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Juventus, CR7 prove di addio: Storia di un'amore mai decollato

 Rispetto, passione e voglia di vincere . Tre pensieri che accomunavano la Juventus e Cristiano Ronaldo tre anni orsono e che sono stati f...

sabato 30 dicembre 2017

"The Process" è fallito con Okafor parte 3/3

Questo articolo è stato scritto prima dello scambio con cui Okafor è andato a Brooklyn per cui in questa prima parte risulta essere ancora a Philadelphia.

 In conclusione, Okafor rimane un Sixer – almeno per ora. I 76ers continuano a sondare il mercato, ma non hanno ancora trovato un’offerta soddisfacente, anche perché non è più un pezzo eccezionale del roster. Un GM rivale dice “Tutti sanno che vogliono scambiarlo. Il fatto che sia injury-prone ovviamente non aiuta – ha giocato un totale di 103 partite in due stagioni.”

 Inoltre, Okafor rappresenta un archetipo di giocatore NBA che sta diventando sempre più irrilevante: il centro spalle-a-canestro. Mentre l’NBA sembra addentrarsi nell’era del pace-and-space, le franchigie stanno cercando dei lunghi che tirino abbastanza bene da aprire il campo, e che sappiano muoversi abbastanza agilmente da contenere i palleggiatori e proteggere il ferro. Questo non è il gioco di Okafor. Non ancora, almeno.

 La passata primavera, con il persistere del dolore al ginocchio, Okafor ha letto che i prodotti contenenti latticini possono causare gonfiore. Per pura fissazione, ha tolto i latticini completamente dalla sua dieta. Una settimana dopo, ha incontrato i preparatori atletici, che sono rimasti di stucco: il liquido nel ginocchio era sparito. Subito dopo, Okafor ha eliminato il pollo, poi la carne rossa, e poi ancora tutti i prodotti a base di animale. E fu così che si ritrovò a competere per un tavolo al PETA, un ristorante vegano in Philadelphia, lo scorso mese.

 Adesso, con 9 Kg in meno e libero dal dolore, Okafor è sensibilmente più veloce. E per lui, se il suo corpo non fosse stato un prodotto finito prima della fine dell’estate, ne avrebbe risentito il suo gioco. “Posso sentire qualcuno che viene criticato tipo “oh, questo non è bravo a fare ciò, ma oh, è solo il suo secondo anno”,” dice Okafor. “ Ma quando si tratta di me, quello che capisco è “non è bravo a fare questo, e quindi non sarà mai bravo.” Per me non è mai esistito il “è solo il suo secondo anno”.” 

Okafor ha ragione: è solo un 21enne. Le precoci evidenze statistiche potrebbero essere sfavorevoli, ma non sono definitive. Quando Marc Gasol era un rookie, i Grizzlies erano di 5.8 punti per 100 possessi peggiori con lui in campo. Egli è riuscito a vincere il Defensive Player of the Year nel 2012-2013. Ma le aspettative e la consapevolezza di Gasol sono un’altra cosa. Al contrario, Okafor ha avuto difficoltà nel trovare il suo posto ai due lati del campo. Quelli che lo hanno guardato attentamente da vicino, hanno notato una serie di sottili difetti.
 Invece che rollare deciso verso il canestro quando porta un blocco, Okafor tende a staccarsi verso il perimetro. Lascia che il difensore lo spinga via dal blocco, piuttosto che lavorare per prendere posizione più profondamente. Difensivamente, la sua mancanza di velocità è ingigantita dal fatto che non ha raggiunto ancora lo spacing e il posizionamento adeguati, problema che lo lascia tra l’altro senza una metodica efficace di posizionamento a rimbalzo.

 Comunque, anche l’executive, che lo ha denigrato difensivamente, non è pronto a mollare la presa: “Penso che possa migliorare di molto, ma deve sapere che come è adesso non è abbastanza,” dice. “Dovrà avere un comportamento totalmente umile e dedicato.

 Ciò potrebbe non essere possibile in Philadelphia. Due anni di critiche, sconfitta dopo sconfitta, con tifosi che gli hanno voltato le spalle, hanno contribuito a ciò. Se Embiid è diventato il frutto del “Process” – al punto che ha adottato quel motto come proprio – Okafor è diventato un prodotto marginale, messo in ombra dai suoi stessi giovani compagni.

 “Mi sento davvero il capro espiatorio di molti problemi nel “Process,”” dice Okafor. “Se c’è qualcosa che ho imparato è che quando si perde, le persone tendono a cercare dei motivi per cui si perde, e penso che sia per quello che è scoppiato il problema della difesa – “oh, non sa difendere, ecco perché i Sixers hanno vinto solo 10 partite.”

 “Ed il secondo anno arriva. È il primo anno in cui JoJo gioca in NBA, quindi non gli si affibbia alcuna colpa. Ed è il primo anno anche di Dario, quindi non gli si affibbia alcuna colpa. Nerlens è stato appena sottoposto ad un intervento, e Ben non era in campo, quindi mi sono sentito ancora una volta il capro espiatorio.”

  In tutto questo contesto, inizia la terza stagione in Philly. Pierce farnetica sull’attitudine e sul professionalismo di Okafor; se è infelice, non l’ha ancora mostrato. Ma internamente, la frustrazione continua ad aumentare. “Stavo già iniziando a pensare che non faccio parte di questo futuro,” dice a proposito delle foto e dei tweets dei suoi compagni. “Non è stato quindi un “Oddio, mi hanno escluso!” Mi sono in pratica escluso da solo.”

 È tempo di andare avanti? Okafor si ferma un attimo. Vuole mettere in chiaro che rispetta l’organizzazione; che adora i suoi compagni; che non ha lamentele su come è stato trattato. Ma confessa: “A volte, penso sarebbe bello iniziare da capo, nuovo ambiente, nuovi compagni. Penso a ciò e penso possa essere qualcosa che mi possa far bene.” Si sofferma sulla fantasia, sul suo film, sulla sua possibilità di trovare una via d’uscita dall’oscurità, una possibilità di sentirsi ancora a casa.
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giovedì 28 dicembre 2017

Analisi Mondiale terza parte

In continuità con il post della settimana scorsa, in cui abbiamo analizzato gruppo C e D oggi andremo ad analizzare il gruppo E ed F.

Gruppo E: Il Brasile gode sicuramente dei favori del pronostico: mai come in questo cammino di qualificazione la Selecao ha dimostrato netta superiorità rispetto alle avversarie sudamericane. Non è tanto interessante parlare della forza della formazione di Tite (che tanro potrete trovare in qualsiasi testata giornalistica), quanto le difficoltà che potrebbe incontrare nel corso del proprio girone. L'urna di Zurigo ha regalato la Svizzera, formazione che, occorre ricordarlo, ha terminato il proprio girone di qualificazione a pari punti del Portogallo (con differenza reti sfavorevole), per poi superare a fatica l'Irlanda del Nord nella fase di spareggio. Non è una formazione particolarmente stimolante quella di Petkovic, eppure rappresenta un gruppo con grande esperienza internazionale. E' difficile trovare un grande punto debole e di forza agli elvetici: il centrocampo racchiude qualità (Dzemaili) ed equilibrio (Xhaka e Zakaria), gli esterni offensivi godono di estro (Shaqiri) e profondità (Zuber), mentre la coppia difensiva centrale vanta grande atletismo (Schar e il giovane Akanji del Basilea). Probabilmente il vero plus è dato dagli esterni difensivi, con Ricardo Rodriguez da una parte e Lichtsteiner dall'altra a garantire qualità in entrambe le fasi, mentre migliorabile il riferimento offensivo (Seferovic non è mai stato un grande bomber e non vive una stagione particolarmente fortunata) : in quella posizione, probabilmente, è mancato il vero salto di qualità da parte di Embolo, che comunque può dare il proprio contributo. Avversario particolarmente scomodo è rappresentato dalla Costa Rica. Formazione storicamente compassata, il CT Oscar Ramirez ha cercato di mantenere l'equilibrio tattico che l'ex CT Pinto ha magistralmente definito a partire dallo scorso Mondiale. 5-4-1 abbastanza atipico per i costaricensi, che in altri termini può essere definito come un 5-2-2-1, con gli esterni bassi liberi di offendere (il solito Gamboa, in forza al Celtic e Bryan Oviedo, ottimo mancino del Sunderland, assente per infortunio nell'ultimo Mondiale) e i due calciatori a supporto della punta in posizione più accentrata. Una grande fase difensiva richiede grandi interpreti: difficile trovare un portiere migliore di Keylor Navas, per lo meno nel continente americano, oltre al fatto che il paese ha grande tradizione di centrali difensivi i quali, in seguito alla competizione Mondiale hanno sempre trovato collocazione in Europa. Chissà che sia la volta buona per Calco (Minnesota United) e Waston (Vancouver Whitecaps). In avanti comunque, qualcosa da raccontare c'è: Marcos Urena, seppur non particolarmente decisivo in MLS, è l'uomo che affondò gli USA nel match di settembre, supportato dal grande talento Bryan Ruiz, non più giovanissimo, ma ancora elegantissimo con la maglia dello Sporting Lisbona. Infine, la peggior pescata (ovvero la più forte) fra le formazioni inserite in quarta fascia, quella Serbia che, seppur vincitrice di un girone non così complesso, rappresenta un mix d'esperienza e talento. Il nuovo CT Mladen Krstajic, subentrato a Muslin, reo di non aver convocato alcuni pezzi pregiati del calcio serbo (come Milinkovic-Savic), ma pur sempre autore di un invidiabile cammino di qualificazione, ha modificato l'assetto tattico dal 3-4-2-1 al 4-2-3-1, probabilmente un modulo più versatile e adatto alle caratteristiche dei propri giocatori. Paradossalmente, la forza di questa squadra è l'esperta linea difensiva, compasta da quattro veterani come Ivanovic, Kolarov, Rukavina e Tosic, con il monumento Vladimir Stojkovic in porta: grande esperienza internazionale e collettiva. Da lì in avanti, solo talento, a partire da Milinkovic-Savic in mediana per passare al trio d'attacco alle spalle di Aleksandar Mitrovic (Newcastle United), nel quale si alterneranno a rotazione Ljaljc, Dusan Tadic, Filip Kostic e Andrija Zivkovic (Benfica). Con una guida tecnica carismatica, questa squadra può arrivare lontano.

