio che viaggia sempre più a cifre spropositate.
La reale questione è che, proprio in un contesto calcistico come quello contemporaneo, in assenza di grandi mezzi economici, ciò che rimane da fare è investire nella competenza. Tutto ciò che ha riguardato il Chievo negli ultimi vent'anni ("Miracolo Chievo", "Il Chievo europeo", "Il Chievo rompiscatole") è SEMPRE scaturito dalla competenza. L'addio di Sartori dai quadri dirigenziali ha completamente stravolto (in peggio) quelle che sono state le basi della costruzione del miracolo. Lo scouting è letteralmente imploso. Sono spariti gli investimenti nei confronti di quei ragazzi, italiani e stranieri, che non avevano ancora trovato le condizioni ideali per esprimere il proprio talento e che hanno reperito poi nell'ambiente gialloblù quello ideale per poter finalmente dare sfogo alle proprie qualità. Stiamo parlando di gente come Thereau, Dramè, Jokic, Cesar, Birsa, Bradley, Gelson Fernandes, Zukanovic, Constant, Hetemaj, Acerbi, Paloschi, Inglese e anche Stefano Sorrentino, prelevato per mezzo milione di euro dall'AEK Atene, quando nessuno se lo filava.
Si è inizialmente pensato, con la gestione Nember, che fosse sufficiente portare a casa tantissimi elementi dall'usato sicuro per poter reggere: questo, in realtà, si è rivelato un pensiero assolutamente condivisibile dal punto di vista tecnico (perché alla fine il successo della gestione Maran è da dividere in parti uguali tra l'abilità del tecnico e quella di calciatori che, fino a qualche anno prima, bazzicavano in Champions League), ma totalmente insostenibile dal punto di vista economico. Se andiamo poi a valutare le situazioni in cui Nember abbia effettivamente aperto il portafogli, non ce n'è una che si possa definire soddisfacente: Mpoku (5 milioni), Bani (4 milioni), Bastien (1,5 milioni), Maxi Lopez (1,5 milioni), Ruben Botta (1 milione), Bellomo (1 milione). L'unico grande acquisto della sua gestione si è rivelato Lucas Castro, anche se la sensazione è che sia arrivato più per volere di Maran che per intuizione del dirigente. Il peso economico della rosa è andato così ad aumentare enormemente, a tal punto che la società, proprio in quel periodo, sia dovuta ricorrere a misure che, per quanto restino ancora da giudicare legalmente, rimangono discutibili in ogni caso.
Ciò è stato ammesso anche dallo stesso Campedelli che, dopo l'improvviso allontanamento di Nember dai quadri dirigenziali, avvenuto nel freddo Febbraio del 2017 per divergenze gestionali, dichiara come "il Chievo debba tornare alle origini".
Da qui si arriva al secondo punto discordante, ovvero l'affidamento della direzione generale a Romairone, profilo che ha dimostrato nel corso del tempo di non avere la minima idea di come costruire una squadra competitiva con poche risorse. Si è andati all'estero per concludere sconclusionate acquisizioni come quelle di Gaudino, Jaroszynski, Tanasijevic, Burruchaga, palesemente manovrate da qualche procuratore amico. Si è guardato al mercato interno nel modo più sbagliato, dispendioso e confusionario possibile, impegnando gran parte del proprio salvadanaio per elementi dalla dubbia tenuta atletica o mentale come Barba (3 milioni di euro), Djordjevic (contratto da quasi un milione all'anno), Obi (2 milioni di euro) e anche il povero Pucciarelli, a cui mai si andrà a recriminare per impegno, ma che certo non vale i quasi 4 milioni di euro sborsati (in questo senso bisognerebbe aprire un capitolo a parte sul costo dei ragazzi italiani, enormemente fuori mercato per quello che possono concretamente dare al nostro campionato: magari lo faremo in futuro).
Andare in Serie B, se così dovesse essere, non sarebbe un problema se attorno al cuore e all'impegno di Campedelli ci fossero ancora figure dirigenziali competenti e un'organizzazione tale che vada concretamente a compensare la mancanza di risorse. Ancora una volta, a prescindere dall'esito di questa stagione, il Chievo chiede a Campedelli di ricominciare dagli ultimi anni del secolo scorso, ripristinando quelle condizioni e quelle conoscenze che hanno permesso a una frazione di 5000 abitanti di conoscere (prima) e stabilizzarsi (poi) nei migliori palcoscenici calcistici nazionali. Non importa quanto tempo sia necessario, l'importante è ripartire. Sempre che abbia ancora la forza per poterlo fare.

sabato 20 ottobre 2018

Danilo Gallinari, quello che è stato, quello che sarà

Danilo Gallinari ha saltato 323 gare nel corso dei suoi 10 anni di NBA. Un’enormità. La scorsa stagione è stato in campo in appena 21 partite. La prima cosa che viene in mente, quando si pensa al Gallo nella NBA, oggi è la parola “infortuni”. Non i 39 punti (7-11 da tre) in maglia Nuggets, che schiaffò in faccia alla difesa dei Dallas Mavericks nel 2012, con interpretazioni in spot-up alla “Chris Mullin”. Non i due “quarantelli” del 2015 (40 contro i Magic e 47 contro i Mavericks) in modalità “in-your-face” o il passaggio dietro-schiena sulla riga di fondo a Faried in contropiede-secondario (uno degli assist più spettacolari degli ultimi anni).
Stiamo parlando di uno degli attuali migliori tiratori di liberi della lega. Di un giocatore che è stato capace di viaggiare a quasi 20 punti di media in stagione (2015-2016) e che ha oltre 15 di media in carriera. Lo puoi apprezzare o meno, Gallinari. Condividere o meno il suo approccio alla Nazionale. Non tutti possono dire di aver fatto ciò che ha fatto lui a livello NBA (quando ha giocato).
Però la carriera del Gallo è costellata di (parecchie) ombre. A 30 anni, si può affermare con discreta certezza. Il motivo è semplice. Il “non essere incline agli infortuni” deve essere visto come una caratteristica che conta più della precisione al tiro, del ball-handling, della visione di gioco. E questo Danilo lo ha pagato. Ha dimostrato di poter essere un All-Star (per quello che significa il termine) in una singola gara. Può recitare da “re per una notte”.
Certo, trattasi di 2.08 con gran mano da tutte le posizioni, notevole senso del canestro e capacità di costruirsi il tiro dal palleggio. Mai un mostro di esplosività, ma abbastanza forte fisicamente per assorbire i contatti in entrata. Caratteristiche di una “stretch-4” dal “confortante” avvenire. Potenzialmente. Stanotte, contro i Thunder, ne ha messi 26 in 26 minuti di gioco. Alcuni tiri dalla media con l’uomo addosso (da fermo) sono sembrati degni del miglior Carmelo Anthony. Ma si sa, e la stagione dura ben 82 partite (play-off esclusi).
Nei primi 10 anni di carriera, Gallinari è stato un talento a cui gli infortuni hanno negato la possibilità di dimostrare continuità di prestazioni sul medio-lungo periodo. Spero che si sia messo questi 10 anni alle spalle. Che rimanga sano. Che faccia anche 1-20 dal campo, ma che la parola “campo” possa diventare una costante del suo vocabolario.

lunedì 15 ottobre 2018

Nazionale: E' il momento della svolta?

92 minuti dall'inizio di Polonia - Italia, Insigne batte il corner, Lasagna la tocca verso il secondo palo e trova Biraghi che la butta dentro da pochi passi.
Gli azzurri sbancano lo stadio Chorzow e tornano al successo che, in una gara che conta mancava da più di un anno. Con questo risultato ci salviamo e rimaniamo in serie A, mentre condanniamo Piatek e compagni alla retrocessione nella seconda divisione. Tra l'altro oltre a salvarci abbiamo la grande chance di qualificarci tra le prime quattro di questo torneo. Dovremo battere il Portogallo a San Siro e sperare che i lusitani non vincano in casa contro i polacchi.

Potrebbe essere finalmente arrivato il presupposto per la svolta, per l'apertura di un nuovo ciclo. Certo il detto "una rondine non è primavera" è più che giusto in questo contesto, ma la rete del terzino viola potrebbe davvero aver aperto nuovi orizzonti al nostro calcio.