Gruppo F: Nessuna paura per la Germania. Secondo dati OPTA, solamente il Brasile ha più probabilità di alzare la Coppa del Mondo rispetto ai tedeschi (calcoli intrecciati tra forza personale, difficoltà del girone e tabellone). Tuttavia, il gruppo nel quale è stata inserita ha delle interessanti prospettive. Partiamo dal Messico, selezione che ha dominato le qualificazioni CONCACAF: la formazione di Osorio vanta un gruppo di (almeno) 14/15 giocatori di assoluto livello internazionale, che la proietta direttamente verso gli ottavi della competizione (per lo meno come favorita, oltre i tedeschi). Nel tipico 4-2-3-1, solamente due giocatori non giocano in Europa: l'ala destra Javier Aquino, in forza ai messicani del Tigres UNAL, e l'ex stellina blaugrana Giovani dos Santos, attualmente in MLS con i LA Galaxy. Per il resto, l'ossatura è data dal blocco del Porto FC, con ben quattro giocatori in forza ai lusitani (i difensori Reyes e Layun, il mediano Herrera e l'estroso esterno sinistro Corona), impreziosito dalla forza fisica in difesa di Hector Moreno e dalla freddezza sotto porta di Chicharito, solamente 29enne, un giocatore che tutti gli allenatori vorrebbero avere per lo meno in rotazione. Ah, non dimentichiamoci dei possibbili subentri: Hirving Lozano (PSV), Oribe Peralta (CF America), Carlos Vela (Real Sociedad), Jonathan dos Santos (LA Galaxy), non mancano certo le alternative. Formazione di assoluto livello da cui ci aspettiamo molto.
La Svezia è conosciuta fin troppo bene. Nella sua prevedibilità, nella sua solidità, è una formazione che può renderti complicate le cose e prolungare la situazione d'equilibrio fino all'ultimo quarto d'ora di gara. Il 4-4-2 di stampo svedese, perfettamente integrato dal CT Andersson, potrebbe creare problemi soprattutto alle formazioni che decidono di affrontare questa squadra sullo stesso piano fisico (come, ahimè, abbiamo fatto noi). C'è un grande dubbio che però c'assale: il girone prevede Germania (la duttilità tecnico/tattica impersonificata), Messico (veloce e tecnico da centrocampo in avanti) e Corea del Sud (di cui parleremo in seguito ma di cui la fisicità è l'ultima delle qualità a propria disposizione), formazione che decideranno di non voler aggirare la rocciosa e stretta doppia linea a quattro, ma probabilmente, volerne superare solamente la prima linea. A nostro avviso, la svezia troverà grandi difficoltà in questo gruppo. Infine, come anticipato, la Corea del Sud, una curiosissima selezione prettamente asiatica (per quanto riguarda i club d'appartenenza della maggior parte dei convocati) che ha trovato qualche difficoltà nel percorso di qualificazione, costate la panchina al tedesco Stielike. In panchina perciò ci sarà il locale Tae-Yong Shin che, nella sconfitta subita recentemente in Russia contro la selezione locale (4-2), ha provato un dinamico 3-4-3, facilmente mutabile in un 4-4-2 in fase di non possesso, grazie allo scalamento di Kim Young-Gwon, difensore del Guangzhou Evergrande inizialmente schierato come esterno sinistro e di Son Heung-Min, miglior calciatore asiatico 2017 e calciatore del Tottenham Hotspur, con il doppio ruolo sulla stessa fascia. Come detto, gli uomini prelevati da campionati europei sono pochi: il già citato Son, il mediano Koo (Augsburg FC), l'esterno destro Lee Chung-Yong (Crystal Palace) e l'esterno alto Kwon (Dijon FC), almeno nelle preferenze titolari del CT. A disposizione ci sarebbero anche il mediano Ki (Swansea FC, che per lo meno alzerebbe il tasso fisico della squadra) e la punta Dong-Won Ji dell'Augsburg, al quale però viene preferito l'attaccante del Gamba Osaka Hwang Ui-Jo. E' una formazione che ha trovato grandi difficoltà sotto porta nel corso delle qualificazioni, che rispecchia perfettamente la quarta fascia d'appartenenza e che potrà avere il ruolo di "disturbatore", togliendo qualche punto prezioso a selezioni con ambizioni diverse.

Nel prossimo e ultimo episodio analizzeremo gli ultimi due gironi.
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martedì 26 dicembre 2017

Commento Golden State Warriors- Cleveland Cavs

Golden State non è lunga, di più. Può permettersi le folate offensive e le giocate difensive di Iguodala dalla panchina, come può godere dell'energia, della capacità di passaggio e dell'intelligenza di Bell e dell'ottimo impatto di McCaw.

Poi ci sono i titolari, e tra i Thompson, i Curry (quando rientrerà) e i KD c'è il loro vero uomo barometro. Quello che sa fare tutto, segna, passa, lotta a rimbalzo, la alza per i compagni, stoppa, ruba palloni, è sempre a terra a sbucciarsi le ginocchia, carica il pubblico.

Se si tratta di vincere sa fare praticamente tutto. Ed è il gioiello a disposizione di Kerr.
Vince la squadra più forte, che oltre all'attacco sembra aver fatto un (ulteriore) passo avanti in difesa.
E questo vale al netto dell'ultimo possesso, falloso probabilmente (come è dubbio anche quello precedente).

Cleveland è tutta nelle triple e nei rimbalzi di Love, nella totalità di LeBron (capace di tenere in gara i pessimi Korver, Green e compagnia nonostante una partita sottotono) e nei rari sussulti d'orgoglio di Wade che a tratti torna indietro nel tempo, ma se parliamo di fluidità offensiva e di qualità difensiva viaggiamo su due universi diversi.
E l'universo vincente, oggi, è quello di San Francisco. Il punto è che finchè LeBron eleva il livello di gioco dei suoi e li tiene in partita anche quando, a vedere 2-3 azioni, si pensa che siano sotto di 20, ci sarà sempre partita.

E' la gara di Natale e forse se ne riparlerà a giugno, per cui non ci perdiamo in commenti sugli arbitri che, come i giocatori, sbagliano e sono sotto pressione.
Nel frattempo godiamoci un Draymond Green da 12 punti, 12 rimbalzi e 11 assist, perchè quando vede i Cleveland Cavaliers il cestista di Saginaw s'infiamma e non lo ferma nessuno. D'altronde per vincere i titoli servono i Curry, i Durant, ma soprattutto i Green!
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lunedì 25 dicembre 2017

" The Process" è fallito con Okafor parte 2/3

Dopo il suo primo anno, Okafor ha tenuto un basso profilo. Riabilitare il suo status di giocatore di basket, però, si è dimostrato più difficile del previsto. Così come il video della rissa di Boston ha tormentato Okafor, un’altra clip ha creato danni più duraturi. La scorsa stagione, è diventato virale un video in cui vedeva Okafor in piedi come un paletto in area mentre un giocatore Heat sbagliava un jump-shot, prendeva il rimbalzo offensivo e finalmente segnava. Il video è diventato l’emblema della difesa di Okafor, prova della sua inettitudine in quella metà campo.

 La scorsa stagione, Okafor si è classificato 61esimo su 62 centri (davanti solo a Towns) per Defensive Real Plus-Minus, una statistica che stima l’impatto quando il giocatore è in campo sulla performance difensiva della squadra. Secondo basketball-reference.com, i Sixers sono stati di 4.9 punti su 100 possessi peggiori con Okafor in campo in difesa rispetto a quando egli era in panchina, contro i 2.5 punti della sua stagione da rookie. “Non riesce a difendere su nessuno e non ci prova nemmeno” dice un certo executive NBA.

 Pierce non è d’accordo, specialmente quando si parla dell’attitudine di Okafor. Dice che lo venne subito a cercare non appena vide il video, chiedendogli cosa aveva fatto di sbagliato. Pierce gli disse che aveva svolto il suo compito correttamente – Okafor doveva indietreggiare e mantenere il portatore di palla davanti a se’. Era stato il suo body-language inadeguato che aveva reso la giocata così orrenda. “Avrebbe potuto fare di più in difesa in quell’occasione?” Pierce si chiede. “Certamente. Ma si trovava esattamente dove noi volevamo che fosse. Alla fine è una questione di prospettiva, di come si guarda la cosa. In 48 minuti, potresti trovare un video del genere per ogni giocatore in qualunque squadra.”

 Okafor, ovviamente, non è finito terza scelta assoluta al Draft per i suoi meriti difensivi. Al college era un dominante scorer in post-basso, che mescolava stazza e potenza con un’abile agilità di piedi ed una mano morbida attorno al ferro. Riusciva a trovare tiratori liberi quando era raddoppiato, e trattava bene la palla per la sua altezza. Anche se non era un grande tiratore da fuori area, amava porsi fronte a canestro e fronteggiare il difensore al gomito, per batterlo in palleggio. Una grossa fetta di queste abilità sono rimaste anche in NBA; ha tenuto 17,5 punti di media nella stagione da rookie, prima che un a lesione al menisco del ginocchio destro ponesse fine alla stagione i primi di marzo.

 Le cose sono cambiate la scorsa stagione. Dopo aver saltato due anni per infortunio, Embiid finalmente è sceso in campo. Assieme a Okafor e Nerlens Noel, formavano una serie di centri tutti recenti lottery picks. Se tutti e tre erano attivi, non c’erano abbastanza minuti per farli giocare. Ciò nonostante, il trio era comunque frequentemente infortunato, permettendo all’allenatore Brett Brown di avere una piccola chance di testare come si sarebbero sposati insieme. Okafor e Embiid hanno giocato da duo solo 80 minuti; i Sixers sono stati surclassati di 34 punti in quel lasso di tempo.

 I minuti in campo di Okafor fluttuavano, ed alcune sere non si è nemmeno cambiato. La sua frustrazione raggiunse il picco in gennaio, quando Brown chiamò il centro nel suo ufficio, prese il calendario e lo informò che non avrebbe giocato per le prossime quattro partite. “Sono stato infuriato per tutta la settimana,” disse Okafor.

 Tornò titolare a Washington. A due minuti dall’inizio della partita, prese palla in ala, a destra, contro il centro degli Wizards Marcin Gortat. Si girò, si diresse contro Gortat con un paio di forti palleggi, ed accelerò verso il centro. Fece volare la palla verso il canestro di sinistro, portò a casa il fallo e mise in chiaro le cose. Per il resto della partita, attaccò instancabilmente, fissando il suo allenatore dopo vari canestri. Finì con 26 punti e 9 rimbalzi. “Ero soltanto infuriato, come a dire alla mia organizzazione che non era giusto,” dice Okafor. “Volevo semplicemente far sapere al mondo del basket che ero ancora il ragazzo che all’inizio tutti pensavano che fossi”.

 I Sixers hanno sperato che qualcuno lo notasse, perché realizzarono che avrebbero dovuto scambiare uno dei loro centri. In febbraio, trattative su Okafor si intensificarono così tanto che i 76’ers gli dissero di rimanere a casa mentre la squadra andava in trasferta a Charlotte. Ma la stessa crollò il giorno dopo, e Okafor fu subito imbarcato in un volo American Airlines per riunirsi alla squadra a Boston. Una situazione imbarazzante peggiorava.
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domenica 24 dicembre 2017

Commento Juventus-Roma

 Se Schick avesse segnato, il commento post gara sarebbe stato superficialmente diverso. Roma cinica ed in grado di incassare i colpi senza crollare; Juventus dominante ma sciupona, incapace di concretizzare la mole di gioco prodotta. La realtà dei fatti ci ha mostrato una Juventus per 75 minuti incredibilmente superiore a livello fisico, abile a soffocare le velleità offensive giallorosse. Male Dzeko, Perotti e anche El Shaarawy, poco propensi al dialogo e più concentrati al compitino. La punta romanista è stata facile preda dei due centrali, con Benatia e Chiellini sempre e comunque in anticipo. La Juventus ridisegna il modulo ormai da tre anni, ma quello che colpisce è l'abilità di Allegri nell'insinuarsi tra le pieghe mentali dei giocatori, la sua proprietà nel rendere credibile il suo progetto, anche a costo di mettere in standby giocatori fondamentali (Dybala?). Il gruppo ha la priorità sul singolo, e le vittorie - frutto della condizione eccezionale attuale - aiutano a rafforzare la forza del tecnico livornese. Capitolo Roma. Gli ultimi 15 minuti della partita hanno consegnato una Roma più in partita, complici anche i padroni di casa. Il potenziale offensivo c'è, inutile negarlo, il centrocampo anche, la difesa era una delle meno battute, la condizione no. Si potrebbe aggiungere la testa? Probabile, ma non sufficiente a dimostrare il risultato di ieri. È vero che la prova di maturità per la Roma è un supplizio, ma le due squadre sono arrivate al big match in stati di forma differenti. Juventus lanciata, Roma in leggera flessione. Di Francesco ha chiosato in conferenza stampa, sottolineando le occasioni avute e mancate. Una grande squadra che si rispetti, avrà sempre quel quid nel portare a casa punti "immeritati".
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Napoli: Il mercato che farei

Il Napoli anche quest'anno in questa prima parte di stagione si sta confermando una papabile candidata per la vittoria finale del campionato, ma per essere competitivi con le altre là davanti serve puntellare la rosa in alcuni reparti. Anche perchè come abbiamo visto dall'eliminazione in Champions, il Napoli con solo questi giocatori non riesce a reggere il doppio impegno.
Per portare il tricolore nella città partenopea serve investire circa 20 milioni nel mercato di gennaio.
Dei tre portieri venderei Rafael a 8 milioni, e a quel punto investirei 13 milioni per portare Scuffet a Napoli. L'Udinese è piena di portieri di grande talento e se dovesse arrivare un'offerta simile non penso la rifiuterebbero. Scuffet sarebbe un ottimo secondo e sotto la guida di Reina potrebbe fare il definitivo salto di qualità. A quel punto si avrebbe un bilancio in attivo di 15 milioni di euro.
Per quanto riguarda la difesa non farei niente: Koulibaly è fortissimo, Raul Albiol è un giocatore d'esperienza, Maksimovic deve ancora esplodere del tutto e Chiriches e Tonelli sono due ottimi panchinari. Sulla fascia sinistra il Napoli deve fare qualcosa, Ghoulam si è rotto e Mario Rui non è riuscito ad integrarsi al meglio. A questo punto il Napoli potrebbe tenere Mario Rui e prendere Blind a gennaio, quest'ultimo è in scadenza a giugno, ma prendendolo adesso il Napoli guadagnerebbe tanto su quella fascia (dovrebbe pagarlo 28-30 milioni ma farebbe un grande colpo). Tra l'altro se Blind si dovesse adattare bene, De Laurentis a giugno potrebbe addirittura vendere Ghoulam per 25 milioni. A questo punto si andrebbe in negativo di 3 milioni sulla fascia sinistra. Per quanto riguarda la fascia destra lascerei tutto invariato, Hysay è un ottimo titolare, mentre Maggio si sta dimostrando un discreto panchinaro, ma soprattutto è un giocatore esperto.
A centrocampo non c'è nulla da fare, perchè se sulla mediana abbiamo Jorginho e Diawara a centrocampo abbiamo Hamsik, Zielinski, Allan e Rog, quindi stiamo parlando di sei giocatori di altissimo livello, di conseguenza nessuno deve partire e nessuno deve arrivare.
Come esterni sinistri il Napoli ha Insigne, Giaccherini e Leandrinho. Il napoletano chiaramente lo blindo, Giaccherini lo vendo, mentre Leandrinho lo mando in prestito. Giaccherini lo potresti vendere per 3 milioni. A questo punto come vice Insigne andrei a prendere Di Francesco del Bologna con la formula del diritto di riscatto, in questa maniera verrebbe a costare una ventina scarsa di milioni, ma avresti un giocatore con un futuro assicurato.
Come esterni destri il Napoli invece ha Callejon e Ounas, perfetto secondo me: hanno il titolare e il panchinaro e di conseguenza non hanno bisogno di nessun rinforzo. Fino a questo momento il bilancio verrebbe a 0 milioni con 0 guadagno, ma anche con 0 spese.
Infine passiamo al reparto degli attaccanti, il Napoli ha Mertens e Milik, però non ci scordiamo che Milik è rotto per un infortunio molto grave, il Napoli ha di proprietà Inglese del chievo, quindi pagando una penale potrebbe subito portarlo in Campania. Oppure potrebbe fare uno scambio molto interessante: dare in prestito Milik al Chievo per 6 mesi, per farlo tornare a giocare e prendersi Inglese per farlo giocare quando Mertens ha bisogno di rifiatare. A questo punto a giugno il Napoli avrebbe Inglese, Milik e Mertens. Chiuderebbe il bilancio a zero ma che bella squadra.
Ricapitolando gli acquisti sarebbero quelli di:
-Scuffet (13 milioni)
-Blind (18 milioni)
- Di Francesco (in prestito)
- Inglese (fine prestito)
Mentre le cessioni sarebbero quelle di:
-Rafael (8 milioni)
-Giaccherini (3 milioni)
-Milik (in prestito)
-Leandrinho (in prestito)
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sabato 23 dicembre 2017