Non volendo tornare su Ventura, su cui si è già discusso anche troppo, occorre sottolineare come Mancini abbia riportato la qualità. Quest'ultima cosa è troppo importante per una squadra che si pone obiettivi importanti. Il tecnico di Jesi vuole una compagine che giochi nella metà campo avversaria e che comandi il gioco in qualsiasi campo. Se andiamo a vedere gli 11 scesi in campo possiamo benissimo notare che la tecnica non manca assolutamente: Bonucci, Jorginho, Verratti, Insigne, Bernardeschi e Chiesa. L'Italia può fare quello che vuole, e infatti ieri è stato uno spettacolo.
Era dai tempi di Conte che non si vedeva un'Italia così intraprendente. Rispetto a quella nazionale, però questa selezione ha ancor più qualità. Nell'Europeo 2016 si è visto come fosse il gruppo a fare la differenza, la squadra odierna, oltre a essere molto unita ha un potenziale ancora più alta.
Certo si può dire che manca il vero centravanti, ma con la sua aggiunta si potrebbe risolvere il problema. Probabilmente Immobile per questo tipo di gioco non è il giocatore giusto, e la scelta di inserire Lasagna alla fine della partita di ieri potrebbe essere piuttosto indicativa.
Con Bonucci e Chiellini la difesa è al top, tra l'altro dietro di loro ci sono giocatori affidabili come Acerbi e Romagnoli, aspettando anche Caldara. Il centrocampo che appariva in grande difficoltà con Ventura, soprattutto in fase di impostazione, trova nel doppio regista la risposta a tutti i problemi.
Barella, Cristante o Bonaventura possono essere il terzo centrocampista bravo a inserirsi nell'area avversaria per ricevere i passaggi. In porta Donnarumma e Perin non si discutono.
Insomma dopo qualche anno di buio, con l'apice toccato con il mancato Mondiale sembra che un po' di luce cominci a vedersi all'orizzonte. Con questa mentalità, questi uomini con 2-4 anni in più potranno dire la loro sia all'Europeo, ma soprattutto al Mondiale 2022 in Qatar.
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domenica 14 ottobre 2018