La bella storia di Stephen Wardell Curry

Stephen Wardell Curry, nasce il 14 marzo 1988 ad Akron, alto 190 cm ed è poco più di 80 kg di poesia in movimento, faccia da bambino e assolutamente inarrestabile.
La sua storia è molto particolare ed esemplare, ispiratrice come poche altre ne esistono: è il racconto di un ragazzo con dei limiti fisici più che evidenti che ha cambiato la concezione comune, che si è conquistato a spallate un posto nell'èlite della pallacanestro mondiale. Questa è la storia di uno di noi che ce l'ha fatta.
Steph fin da piccolo ha avuto attorno a lui lo scetticismo di chi lo vedeva accanto agli altri giocatori. Il suo fisico snello, ossuto, non esplosivo è stato un problema ben prima di entrare nel basket professionistico: diverse università importanti si rifiutarono di offrire al nativo di Akron una borsa di studio ritenendolo troppo piccolo per fare la differenza in un basket fisico come quello universitario collegiale: Molti dicevano: "Forse Curry sarà buono per una carriera in europa, niente di più" Quante volte Stephen si è sentito ripetere queste parole, durante il suo periodo all'high school e al college. Un ottimo giocatore, certo, ma con troppi difetti fisici per riuscire a giocare nel basket d'oltreoceano.
Avendo il padre Dell, giocatore più che discreto, offerto i suoi servigi a Virginia Tech qualche anno addietro, il ragazzo provò a seguire le orme paterne. Ma anche in questo caso la risposta fu picche. Successivamente Curry ricevette offerte da Davidson College, Virginia Commonwealth e Winthorp, Curry scelse Davidson College, una scuola che non vinceva un torneo NCAA dal 1969.
Bob Mckillop, che di quella squadra era l'allenatore, non ci mise molto a capire cosa gli era capitato per le mani. Bastarono pochi allenamenti a Curry per conquistare nel modo più totale il suo nuovo coach, che un giorno, davanti ad un nutrito gruppo di studenti del college, realizzò una di quelle previsioni destinate a lasciare il segno: Wait till you see Steph Curry. He's something special" disse. Bel colpo Bob...
Il fenomeno di Golden State interpreterà successivamente il suo approdo a Davidson College come una precisa scelta divina.
Il 15 marzo 2007, Steph realizza 30 punti per battezzare la sua prima partita di torneo NCAA con i Wildcats, in una sconfitta contro Maryland. Il 16 Aprile, nel campus che avrebbe dovuto essere suo, a Blacksburg, Virginia, un tipo di nome Seung-Hui Cho apre il fuoco alla cieca, ammazza 32 persone, ne ferisce altre 17 e poi si toglie la vita.
Le prime due stagioni a livello universitario sono da incorniciare: impiega solo 83 partite per sorpassare quota 200 punti con una media di 24.4 a serata. In tutta America diventa familiare quel numero trenta che vede sulla maglia rossa dei Wildcats e che ritrova poi tatuato sul suo polso, insieme alle lettere TCC ("Trust. Commitment. Care", il mantra di coach Mckillop). Davidson diventa la squadra cenerentola, il college per cui fa il tifo tutta l'America e infine riesce ad entrare tra le prime 8 del torneo NCAA dopo un'assenza durata qualche era geologica.
Stephen decide, ascoltando i consigli del padre, di rimandare un approdo in NBA a quel punto decisamente probabile per disputare la sua stagione da junior, nella quale diventa il nuovo scoring leader di tutti i tempi di Davidson e, soprattutto, viene nominato miglior realizzatore della stagione NCAA, portando a casa una media di quasi 29 punti a partita mettendo dietro gente come KEvin Durant.
Nel 2009 Curry ha firmato il suo primo contratto da professionista con i Golden State Warriors per 12,7 milioni di dollari, selezionato come la settima scelta assoluta. L'impatto con il professionismo e tutt'altro che traumatico, e ancora una volta Steph riesce a far ricredere tutti coloro che gli rinfacciavano delle carenze fisiche non trascurabili: percentuli al tiro da cecchino, costanza nelle prestazioni, inizia a far girare la testa dei suoi fan, diventando un autentico eroe di culto del parquet per parecchi appassionati di basket. Viene anche nominato secondo rookie dell'anno nonostante non riesca a portare i Warriors ai playoff. Le difficoltà maggiori però devono ancora arrivare, e si presentano nella forma più subdola e dolorosa per un giocatore molto giovane, quella dei problemi fisici persistenti. Il suo problema principale diventano le caviglie troppo fragili per avere continuità a quel livello.
I detrattori di Curry tornano alla carica e la stagione 2011/2012 scivola via senza soddisfazioni, con uno Steph troppo condizionato dagli infortuni per riuscire a incidere: scende in campo solo 26 volte a i playoff saltano per il terzo anno consecutivo. Anche in questo caso, però, Steph si dimostra più forte dei suoi limiti, troppo tenace e testardo per cedere di fronte alle difficoltà: lavora sul suo fisico, sulla sua postura, rafforza fianchi e glutei e, così facendo supera i problemi alle caviglie.
Come tutti i grandi, una volta toccato il fondo. Il numero 30 comincia la sua risalita. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la stagione 2012/2013 è stata un continuo strabuzzare gli occhi e balzare in piedi dal divano per la sorpresa dopo ogni magata del ragazzino di Akron che è finalmente riuscito a condurre i suoi alla postseason e, una volta salito sul palcoscenico più importante, ha recitato il ruolo da protagonista in maniera impeccabile. La storia si fa nelle partite decisive, e proprio durante quelle sfide Curry è letteralmente esploso, scatenando attorno a sè un entusiasmo addosso, dai 54 punti al Madison, tempio sacro del gioco dove spesso sono stati consacrati i più grandi di tutti i tempi, fino ad alcune prestazioni semplicemente disarmanti nei playoff. Il 17 aprile 2013, nell'ultima partita stagionale contro Portland, Curry realizza il 272esimo da tre della sua stagione superando il record di triple in un'annata NBA che apparteneva a Ray Allen.
Osservando giocare il 30 si nota immediatamente come il suo gioco goda di una grande pulizia. Ogni gesto tecnico è eseguito sempre in modo armoico, senza sbavature. Se lasci più di 10 cm tra la tua mano e la sua faccia, nel momento in cui parte il tiro sai già che dovrai andare a battere la rimessa. Se per non concedergli la conclusione ti fai battere in entrata, non sperare troppo nell'aiuto del lungo: il ragazzo alza la parabola a suo piacimento e trova quasi sempre il fondo della retina.
In tutto ciò Curry riesce a non essere un giocatore egoista, ossia non tende a diventare il terminale offensivo di ogni singola azione dei suoi, come viene(o veniva) invece rinfacciato ad altri fenomeni assoluti come Anthony o Bryant. Per Steph i compagni vengono prima di tutto. nei suoi sette anni di NBA, Curry ha messo in mostra uno stile di gioco eccitante, dove una grande visione di campo, compagni e avversari si accoppia a fantastiche capacità tecniche di ball handling e a uno stile di tiro particolare ma estremamente efficace, che lo rende, senza mezzi termini, uno dei più grandi tiratori della storia di questo gioco. Curry può decidere di tirare in qualsiasi momento, con l'uomo addosso, dopo essersi smarcato con un passo di arretramento, così come, dopo aver vagabondato libero per il campo, con il pallone. Sempre incollato alle mani come fosse uno yo-yo: se lo può permettere, la palla va quasi sempre dentro. Curry cerca costantemente di coinvolgere i suoi compagni nella sua trance agonistica, quando si accende, i Warriors si accendono con lui, e chiunque sia sul parquet in quel momento sale di un giro. Quando i Warriors si accendono, si accende con loro San Francisco, in una catena coinvolgente e spettacolare. Il momento giusto, la scintilla nell'arco dei 48 minuti può nascondersi ovunque. Gli avversari di Steph lo sanno, e giocano con la consapevolezza che quando il momento giungerà, arginare la marea gialla sarà terribilmente complicato. Al termine della stagione 2014/2015, dopo aver guidato i suoi Warriors ad uno straordinario record di 67-15, Curry riceve il premio di MVP, migliore della regular season. Quindi porta i suoi Warriors in finale NBA, dopo aver battuto i Pelicans, i Grizzlies e gli Houston Rockets. Nelle finals riesce a battere i Cavs di Lebron James per 4-2 grazie anche ad una prestazione da 37 punti in gara 5 e il 17 giugno si laurea campione NBA riuscendo a vincere nella stessa stagione MVP e anello. Nel corso della pst-season, infrange il record di Reggie Miller per triple realizzate in un'edizione dei playoff NBA.
Stephen Curry riesce a vincere l'anello anche nel 2017.
Adesso è sul tetto del mondo e forse ripensa a tutte quelle volte in cui gli hanno detto che non c'è l'avrebbe fatta, che era troppo basso, troppo gracile, troppo lento. Le prime parole di Curry dopo aver vinto il primo titolo sono state: "Nello sport o in altri ambiti, bisogna essere consapevoli che si deve sempre lavorare per trionfare".
Curry è uno di quei ragazzi talentuosi che hanno visto realizzare il loro sogno. Lui è famoso, e in quanto tale, potrebbe concedersi ad ogni tipo di vizio esistente, e invece è sposato con Ayesha, conosciuta da adolescente nella chiesa che frequentava.
In un mondo come quello dello sport, dove prevale l'individualismo e dove la vanità la fa da padrona, un esempio come quello di Steph è come un raggio luminoso.
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mercoledì 20 dicembre 2017

" The Process" è fallito con Okafor ep1

Jahili Okafor copre le gambe con una coperta, si adagia sullo schienale in pelle ed alza lo sguardo verso lo schermo. Le luci si abbassano e Reese Witherspoon comincia a raccontare la prima scena di "Home Again", una commedia romantica che si conferma essere semplice sia per il romanticismo che per la comicità. Ma ad Okafor non interessa molto la storia. E' qui per il contesto.

La fidanzata di Okafor appoggia la testa sulla spalla di lui. Una porzione di patatine dolci è appoggiata sopra un tavolino rotondo che spunta tra le loro poltrone. Questo è solo il primo dei due film che Okafor guarderà in questo pomeriggio di settembre, insieme a lei, tra le comodità del lussuosissimo iPic Theatre, al Fulton Market di New York. Okafor si trova in città per una settimana di fisioterapia ed allenamenti, ma è sua abitudine prendere un treno da Philadelphia a Manhattan solamente per godersi uno o due film all'iPic. Alla fine di questa settimana, avrà visto ogni singolo film che la sede di Fulton Market offre.

"Le persone vogliono sapere perchè mi piace andare al cinema così tanto" dice Okafor. "Se fossi uno psicologo e dovessi analizzarmi, forse direi che mi piace come la sala sia buia e come io possa sedere lì come una persona normale, non infastidito da niente e possa solamente godermi la storia"

Okafor ormai si è abituato all'oscurità. Egli era, una volta, uno dei prospetti più promettenti in una generazione di liceali che comprendeva Karl-Anthony Towns, Myles Turner e D'Angelo Russell, ed ha conquistato un titolo NCAA con menzione nel first-team All-America durante la sua unica stagione a Duke. Ma gli scorsi due anni in NBA non sono risultati altrettanto soddisfacenti. Il mondo del basket ha giudicato Okafor molto duramente, etichettandolo come un delinquente, dopo una serie di avvenimenti fuori dal campo, ed un fallimento, sulla base di due stagioni caratterizzate da disattente difese e infortuni. Nonostante tutto è rimasto sulle sue, lasciando agli altri il compito di delineare le sfumature della sua carriera.

Durante la passata estate, è affondato ancora di più nel dimenticatoio. Quando Joel Embiid ha sancito il nuovo giovane nucleo dei 76'ers come "FEDS", (Fultz, Embiid, Dario -Saric-, Simmons), il nome di Okafor è stato assente in maniera assordante, nonostante egli fosse stata la terza scelta al draft di solo due anni prima. Mentre i suoi compagni postavano foto di squadra su Instagram, Okafor è sparito dai social media. Mentre trade rumors imperversarono lui è stato muto come una tomba.

Ma il silenzio non dovrebbe mai essere frainteso per apatia o accondiscendenza. Le scorse due stagioni hanno cambiato Okafor profondamente. Quest'estate si è concentrato sui suoi problemi fisici, adottando una dieta vegana che gli ha fatto perdere circa 9 Kg e gli ha migliorato l'infiammazione cronica al ginocchio che lo affliggeva la scorsa stagione. L'off-season ha significato anche crescita emotiva, tanto che Okafor è arrivato ad un punto in cui è pronto ad aprirsi su tutto ciò che è trapelato e tutto ciò che può accadere.

Tra le due proiezioni all'iPic, Okafor si dirige verso il centro di Manhattan, dove la National Basketball Players Association ha costruito un attrezzatissimo campo d'allenamento, nella sede sulla 6th Avenue. Rick Lewis, che ha allenato Okafor da quando egli ha 13 anni, fa fare al centro di 210 cm una serie di esercizi da guardia: palleggi lungo il campo, centinaia di triple, arresti-e-tiri. Gocce di sudore scivolano sulla nuca di Okafor e lui si toglie la maglia, rivelando la sua nuova linea filiforme e i suoi nuovi addominali leggermente scolpiti.

Per la maggior parte della giovinezza, scene come questa erano il suo rifugio. Sua madre morì quando lui aveva solo 9 anni, ed egli seppelliva la sua tristezza sotto ore di arresto-e-tiro.

Da rookie, invece, il basket si è trasformato da una scappatoia ad un fardello. Nel novembre del 2015, Okafor venne coinvolto in una rissa fuori un night club di Boston; un video emerse di lui che prendeva a pugni un uomo che lo aveva offeso. Successivamente, furono pubblicate due storie nel "Philadelphia Inquirer". Una rivelava che la polizia lo aveva fermato per guida oltre il limite di velocità (170 Km/h) sul Ben Franklin Bridge poco prima della rissa, sempre a novembre. L'altra raccontava che un uomo aveva puntato una pistola contro Okafor durante un litigio fuori da un night club nella Old City, in ottobre 2015.

Le reazioni furono prevedibili: un altro giovane sportivo immaturo nel migliore dei casi, una cattiva persona nel peggiore. I Sixers lo sospesero per due partite, e Okafor si scusò con una serie di tweet superficiali. Ma Okafor, comunque, stava soffrendo dentro. Per due settimane lasciò difficilmente casa sua dopo l'incidente di Boston, mandando famigliari ed amici a comprare il cibo.

Fu solo durante una lunga conversazione con Lewis in una camera d'albergo a Memphis che Okafor cominciò a trovare una via d'uscita da questa situazione. Il suo coach di sempre gli parlò del riabilitarsi dopo gli errori, citando Bill Clinton come esempio del superare i momenti in cui ti odiano tutti. La chiave, sosteneva Lewis, era ammettere le proprie responsabilità di fronte a quelle trasgressioni. Ma Okafor era solo un diciannovenne, e qualsiasi cosa oltre ad una scusa superficiale era sentita dall'atleta come un disagio. Due anni dopo, invece, le riflessioni vengono più facilmente.

"Eravamo vicini a vincere quella partita contro i Celtics, e finì per scapparci dalle mani nel quarto quarto", dice Okafor a proposito di quella notte a Boston. "Mi ricordo solo di essere arrabbiato perchè eravamo vicini ad ottenere la prima vittoria. E decisi semplicemente di uscire quella notte. Non ricordo molto, perchè ero davvero sballato. Ed essere ubriaco non ha rivelato come sono davvero. Mi ricordo di essere stato offeso. Ho reagito in maniera diversa."

Quelle esperienza hanno rafforzato Okafor. Egli era scioccato quando la multa divenne una grande notizia, ed ancora quando egli usò un documento falso in un bar vicino casa, un'accusa che lui nega veemente. Mentre il pubblico sentenziava frettolosi giudizi sul suo carattere, lui sentiva la sua fiducia nel prossimo sgretolarsi.

"Se ti metti a guardare il video di Boston, dirai sicuramente "che criminale", "dice Lloyd Pierce, un assistant coach dei 76'ers. "E' stato un' occasione solitaria, e chi lo sa come e perchè è accaduta. Ma se non hai mai visto il video e giudichi Jahlil da tutto il resto, noterai sicuramente che è il più premuroso, simpatico, migliore compagno possibile. E' un bravo ragazzo. Non avrai mai spiacevoli eventi con Jahlil Okafor."

Ma questo non è come l'opinione pubblica vide Okafor. E lui non potè non pensare ad una lezione imparata a scuola. "Crescendo, ricordo qualcuno che disse che un solo errore cambia l'immagine che tutti hanno di te", dice. "Mi ricordo il mio maestro che diceva che puoi andare sullo scuola-bus per 300 giorni e non vomitare, ma se il 301esimo vomiti, tutti ti ricorderanno come "quello che ha vomitato nel bus"."
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lunedì 18 dicembre 2017

Trash talking legends ep 9

Questa è la storia di un bianco, anzi IL bianco.
Il bianco con il primo passo più veloce d'America.

8 Febbraio 1986.
Bird prese parte alla prima gara da tre punti nella storia degli Nba All Star Game.

Poco prima dell'inizio della competizione entrò negli spogliatoi e disse agli altri sette partecipanti:

"I'm just looking around to see who's gonna finish up second".
["Sto solo dando un'occhiata in giro per vedere chi arriverà secondo"]

E poi disse a Wood, che era considerato come il favorito:

"Hai per caso cambiato meccanica di tiro?"
Wood non ne mise più uno.

Nei primi due turni non tolse nemmeno la giacca da riscaldamento.

Inutile dire chi vinse.

Larry Joe Bird.
Larry Legend.
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sabato 16 dicembre 2017

Quanto é importante scegliere bene la draft

Quando si tratta di costruire il roster, ogni squadra ha una strategia differente.

Le franchigie collocate in mercati meno importanti in genere preferiscono assemblare le loro future (si spera) contenders per il titolo attraverso il Draft, sapendo che potrebbero trovare difficoltà nell'attirare giocatori di un certo calibro in Free Agency.

Il nuovo contratto collettivo di negoziazione tra l’Nba e le 30 franchigie (CBA) - con il suo mostruoso iper-contratto da 210 milioni di dollari in cinque anni (quello ottenuto da Steph Curry questa estate, per esempio) - fornisce a queste squadre una possibilità migliore di firmare nuovamente i loro migliori talenti.

Ciò ha avuto, quindi, l’effetto opposto su quelle organizzazioni che evitano il “tanking” (e quindi si tirano fuori dalla corsa per i migliori collegiali o prospetti oltreoceanici), e che preferiscono fare caccia grossa in Free Agency.

Ad esempio i Miami Heat. Ma anche loro, a giudicare dai commenti in giugno del presidente della franchigia Pat Riley, hanno capito che in futuro sarà molto più difficile privare le altre franchigie dei loro maggiori talenti.

Queste le sue dichiarazioni in conferenza stampa alla fine della stagione 2016-17 di Riley:

 “Penso che (il CBA) imporrà molte nuove cose riguardo la Free Agency. Se si pensa al 2010, quando abbiamo avuto il privilegio di assicurarci i servizi di LeBron (James), CB (Chris Bosh) e Dwyane (Wade), le regole erano diverse. Erano in ballo meno soldi. Si potevano firmare contratti da sei anni. Si usavano le “sign-and-trade”. Oggi è molto diverso. Qualunque grande giocatore penserà più e più volte se rinunciare probabilmente a una cifra dai 65 ai 70 milioni di dollari, o qualunque possa essere la cifra in questione, per andare da qualche altra parte. Dovrà volere davvero fortemente venire da te, o andarsene da dov'è.”

Guardando al futuro, squadre come gli Heat dovranno dare maggiore importanza al draft. Fatto da non sottovalutare, dato che storicamente Miami ha uno dei record peggiori della lega quando si tratta di scegliere bene i giocatori giusti con le scelte al primo giro. 

Tra le otto scelte al primo giro della franchigia nel nuovo millennio, solo una ha ricevuto un secondo contratto. Si tratta, naturalmente, del futuro membro della Hall of Fame Dwyane Wade. Ci sono alcune spiegazioni per alcuni dei sette che non ne hanno ricevuto uno: Caron Butler è stato scambiato come parte dell’accordo che ha portato Shaquille O’Neal a Miami, mentre Michael Beasley è stato scaricato per liberare spazio salariale quando LeBron James e Chris Bosh hanno raggiunto Wade nel Sud della Florida.

Comunque, non può far piacere aver azzeccato una sola scelta al draft in 17 anni.

 E gli Heat non sono di certo l’unica squadra con problemi simili.

 I Dallas Mavericks e gli Houston Rockets hanno avuto problemi simili. La prima ha fatto firmare un secondo contratto solamente a una delle loro nove scelte al primo giro dalla stagione 2000-01 ad oggi. Si tratta di Josh Howard.

 Inoltre, analogamente agli Heat, i Mavericks, nel 2008, hanno scambiato uno dei loro migliori giovani prospetti, Devin Harris, per aggiungere talento utile nel breve termine durante il fiore degli anni di Dirk Nowitzki. In cambio di Harris hanno ottenuto tra gli altri Jason Kidd, che sarebbe poi stato un elemento fondamentale della cavalcata trionfale di Dallas nel 2011.

 Invece, quando si tratta di offrire un secondo contratto alle loro scelte al primo giro i Rockets segnano 2 su 13 - si tratta di Yao Ming e Donatas Motiejunas (ovviamente, l’accordo con il lituano non ha mai funzionato per via di un brutto tira e molla con la franchigia a proposito di uno scambio annullato che stava per mandarlo ai Detroit Pistons, seguito da un rifiuto di contratto e culminato con un accordo reso nullo da Houston, dopo che la franchigia texana aveva inspiegabilmente pareggiato il contratto offerto all’ala grande dai Brooklyn Nets). Ma il general manager di Houston Daryl Morey è noto per il suo grilletto facile quando si tratta di scambiare risorse, che possono essere scelte al draft o giovani giocatori ancora al loro primo (e relativamente economico) contratto.

 Rispettivamente, le tre squadre di cui sopra hanno fatto firmare un secondo contratto al 12.5%, 11.1% e 15.4% delle loro scelte al primo giro - considerevolmente distanti dal 32.5% di media delle altre 27 squadre della lega. 

In parte il problema, relativamente innocuo, è dovuto al fatto che le due franchigie texane e quella di South Beach hanno molto di rado avuto scelte in Lottery- o hanno sentito il bisogno di fare “tanking” per ottenerle - nel nuovo millennio. E quindi ecco che i giocatori che legittimano un secondo contratto sono spesso già presi. Dal 200-01, il 39.5% dei giocatori presi in una delle prime 14 scelte al draft ha ottenuto un secondo contratto dalla squadra che li ha selezionati. Una simile offerta è arrivata solo al 20.5% delle scelte non in lottery. 

Questo non merita molta analisi, dato che il trend è abbastanza chiaro: i giocatori con maggiore margine di crescita sono scelti prima al draft, e le squadre che li scelgono non devono stare molto a pensare se offrirgli o meno un secondo contratto. 

Naturalmente, non tutte le squadre sono come Miami, Dallas e Houston. Altre - o facendo “tanking” per ottenere talenti al Draft o semplicemente grazie a buoni scout - ottengono costantemente giocatori buoni tra le loro prime scelte, piazzando di tanto in tanto il colpo da 90.

 In particolare, i Toronto Raptors, i Chicago Bulls e i Denver Nuggets sono tra le franchigie più efficaci per quanto riguarda le scelte al primo giro. Di media, le tre organizzazioni hanno raggiunto accordi per un secondo contratto con un impressionante 46.8% delle loro scelte al primo giro dalla stagione 2000-01. Considerato che la media della lega si ferma al 31.1%, l’efficacia di Toronto, Chicago e Denver nel pescare i giovani giusti è degna di nota.

 Allo stesso tempo, nessuna di queste tre squadre si è mai avvicinata a vincere un titolo negli ultimi 17 anni, mentre tre delle squadre meno efficaci al draft - Miami, Dallas e Houston - messe insieme hanno portato a casa quattro anelli nello stesso lasso di tempo.

 Questo sta a significare che, a prescindere da quanto bene si possa scegliere al Draft, il selezionare il giusto giocatore che possa dare un contributo alla squadra è solo uno dei tanti pezzi del puzzle quando si tratta di costruire ottime squadre, degne di un titolo.
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venerdì 15 dicembre 2017

Nba: New York hai trovato il nuovo re?

I cori "M-V-P, M-V-P" al Madison Square Garden sono quasi esclusivamente sarcastici. I recenti destinatari includono, ma non si limitano, a: la guardia di riserva Ron Baker, l'ex MVP Derrick Rose, il lungo di riserva Quincy Acy e Metta World Peace: l'ultimo in una partita dove ha giocato due minuti, con 1 su 3 dal campo e due liberi sbagliati. Piccolo particolare: giocava per i Lakers.