IL FASCINO DEL TALENTO

Mi pare giusto concretizzare in inchiostro informatico qualche parola sulla squadra, a parer mio, più affascinante della NBA attuale, i Lakers.
Questa mia attrazione non è, incredibilmente, dovuta a James, anzi. LeBron è l'unica certezza, l'unico pilastro etico, tattico e dogmatico che osserviamo in questi Los Angeles. Come sempre sarà, il 23 è fantastico, ma proprio questa sua purezza incorruttibile me lo rende ormai consuetudine: ovunque vada, fa bene. Certo, l'entusiasmo è a mille, ma la curiosità nei suoi confronti è nulla, perché ingiustificata osservando la sua leggenda passata e presente. L'attrazione sorge, infatti, principalmente dal mistero, dall'imprevisto che plasma meraviglia nell'atmosfera. Per questo James non mi affascina. È stupendo, certo, ma poco affascinante.
Se non da lui, quindi, da dove sorge quell'emozione incerta che emerge spontanea dall'anima? Da tutti gli altri, in particolare, da quegli ultimi talentuosissimi che si celano nell'ombra della squadra più illuminata del mondo. Beasley, Rondo, Stephenson, Mcgee, in primis, ma anche Ball, Ingram, Kuzma. Dei giovani è intrigante il potenziale, mentre per i "veterani" il discorso si spezza in due diverse vie, antitetiche nel giudizio: da una parte il passato li ha deformati, demonizzati, resi oscillanti su montagne russe prestazionali, mentre dall'altra, sotto quelle figure ormai guardate con occhio sorridente di derisione, ancora rimane nitida la consapevolezza del loro enorme talento. Tutti e quattro hanno deluso, qualcuno di più, qualcuno di meno, ma ancora oggi, nonostante i fallimenti, sono intriganti quanto un mistero irrisolto. La loro follia, un misto di pazzia e genialità, è mossa da una predisposizione naturale a meravigliare gli assistenti, sia negativamente che positivamente. Proprio questa imprevedibilità, paradossalmente, può trasformarsi nel Jolly funzionale alla vittoria. Le squadre di LeBron, troppo spesso, sono parse unidirezionali, assolutamente pronosticabili nella pratica, perché tutto ruotava attorno esclusivamente al numero 23, detentore assoluto dei fili per controllare in modo totalitario l'incontro. Questo controllo però si è sempre tradotto in un punto debole: se si limitava LeBron, si limitava l'intera squadra, incapace di ovviare al suo depotenziamento forzato. Nessuno, sopratutto nei Cleveland, è mai sembrato in grado di caricarsi, in particolare nella metà campo offensiva, l'intera squadra nel momento di assenza del suo condottiero. Nei Lakers questo paradigma può invece mutare, a patto che questi quattro matti riescano ad emergere dalla trascuratezza nel momento del bisogno. Possono fungere da bagliore in mezzo al nulla, da stranezza in mezzo alla normalità, in grado di spazzare via i piani studiati dalla altre contendenti. Se riuscissero a rivelare, in modo alternato, la loro faccia eroica, e non quella malvagia, potrebbero permettere ai Lakers di essere molto più forti di quello che oggi noi pensiamo. Molto passa dalle mani di LeBron, troppe volte considerato incapace di coinvolgere profondamente i compagni nel progetto. A lui spetta dimostrare l'unica cosa che fin'ora non è riuscito a confermare in modo completo: essere un leader, non solo in campo, ma anche nella mente di coloro che lo seguono. Non sarà facile, considerando il curriculum dei quattro alunni, cavalli indomabili. Potrebbe essere la sua ultima grande impresa, per consacrarsi legittimamente a pretendente del titolo che fino da quando era ragazzino il mondo gli voleva veder realizzare. Attenzione, quindi, perché con questi 4 i Lakers potrebbero essere una mina vagante, in grado di distruggere sia i pronostici che loro stessi.