Ora i fans dei Knicks lo cantano per Kristaps Porzingis e, per la prima volta da tempo, hanno un buon motivo per farlo.
Porzingis l'11 novembre contro i Pacers ha realizzato un career-high di 40 punti, e in questo momento sta tenendo i Knicks in zona playoff con record positivo di 14-13.

Nella sua prima stagione ai Knicks, non ha realizzato 30 punti in nessuna partita.
Lo scorso anno soltanto 3.
In questa stagione ha già segnato almeno 30 punti in 7 partite e, cosa più importante, l'ha fatto sembrare una normalità.

La stagione probabilmente finirà con un mancato piazzamento ai playoff, ma tutto questo dipende dalle possibilità del 22enne di 2,21 metri di mantenere questa forma per tutto il resto della stagione. I Knicks dovrebbero smettere di costruire attorno al potenziale, dovrebbero iniziare seriamente a costruire attorno a uno dei migliori giocatori della lega odierna.

In linea di massima, ci sono due tipi di giocatori franchigia. Uno ha la "grazia" e il talento di un All-Star perenne che ha solo bisogno di migliorare sotto pochi aspetti per crescere in quel ruolo. E' il caso di ragazzi come John Wall, Anthony Davis e Kevin Durant. Poi ci sono altri All-Star sui quali ci sono domande sul fatto che possano essere o meno la prima opzione offensiva della squadra. Ragazzi come Paul George, Kawhi Leonard e Kristaps Porzingis rispondono a questo identikit.

All'inizio di questa stagione, Porzingis aveva giocato circa 1500 minuti senza Carmelo Anthony e le sue statistiche in quei minuti erano quasi identiche a quando Anthony era in campo. Aveva quasi lo stesso USG%, la stessa TS% e, addirittura, prendeva gli stessi tiri. Il che è incoraggiante in un certo senso ma implica anche che Porzingis non stava accettando un ruolo "più grande", anche con la squadra a sua completa disposizione.

In questa prima parte di stagione, Porzingis sembra sempre più una prima opzione offensiva. Un altro aspetto importante è il fatto che la percentuale di palle perse sia bassissima rispetto al suo coinvolgimento nel gioco.

Per un confronto più diretto, i suoi tiri tentati sono 32.6 per 100 possessi (leader in Nba e poco inferiore a quelli tentati da Westbrook la scorsa stagione). Porzingis non riesce ancora a coinvolgere al meglio i suoi compagni in attacco come altri campioni fanno, ma è un qualcosa su cui sta lavorando. Kristaps è anche in grado di sfruttare la minaccia portata dal suo tiro in sospensione per entrare in area e segnare punti facili nel pitturato.
Questo USG% estremamente inflazionato non è un caso - è un riflesso del coinvolgimento di Porzingis nella manovra offensiva dei Knicks. In questa stagione l'abbiamo visto bullizzare il difensore quando si trovava in marcatura con un avversario più piccolo di lui oppure l'abbiamo visto tirare da 9 metri sfruttando il timore degli avversari nei confronti del suo tiro per tagliare a canestro indisturbato. E' migliorato tantissimo anche off-the ball dove è una minaccia costante per le difese avversarie.

Courtney Lee dopo una vittoria ha dichiarato: "Sta diventando sempre più forte e comincia a capire come sfruttare al meglio i suoi punti di forza. E' solo compito nostro dargli la palla al momento giusto".

C'è una lunga strada da percorrere per passare da una semplice striscia vincente ai playoff. La riuscita di questo obiettivo dipenderà esclusivamente dalla capacità di Porzingis di essere costante su quei livelli.

Un altro fattore importante del suo gioco è l'apporto difensivo: leggermente sopra la media (secondo le statistiche avanzate) Dopo essere stato uno dei migliori stoppatori della lega una stagione fa, quest'anno il suo contributo nella fase difensiva è leggermente calato; un calo fisiologico causa aumento dei possessi in attacco.

La sovreccitazione e l'illusione "sono a mille" nel Madison Square Garden. I tempi di Mike Sweetney, David Lee, Nate Robinson e LAndry Fields sono finiti. Così come la Linsanity.
Credere nell'ascesa di Porzingis necessariamente ha richiesto dei decenni di falsa speranza che i Knicks hanno dato ai loro fan. I Knicks ora non possono distruggere la realtà. Porzingis è veramente là fuori e sta letteralmente dominando.

Che sia arrivata l'ora che i Knicks abbiano un candidato MVP più forte di Baker?
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giovedì 14 dicembre 2017

Indiana Pacers: Sono la sorpresa di questa prima parte di stagione?

Dopo l'addio di Paul George, stella baluginante della franchigia nell'ultimo lustro di alti e bassi, in Indiana, a inizio stagione, una nebulosa di meteore (Oladipo? Turner? Sabonis?) offuscava e non poco il futuro della franchigia. Oggi, a circa un terzo di stagione regolare, la nebulosa si è sciolta in prospettive quanto più albeggianti: Victor Oladipo, disastroso ad OKC nel ruolo di spot up shooter accanto a RW, si è trasfigurato in un all star: 24.5 punti a serata (stanotte career high di 47 nella vittoria casalinga contro Denver), 5 rimbalzi, 4 assist, 2 recuperi e pure 1 stoppata di media. L'ormai ex Olaschifo aka Olabriko sta trascinando i ragazzi di McMillan a un record di tutto rispetto (16-11), con uno degli attacchi migliori della lega (109.7 di off rating, sesti in NBA, e 100.65 per pace, decimi in NBA). Ciò che rimane un po' avvolto nella nebbia è il futuro, immediato e in prospettiva, per i Pacers. Turner è un po' il punto di riferimento dopo l'addio di George, ma le belle prestazioni di Sabonis (anch'egli resuscitato dopo l'anno impolverato di OKC) sono portatici di riflessioni amletiche sul ruolo di centro titolare. E, soprattutto, le cose in difesa sono ancora balbettanti: l'eFG% degli avversari dei Pacers rasenta il 54%, ponendoli nelle ultime posizioni in questa speciale classifica. La difesa del pitturato non funziona bene, e ciò espone di conseguenza Indiana anche a subire 11 triple a serata. Per affrontare le sfaccettature di questi nuovi Pacers ci basiamo su un articolo americano, del coach Adam Spinella, più o meno liberamente tradotto. Andiamo insomma a vedere pregi e difetti di Indiana, a partire dall'attacco: McMillan basa la sua impostazione offensiva del gioco sui rollanti. L'uomo che blocca e poi si muove a ricevere conclude il 12,5% delle sue azioni con il bloccante, dato che pone i Pacers in testa alla classifica con un netto vantaggio sulla seconda compagine della lega, ferma all'8,5%: questo attacco così incline a favorire il bloccante, è volto a liberare generalmente Turner per un tiro dalla media o Sabonis per concludere al ferro con la mano sinistra. Spinella "suggerisce" a questo punto a McMillan di tentare di sfruttare questa situazione maggiormente per ciò che concerne lo sviluppo di tiri da 3 "wide open": Indiana ha la più altra percentuale della lega per tiri da 3 aperti, con il 45%, ma paradossalmente è una delle squadre che sfrutta meno questa situazione, con pochi tentativi a partita. Se i Pacers riuscissero a sviluppare la stessa mole d'efficacia offensiva dietro l'arco dei Rockets, squadra maestra in questo, produrrebbero 8 punti in più di media per 100 possessi, uno sproposito. E questo tenendo come metro di paragone l'efficacia dall'arco dei Rockets, minore rispetto al 40% dei Pacers (anche qui leader nella lega). Insomma, McMillan può e deve ancora migliorare la spazialità del suo attacco da 3 punti, e anche il segmento temporale in cui attaccare (sfruttando maggiormente i primi 6 secondi dell'azione, momento in cui la difesa è più in difficoltà nel schierarsi). I Pacers hanno le potenzialità per esser ancor più devastanti dall'arco, visto che comunque anche dalla panchina nessuno tira da 3 al di sotto del 35%. Per ciò che concerne invece il lato difensivo, l'intero sistema ruota attorno a Myles Turner. Il defensive rating di Indiana passa da 103.6 con lui in campo a 108.6 con lui in panchina: ovvero da una difesa comunque accettabile a una difesa abbastanza orrenda. Turner è un ottimo rim protector, per verticalità e per abilità come stoppatore (la percentuale degli avversari cala di 7.3% quando lui protegge il ferro). È certamente il difensore più efficace in quelle situazioni, molto meglio di Sabonis e Jefferson. Riesce anche a coprire le difficoltà undersize di Collison e la lentezza nei movimenti di Bogdanovic (per dare un'idea, quando i 3 sono insieme in quintetto il Def rating rimane comunque attorno ai 103 punti per 100 possessi, ovvero positivo rispetto alla media globale della squadra). Eppure, nonostante il valore di Turner, Indiana è la peggior difesa della lega per percentuale nel pitturato concessa agli avversari (66%). L'ipotesi di Spinella concerne la mancata comunicazione di Turner: Myles non ha ancora una capacità di leggere certe situazioni (difesa in mezza transizione, contestazione dei tiri da 3) che gli impedisce di dare le giuste indicazioni anche ai compagni, per ciò che riguarda i cambi nelle varie situazioni di pick'n'roll e gli accoppiamenti in transizione. Sono piccole cose che, se applicate con la giusta attenzione, potrebbero portare anche a un salto di qualità difensivo per i Pacers. La dirigenza di Indiana, infine, può e deve sfruttare la grande flessibilità economica sia a breve termine, sia in ottica free agency 2018, per decidere se puntare a un netto rebuilding o sfruttare le comunque ottime potenzialità di questo team, giovane e competitivo. Non è facile comunque muoversi per la dirigenza: Spinella suggerisce un all in per Mark Gasol, che però vorrebbe dire limitare lo sviluppo di Sabonis e Turner. Più probabile, visto anche la possibilità di rifiutare la player option per Joseph e Young (che libererebbe parecchi milioni), tentare qualcosa via trade, per affiancare un all star di rango alle due giovani stelle, Oladipo e Turner. L'importante è che i Pacers tengano ben presente la loro flessibilità, che gli permette di potersi muovere con molta fantasia sul mercato, più di altre squadre. Con un po' di lungimiranza, e certamente di fortuna, il futuro ad Indianapolis può essere roseo. 
Alzi la mano chi l'avrebbe pensato dopo l'addio di George quest'estate.
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mercoledì 13 dicembre 2017