lunedì 8 ottobre 2018

Gli Indiana Pacers puntano in alto

“We don’t F with the game”: un’espressione gergale, magari non troppo elegante, indubbiamente divertita, ha concluso la conferenza stampa di Nate Mc Millan, durante il training camp. Il coach dei Pacers si aspetta la maturazione definitiva della sua squadra, ben conscio che, se l’anno scorso il fatto di essere under dog dava un vantaggio per quanto concerne le responsabilità e la pressione sulla squadra, durante la stagione 2018/19 i ragazzi di Indianapolis non saranno presi sottogamba da nessuno in NBA.
Se la scorsa stagione, dopo l’addio dell’idolo Paul George, le ambizioni erano di far crescere i giovani e di assestarsi attorno al livello dei posti playoff, quest’anno il clima a Indianapolis è decisamente più caldo: le proiezioni statistiche attestano Indiana su 20 vittorie in più di quanto non dicessero più o meno un anno fa. Se gli anni scorsi la possibilità di arrivare in finale era bloccata dal cannibalesco sguardo di LeBron James, la spedizione ad ovest del Re mette finalmente in palio lo scettro della Eastern Conference: tutti vogliono sfruttare l’occasione, e Indiana vede improvvisamente rinverdire i ricordi delle annate d’oro 2013-2014.
“Sappiamo che le aspettative attorno a noi si sono alzate” – ha aggiunto coach McMillan – “C’è stato un grande sbalzo fra le prospettive della scorsa annata, piuttosto modeste, e i risultati che abbiamo effettivamente raggiunto.” Parte di questo ʻsbalzoʼ concerne indubbiamente il raggiungimento delle 48 vittorie stagionale, con la top 12 sia per Off Rat che per Def Rat, un risultato per certi versi incredibile, dato che gli analisti proponevano i Pacers, in entrambi i rating, fra le ultime 10 compagini della lega. Ma ad alzare la febbre attorno ai gialloblù sono state le prestazioni offerte nel primo turno dei playoff, al cardiopalma, contro i Cavaliers di LeBron James. McMillan ha portato Cleveland a gara 7, terminando con +40 di plusminus globale una serie persa. Il piano di gioco di Indiana è stato stravolto solo in gara 5, quando il game winner stordente del Prescelto ha ribaltato le gerarchie della serie, riportando a Cleveland il fattore campo. Ma il livello offensivo raggiunto da Oladipo e la difesa di Young e soci non sono passate sottobanco nel panorama NBA, producendo un grande interesse per le possibilità di miglioramento dei nuovi Pacers.
“Dobbiamo metterci alle spalle quello che abbiamo fatto lo scorso anno” – aggiunge però il coach – “Siamo stati bravi, è vero, ma adesso dobbiamo amalgamarci in un nuovo gruppo e dobbiamo forgiare una nuova identità, perché sarà una stagione diversa e noi saremo una squadra diversa, con nuove caratteristiche tattiche.” Comunque McMillan non dovrebbe preoccuparsi troppo di trovare una squadra adagiata sugli allori, anzi, la fame di vincere sembra essere intatta. Indiana lo scorso anno ha chiuso sul 48-34, nonostante l’eroe di casa, Victor Oladipo, abbia saltato 7 gare a causa di diversi infortuni che l’hanno costretto ai box. In queste 7 partite Indiana è rimasta a bocca asciutta, con un tremendo Off. Rat. di 97.8, e i Pacers sono stati sconfitti di 14.2 punti a gara senza di lui.
Questo significa che con Oladipo nello starting line-up, Indiana ha giocato con un pace di 53 vittorie a stagione, che l’avrebbe ipoteticamente collocata al terzo posto della classifica della Eastern Conference. L’obiettivo stagionale, incrociando le dita per evitare infortuni, è quello di raggiungere un migliore piazzamento, integrando nel migliore dei modi gli acquisti dell’off-season: Tyrike Evans (contratto annuale di 12 milioni di dollari), Doug McDermott (tre anni a 22 milioni di dollari), Kyle O’Quinn (un anno a 4.5 milioni di dollari).
Da questa stagione, la rotazione dei Pacers sarà dunque probabilmente a 10 uomini, o almeno sulla carta: il quintetto dovrebbe rimanere immutato con il backcourt formato da Collison e Oladipo, Bogdanovic da 3, Young da 4 e Turner sotto i ferri. Oltre ai 3 nuovi arrivati, dalla panchina usciranno Cory Joseph e Domantas Sabonis, che lo scorso anno sono riusciti a portare qualità e quantità.
L’interesse maggiore, fra i nuovi arrivati, è per ciò che Tyrike Evans potrebbe portare alla causa dei Pacers: dalla panchina gli si chiede playmaking e creazione di tiri, fermo restando che non calerà il minutaggio di Joseph, il play di riserva. Infatti Cory è stato nei due quintetti più produttivi a livello di plus minus della scorsa stagione: quello formato da lui più i titolari, e quello Joseph-Oladipo-Stephenson-Young-Sabonis, che hanno prodotto numeri difensivi davvero elitari.
Oladipo ha rilasciato dichiarazioni lusinghiere sul nuovo arrivato: “Possiamo, sia io che Evans, giocare on e off the ball. Siamo entrambi versatili. Lui ha una grande capacità di migliorare i compagni e di fare grandi giocate.” Evans avrà un ruolo minoritario rispetto alla scorsa stagione a Memphis, dove ha giocato sempre in quintetto causa infortuni, ma in una squadra decisamente migliore dei Grizzlies. Evans ha mostrato il suo career high, lo scorso anno, in usage (28.4 %), e in true shooting (56.1%). La sua pazienza e la sua creatività gli danno un grande vantaggio nel pick’n’roll, specificamente per quanto concerne la sua capacità di segnare: Evans, lo scorso anno, si è classificato all’undicesimo posto per punti per possesso, nell’86 percentile. Avere il lusso di un creatore di gioco del genere può apportare enormi vantaggi all’attacco dei Pacers, in particolare a Oladipo stesso. Evans e Oladipo sono, rispettivamente, ventesimo e ventunesimo per % dal campo sui tiri dal palleggio (il campione è di almeno 4 pull-up a partita) la scorsa stagione. Sui 42 giocatori che hanno tirato almeno due triple dal palleggio a partita, Evans è al terzo posto, dietro due cecchini come Curry e Irving. Evans tira con il 40.5% in queste circostanze, mettendo su numeri rispettabilissimi: insieme a Oladipo e al sottovalutato Collison (che ha guidato la lega per % da 3 punti, con il 46.8 %), forma una triade di tiratori micidiali.
Ciò però non comporta solo una maggiore pericolosità al tiro, ma anche una difesa che, giocoforza, dev’essere più aggressiva, e può permettere di allargare maggiormente il campo sui pick’n’pop per i lunghi di Indiana, Sabonis e Turner, che non a caso stanno cercando di allargare con maggiore efficacia il loro range di tiro.
Indiana sembra, insomma, pronta a fare un ulteriore salto di qualità: l’anno scorso la squadra di McMillan è sbocciata, riprendendosi dalla partenza di George e ricreando un clima di competitività e divertimento. Quest’anno, se possibile, l’obiettivo è ancor più ambizioso: confermarsi, senza snaturarsi, divenendo una delle compagini più temute ad Est e continuando sulla scia di un progetto che ha tutte le carte in regola per rimanere continuativamente ad alti livelli, per giovinezza e spregiudicatezza tecnica e tattica