Europa League: Che ottavi spettacolari

L'Europa League si conferma imprevedibile e regala scontri interessanti e inediti. Ancora è troppo presto per fare i pronostici, perchè come evidenziato anche dalle edizioni precedenti a distanza di due mesi i valori in campo possono cambiare, soprattutto in una competizione con tanto calcio dell'est in mostra.
Per quanto riguarda le nostre rappresentanti, è un sorteggio da prendere con le pinze.
Sicuramente l'Atalanta non è fortunata con i sorteggi: dopo Everton e Lione, un'altra potenza europea come il BVB sarà ospite al Mapei Stadium. Per altro è davvero difficile ipotizzare come i tedeschi arriveranno a quell'appuntamento, in virtù del cambio di allenatore appena ultimato: non ci resta che registrare il grande talento a disposizione dei gialloneri, tra Aubameyang, Pulisic, Kagawa, Yarmolenko, Dahoud, Guerreiro, Gotze, Weigl. Se questi ritrovano la quadra...aiuto, anche per i ragazzotti di Mister Gasp.
Il Napoli dovrà giocare al meglio delle proprie possibilità: la versione europea degli uomini di Sarri,vista in questa stagione, non solo non sarebbe sufficiente, ma potrebbe portare a una grossa disfatta. Il RB Lipsia è una formazione molto verticale e che gioca per vincere tutte le partite, anche grazie a un reparto offensivo dinamico e di grande talento: Werner, centravanti della nazionale tedesca, viene supportato da Bruma, Augustin, Kampl e da quel fenomeno vero di nome Naby Keita, prossimo crack del calcio mondiale, tuttocampista guineano con passo e tocco un frame più rapidi di tutti. Probabilmente questa visione tattica lascia un po' di coperta corta nella propria metà campo, ma in Europa avanza chi gioca e soprattutto chi segna.
Il Milan trova il prototipo classico di formazione da Europa League: il Ludogorets è quella formazione che può distruggerti appena abbassi un attimo la concentrazione. I bulgari godono di un gruppo consolidato e impreziosito dal talento dei diversi stranieri a disposizione, desiderosi di mettersi in mostra per fare il salto di qualità definitivo verso campionati di maggior prestigio (come Jonathan Cafu, Bordeaux, e Palomino, Atalanta, hanno fatto recentemente). Occhio soprattutto a Wanderson e Marcelinho, funambolici trequartisti, in una squadra abituata e che non ha nulla da perdere.
Infine sorteggio discretamente morbido per la Lazio: l'FCSB ha scialacquato un importante vantaggio accumulato nelle prime giornate di competizione, chiudendo al secondo posto in un girone discretamente mediocre. L'ex Steaua, che in quest'estate ha rafforzato il gruppo di calciatori locali con gli elementi più importanti dello scorso campionato romeno (l'ex interista Alibec, Texeira, Maranhao), è una formazione ampiamente alla portata per gli uomini di Inzaghi, che non dovrebbero avere troppi problemi a chiudere la pratica già nella sfida d'andata. Facendo un piccolo pronostico dico: tutte e quattro le italiane ai quarti di finale.
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martedì 12 dicembre 2017

Sorteggi Champions: Roma-Shaktar e Juventus-Tottenham

La probabilità si è rivelata pressochè inesorabile con le dovute eccezioni (soprattutto nei confronti dell’AS Roma, in base ai calcoli preventivi destinata a Real Madrid o Siviglia). In ogni caso, sorteggio accettabile per entrambe le nostre rappresentanti. La Juventus trova probabilmente la meno quotata delle quattro inglesi tra le teste di serie, sebbene il Tottenham arrivi da un ottimo girone di Champions, chiuso davanti a Real Madrid e BVB, e abbia sonoramente sconfitto proprio la squadra di Allegri ad Agosto. Ciononostante non costituisce di per sè un sorteggio particolarmente favorevole: le formazioni inglesi sono particolarmente prediposte, per contesto tattico e tecnico, a fare strada in Europa. Sarà difficile pensare di poter contenere il reparto offensivo di Pochettino, formato da vere e proprie icone continentali nel proprio massimo momento di considerazione, tra Harry Kane, Dele Alli, Christian Eriksen e Son Heung-Min: si dovrà necessariamente rispondere colpo su colpo, in un doppio-match decisamente spettacolare e, attualmente, giá sottovalutato e sottostimato dai media italiani. Ottimo sorteggio invece per l’AS Roma: sebbene lo Shakhtar sia veramente un’ottima formazione, completa in ogni reparto, arriverà all’appuntamento di Champions con DUE mesi di inattività, almeno in gare ufficiali. La prossima partita ufficiale degli ucraini in campionato sarà infatti il 17/02 contro il Ch.Odessa, e questo sarà inevitabilmente pagato dagli uomini di Fonseca, soprattutto in termini di brillantezza: basti pensare al loro cammino nella scorsa edizione di Europa League, dominatori durante la fase a gironi, molto scarichi da Febbraio in poi (eliminazione agli ottavi contro il Celta Vigo). Per il resto, Manchester City, Liverpool e Bayern già ai quarti di finale, si salvi chi può tra Real Madrid, PSG, Chelsea e Barcellona.
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lunedì 11 dicembre 2017

Analisi Mondiale seconda parte

Nello scorso appuntamento abbiamo analizzato i primi due gironi, oggi andremo a studiare con attenzione il gruppo C e D.

Gruppo C: Dici Francia e la risposta è: sorteggio abbordabile. Ci sono diverse costanti in una competizione continentale o mondiale e la manina fortunata nei confronti dei francesi è una di queste.
La seconda fascia ha regalato il Perù: a mio avviso, un accoppiamento discretamente felice rispetto ad altri, nonostante la formazione di Gareca possa rivelarsi estremamente complicata da affrontare. Grande fisicità in mezzo al campo e un triangolo di giocatori strettissimo nel cuore della propria metà di verde: dal centro non si passa. Gareca, che nello spareggio intercontinentale è stato costretto ad aprire gli spazi, potrebbe riproporre il modulo che gli ha consentito di strappare un pareggio a reti bianche nella bolgia della Bombonera, con il doppio medianaccio (Tapia-Yotun) e Cueva a svariare cinque metri più avanti. Con Guerrero squalificato per doping, il ruolo di centravanti dovrebbe essere occupato da Jefferson Farfan, che vive una seconda giovinezza da quando ha spostato il proprio raggio d'azione in posizione più centrale. Pedro Gallese, portiere del Veracruz, è pronto al grande salto in Europa.
Dalla terza fascia viene estratta la Danimarca: formazione che porta la consueta fisicità a supporto dell'esplosività dei suoi "piccoletti": Pione Sisto, furetto del Celta Vigo, e soprattutto Christian Eriksen, vero leader tecnico e carismatico della formazione. Kvist e Delaney formano una sicura coppia di centrocampo in un 4--2-3-1 che, grazie alla versatilità di Christensen (Chelsea) e Poulsen ( RB Lipsia), può facilmente mutare in un 4-3-2-1 in fase di possesso. Infine, l'unica formazione ancora senza allenatore: l'Australia. I Socceros sono arrivati a questo Mondiale con discreta buona sorte a supporto, approdando agli spareggi e superando prima la Siria solamente ai tempi supplementari e poi un inguardabile Honduras nel secondo tempo della sfida di ritorno. Ange Postecoglu, dimissionario, non è riuscito a comprendere al meglio i punti di forza di una rosa che non può permettersi di giocare troppo a pallone, ma che deve puntare sulla fisicità e sulla gamba dei propri esterni (su tutti Matthew Leckie, tornante dell'HBSC ) per evitare grandi problemi, in un undici titolare che, peraltro, manca di un vero centravanti, costringendo il vecchio Cahill a fare gli straordinari. Si parla di Gianni De Biasi come possibile CT: curiosissimi in tal caso. Francia avanti, agli altri i resti.

Gruppo D: Girone tanto interessante quanto pericoloso, almeno dal punto di vista dell'Albiceleste. Sarebbe da pazzi negare la netta superiorità tecnica dell'Argentina rispetto a qualsiasi formazione sarebbe capitata nello stesso girone: non si vuole affermare questo, tuttavia, se le prospettive di gioco della formazione di Sampaoli sono quelle proposte nel corso del girone di qualificazione, si andrà a casa. Abbiamo imparato a conoscere l'Islanda: il gruppo più coeso dello scorso europeo non permette cali di tensione. Se c'è una formazione pronta a colpire un'indecisione in marcatura o una marcatura preventiva mancata, quella è proprio la squadra di Hallgrimsson. Non è cambiato nulla rispetto alla splendida gestione di JAns Lagerback: 4-4-1-1 di grande sacrificio, muscolarità, atletismo e concretezza, in cui anche una rimessa laterale si può prospettare come potenziale occasione da gol. In una rosa mediamente equilibrata, spicca chiaramente il dinamismo e l'estro dai venticinque metri di Gylfi Sigurdsson, centrale di centrocampo recentemente trasferitosi all'Everton, nel corso di una stagione non esaltante e che per questo vorrà ancor di più ribaltare con la sua nazionale. La coppia d'attacco, solitamente composta da Finnbogason e Bodvarsson lavora per valorizzare l'inserimento degli esterni, spesso in rete, come in occasione della vittoria decisiva in Turchia nel corso delle qualificazioni. La seconda europea del girone, per altro già incontrata (e sopravanzata) dall'Islanda nel proprio girone di qualificazione, è l'imprevedibile Croazia, reduce da un Playoff Mondiale agevolmente superato contro la Grecia. Il nuovo allenatore Dalic, confermato dopo i buoni risultati ottenuti, ha impostato un più adatto 4-2-3-1 e potenzialmente da primi quattro posti nella competizione: esiste un centrocampo più forte di quello composto da Rakitic, Modric e Brozovic/Kovacic, almeno in fase di possesso? Non parliamo del tridente offensivo: Kalinic diventa letale con la maglia della sua nazionale e gli esterni garantiscono e progressione (come Mandzukic) e progressione (Perisic). Qualcosa si può concedere dietro: Subasic non è un fenomeno, tanto meno se supportato da una linea difensiva non troppo concentrata, soprattutto nei due centrali (Lovren e Vida hanno dalla loro grande presenza, ma scarsa intelligenza tattica). Infine, la quarta fascia regala una delle peggiori possibili pescate: in pochi sono a conoscenza della forza della Nigeria. Il CT tedesco Rohr, ormai un habituè del calcio africano, è stato abile nel valorizzare sia la grande forza fisica che l'esplosività tecnica degli uomini a sua disposizione, variando la propria squadra dal 3-4-2-1 al 3-5-2 in base all'avversario che trovava di fronte. La difesa a tre non è casuale: manca un vero e proprio leader tecnico e carismatico, ma si dispone comunque di un buon trio di centrale, con il giovane Awzlem del Nantes particolarmente interessante. Grande forza fisica in mezzo al campo: il carisma di Obi Mikel, la diga di Ndidi e il filtro di Ogu, che ben si è comportato nelle ultime stagioni con l'Hapoel Beer Sheva. Reparto offensivo di grande tecnica e prospettiva: Iwobi e Iheanacho pronti a prendersi il palcoscenico, con Nwakaeme pronto al subentro.
Argentina e Nigeria si sono incontrate quasi un mese fa (14 novembre 2017) : vi invito ad andare a vedere il risultato finale.
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venerdì 8 dicembre 2017

I Nets sono diventati finalmente una squadra?