giovedì 4 ottobre 2018

Napoli strepitoso, 0 tiri in porta per il Liverpool

Serviva forse una partita spartiacque per certificare l'evoluzione del Napoli con Carlo Ancelotti. Anche se fosse finita con un pareggio, per quanto deludente potesse risultare, è questa la partita di cui sopra.
Le asimmetrie sono la chiave del cambiamento di questa squadra. Uno schieramento estremamente liquido, che ha saputo sempre, se non disinnescare, quantomeno rallentare la costruzione bassa del Liverpool. La posizione di Fabian Ruiz è stata la chiave. Lo spagnolo, nominalmente esterno di fascia sinistra, ha spesso preso una posizione da mezzala, alzandosi ed accentrandosi vicino a Milik. Il cuneo creato col polacco e con Insigne indirizzava fortemente il gioco del Liverpool, isolando un lato dall'altro ed impedendo ai Reds di muovere la palla sui grandi spazi. Una volta chiuso il possesso dall'una o dall'altra parte, le strategie di recupero erano differenti. Sulla propria corsia di sinistra il Napoli ingabbiava rapidamente i Reds, chiudendo gli spazi verso la linea laterale. La poca proprietà di palleggio di Gomez e Alexander-Arnold, nonché l'efficace lavoro su Salah - sempre costretto spalle alla porta - ha chiuso la porta. A destra l'atteggiamento prudente del terzino/centrale Maksimovic ha creato un imbuto dove il gioco del Liverpool veniva incanalato. Ad attendere in fondo al tunnel però c'era un tentacolare Allan, (5/7 contrasti vincenti, migliore dei suoi), che ha ringhiato sulla soglia di quel passaggio finché non ha dovuto arretrare per far da stampella ad Hamsik. Lo spettacolare lavoro di pressing ha impedito al Liverpool di allungare il campo, costringendolo per lunghi, psicologicamente frustranti, tratti nella propria metà difensiva.
Il Napoli ha superato l'asfittica necessità di cercare trame di gioco poligonali, non esagera più con il "gioca a chi vedi" quando parte dal portiere, non ha paura di giocare sul campo grande e non sovraccarica più la fascia sinistra. L'exploit di Insigne in questo inizio di stagione è tremendamente incoraggiante. Finalmente vediamo l'attaccante napoletano in un contesto che ne esalti le qualità e gli permetta di essere sempre utile alla squadra con le sue caratteristiche. Troppo spesso infatti (e sempre, in Nazionale) Insigne aveva dato l'impressione dello studente poco diligente quando chiamato a partecipare a cerebrali manovre posizionali, di fatto mancando sempre quel salto di qualità che solo la consapevolezza del proprio ruolo in campo e delle proprie qualità può dare. Sono proprio cambiate le sue ricezioni: più spesso trovato con del campo alle spalle della difesa, più spesso trovato in corsa.
Questo perché il Napoli, dicevamo, non ha più paura di giocare in un campo grande. Quando la partita lo richiede sa muovere palla per la via più veloce - quella aerea - e su lunghe distanze, concedendo più ritmo e respiro all'attacco e meno tempo alla difesa avversaria di togliere la profondità. Chiaro che contro una squadra atleticamente importantissima come il Liverpool può succedere di calare da questo punto di vista, ma qui la superiore capacità di lettura di Ancelotti viene in soccorso degli Azzurri. Forze fresche e velocità in attacco con Mertens e Verdi (del quale però non possiamo fare a meno di notificare ancora una certa inadeguatezza tecnica per certi ritmi) sia per rinvigorire con la corsa quel pressing tatticamente perfetto, ma probante, sia per poter avere maggior imprevedibilità in una fase di partita che fisiologicamente avrebbe dovuto vedere il Napoli agire di rimessa. Quando Hamsik, autore di una prova convincente, ha pagato dazio, dentro Zielinski e con lui rinnovata verticalità alla manovra. Il gol vittoria non è casuale, non solo perché arriva dopo una pletora di altre occasioni, ma anche perché rappresenta il preciso punto di arrivo di un piano gara in cui ogni dettaglio è stato studiato con rara intelligenza dal mister ed eseguito con abnegazione dalla squadra. Il Napoli è sicuramente una squadra forte nei singoli, ma probabilmente meno forte di altre. Si è detto spesso della precedente gestione che il dogmatismo era necessario, che il Napoli solo con il suo gioco così cesellato poteva competere con realtà più attrezzate. Personalmente ho sempre, articolatamente, sostenuto che proprio l'integralismo fosse il principale limite del Napoli. Non solo per la mancanza di alternative tattiche, ma anche per la mancanza di fiducia nei giocatori che presuppone. Maggiore spazio decisionale per i calciatori significa maggiore spazio di crescita. In un contesto in cui le idee dell'allenatore godono dell'infallibilità papale, quando sbaglio significa che è colpa mia, sono io ad essere scarso: si perde autostima. In un contesto invece in cui l'errore è accettato come opportunità di reagire e trovare nuove soluzioni, allora posso capirlo ed imparare qualcosa.
Dopo davvero molto tempo Ancelotti si ritrova una squadra da far crescere, più che da assemblare. Io credo che si percepisca nel suo atteggiamento quel rinnovato entusiasmo per il lavoro, che solo il toccare con mano i miglioramenti dei propri ragazzi può dare.
Se non puoi competere sul mercato, forse la vera strada è quella dell'imperfezione, dell'asimmetria, della pazienza e, alla fine, della crescita.

lunedì 1 ottobre 2018

La Juventus ha dei punti deboli?

Dopo la convincente vittoria contro la diretta concorrente Napoli, la Juventus sembra aver  davanti a se  la strada spianata per andarsi a prendere l'ottavo scudetto consecutivo.
Il vero punto debole della squadra di Torino è proprio la Juve.
Il Napoli è una grande squadra, ben messa in campo e dura a morire. Lo dimostra la clamorosa occasione mancata da Callejon, qualche minuto dopo l'espulsione per doppia ammonizione di Mario Rui. Quello che è mancato ai partenopei, come ha affermato correttamente Adani, è l'apporto degli interpreti offensivi, la personalità e la responsabilità di prendersi in carico la squadra. Insigne, Callejon e Mertens non sono Ronaldo, ma attaccare una Juventus poco precisa negli appoggi e nei disimpegni era fondamentale. Qua, in una partita aperta, si è giocato il mismatch dell'incontro. Allegri sa di avere gli interpreti per ribaltare la partita, sa che i campioni fanno la differenza e per ora va bene così. E' da 4 anni però che il tecnico livornese batte sul tasto della concentrazione, dell'essere all'interno del match per 90 minuti. Ciò è l'obiettivo finale, finora raggiunto a sprazzi, aldilà della vittoria. Il Napoli può quindi recriminare per quei primi venti minuti di superiorità, ma resta la rivale più credibile per tenere aperto un campionato, che vede già la seconda in classifica a -6.
Allan migliore in campo per il Napoli, Ronaldo per i bianconeri.
Risultati immagini per Ancelotti allegri