Ad inizio stagione pensavo che i Nets fossero ad un lungo vero (non la salma di Mozgov) dall'essere una squadra da 45-50 vittorie. Eretico, lo so, ma ci credevo (vedere Indiana per credere).
Se da un lato gli infortuni di Russell e Lin hanno reso impossibile ogni giudizio (sebbene al contempo hanno permesso di far esplodere Whitehead) dall'altro un lungo è effettivamente arrivato.
Non il lungo dei vostri sogni in linea di massima, ma almeno un lungo degno di essere chiamato tale.

Potenzialmente almeno, sarebbe così. Perchè se per cederti i Sixers sono costretti ad impacchettarti in versione saldi natalizi (con Stauskas e una seconda scelta per Trevor Booker) qualcosa non va. Per niente.

Il talento - offensivo- non è mai stato in discussione, ed è una delle ragioni per cui in tempi non sospetti Philadelphia decise di giocarsi una #3 per lui. Ma le flag intorno alla sua personalità e alla pessima attitudine difensiva del giocatore (cercate in rete Okafor defense per farvi un'idea) lo hanno gradualmente trasformato da prezzo pregiato del processo a bidone in rottamazione, anche e soprattutto a causa della ritrovata stabilità fisica di Embiid.

I Nets, per quanto adorabilmente giovani e divertenti, sono destinati ad una stagione mediocre. Qualche palcoscenico migliore quindi per il nostro Jahlil, considerati anche i compagni/avversari che teoricamente dovrebbero rubargli minuti ( Mozgov e l'acerbissimo Allen)

Clamoroso pensare che si tratti della Second, and last (?), chance per uno che compirà 22 anni la settimana prossima.
Occhio, che se i rischi di totale implosione sono tanti, le possibilità che il ragazzo decida di svegliarsi dal torpore non sono pochissime. E a quel punto a Brooklyn dovrebbero decisamente cominciare a pensare ad una statua per Sean Marks: Quello che ha trasformato la barzelletta della lega nel processo 2.0.
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Palermo: Dalla sfiorata Coppa Italia al possibile fallimento

Il mio pensiero vola, ritorna a quella sera in cui il Palermo arrivò ad un passo da un sogno. Sono vivi ancora quei frames con le lacrime di Delio Rossi, di capitan Miccoli, le bandiere ammainate ma la testa alta, per chi aveva sfiorato un traguardo storico, tenendo testa ai blasonati avversari.
Poi tutto cambiò. Una parabola discendente senza fine che ci fece sprofondare in un vortice senza fine. E quando si pensava di aver raggiunto il punto più basso, magari sbattendo, facendosi male, ma risalendo pian piano la china, ecco che il fondo si riapre e si intravede l'inferno.

Da sempre si dice: "Una città come Palermo, merita di più..."

Capitale della cultura, piena zeppa d'arte, con un clima mite, ma a cui l'attualità da pochi spiragli di luce: uno di questi è il calcio, che non merita "il top" per grazia ricevuta. Forse qualche tempo fa poteva essere così, ma in questo grande business non conta più essere una grande città, ma avere tanti, tantissimi soldi.

Chi ha preso per mano il Palermo nel 2002, forse inconsapevolmente, aveva ridato dignità e speranza a questo luogo.

"Zamparini sindaco", "Zamparini superman", il terzo eroe dopo Falcone e Borsellino, colui che faceva sentire il tifoso palermitano orgoglioso per i risultati sul campo ma non solo: questo era Zamparini, l'imprenditore "pulito", mai inquisito; colui che ogni anno vendeva si qualche "prezzo pregiato" ma che riusciva sempre a tenere i bilanci del club di viale del fante a posto, al contrario di altre società, anche big, con migliaia e migliaia di debiti.

Ma adesso l'inferno è lì, a due passi. Il Palermo potrebbe fallire per la terza volta nella sua storia, rischiando di perdere anche il titolo sportivo.

Cos'è accaduto? Tutto è davvero mutato o è sempre stato così e le fette di prosciutto ci hanno accecati?

Ieri 7 dicembre in tribunale la seduta è durata poco meno di 20 minuti ed è stata rinviata, ma prossimamente se la difesa di Zamparini dovesse rivelarsi un flop, Zamparini si rivelerebbe un grande bluff, il peggior presidente che il Palermo abbia mai avuto nella sua storia.

Un patron che ha fatto del Palermo solo ed esclusivamente un "interesse personale".
Se tutto ciò fosse vero, la Palermo sportiva, ma anche quella che non ama il calcio, dovrebbe sentirsi tradita, umiliata, indignata, defraudata, spogliata, mortificata perchè ai sei capi di accusa (appropriazione indebita, riciclaggio, autoriciclaggio, impiego di proventi di origine illecita, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e falso in bilancio aggravato dalla transnazionalità) se ne aggiungerebbe uno molto più grave: distruzione di massa di una passione, con l'aggravante del tradimento della fiducia di un intero popolo.
IMPERDONABILE.
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giovedì 7 dicembre 2017

Devin Booker, il giocatore da cui i Suns devono ripartire

La posizione dei piedi. Questa è la caratteristica che guardo principalmente in un tiratore. Curry è l'eccezione che conferma la regola: la mette anche se i piedi sono posizionati verso la linea laterale e non verso il canestro. Ma Steph è un caso a parte, Steph è da studiare, non da imitare.

Fate attenzione, invece, all'arresto a due-tempi di Devin Booker, in uscita dai blocchi. Esattamente come lo insegnerebbe il mago del tiro Dave Hopla. Se viene da destra (rispetto alla palla), mette il piede destro avanti a scavalcare il bloccante sempre nella posizione perfetta: verso il canestro. A volte, cerca di raggiungere , magari velocizzando o allungando i passi in preparazione. Per questa esecuzione lineare e pulita, già da rookie mi piaceva chiamarlo "il piccolo Klay", notevole.
Devo dire che Booker, in effetti, è molto più di un tiratore. Booker è anche un realizzatore. Non solo per i 46 punti con cui l'altra notte ha "bruciato" i Sixers (che comunque fanno paura considerando che: ha appena compiuto 21 anni; lo scorso anno ne mise 70 ai Celtics).
Ma per come li ha espressi.

Devin il tiro in catch-and-shoot ce l'ha (oltre il 38% di media dall'arco), il difensore lo sa e non può far altro che difendere forte sui suoi tagli verso il perimetro. Tra l'altro, tira quasi sempre con l'uomo addosso (solo il 21% delle sue conclusioni sono "open" o "wide open"). Da questa situazione, spesso, Booker costruisce il proprio attacco. Come contro Phila. E' uscito per ricevere, ma poi è andato in back-door con affondo a due mani. Oppure, ricezione, partenza stessa-mano stesso-piede sul difensore in controtempo e tiro dalla media. Ha tanti, tantissimi punti nelle mani ed è molto migliorato nel palleggio in traffico.

Cosa gli manca? Non sono convinto della sua visione di gioco e delle sue letture on-the-ball quando gioca "1". Tra l'altro, non lo farei mai giocare playmaker, per me è una big-guard sempre e comunque. Devin è un passatore mediocre, al momento. Non è un super atleta e ha poco stacco da terra. Sulla difesa ci sta lavorando e si vede, ma la strada è ancora lunga, soprattutto contro guardie veloci sul primo-passo.
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mercoledì 6 dicembre 2017

Auguri Giannis

Sepolia. Quartiere povero 2 km a nord di Atene. Due ragazzi di colore stanno cercando di vendere a dei turisti qualche gadget, giusto per racimolare qualche spicciolo. Sono fratelli, figli di immigrati nigeriani, ma nati a due passi da quelle strade. Quei pochi soldi, per loro e per tanti altri in quel quartiere, faranno la differenza a fine mese tra pagare o non pagare le bollette. La differenza, alla fine della giornata, tra il mangiare e il digiuno. I due ragazzi si chiamano Giannis e Thanasis Adetokunbo, e questo è l'inizio della loro storia. Gli Adetokunbo, nome poi "grecizzato" in Antetokounmpo, arrivano in Grecia nel 1991 in cerca di fortuna, ma si scontrano ben presto con la realtà di un paese già indirizzato verso la crisi economica: mamma Veronica prova a guadagnarsi il pane col baby-sitting mentre babbo Charles fa saltuariamente il tuttofare per una compagnia elettrica. Come tanti altri immigrati di pelle nera, faticano però a trovare una stabilità e sono costantemente vittime di abusi e discriminazioni. Giannis, secondo di quelli che saranno poi quattro fratelli, nasce esattamente 3 anni dopo e insieme al fratello Thanasis in età adolescenziale mostra subito segni di eccellenza in qualsivoglia disciplina sportiva. Sarà Spiros Velliniatis, uno scout del Filathlitikos, squadra di seconda divisione greca, a intravedere del potenziale in loro e a persuaderli verso il gioco del basket... Flash Forward. Primo anno a Milwaukee. Tra i muri del suo appartamento a San francis - Wisconsin, Giannis passa molto del suo tempo da solo a giocare alla PS4. Un giorno al fratello Thanasis rivela di sentirsi enormemente in colpa per aver speso 399$ in un oggetto così frivolo. Soprattutto pensando ai suoi due fratelli minori bloccati in Grecia dalle norme di immigrazione. Soprattutto pensando al suo passato, ai suoi genitori e ai giorni passati in strada. Giannis finirà per vendere la sua PS4 a Nick Van Exel, allora assistant coach dei Bucks, e attenderà l'arrivo della sua famiglia negli Stati Uniti per ricomprarla. E' solo uno dei tanti aneddoti di un ragazzo con un salario da 1.7 milioni di dollari che cercava comunque di vivere con i soldi del rimborso cibo (il famoso "per diem") di 190 dollari dato dalla squadra. Un ragazzo il cui appartamento era pieno di mobili costruiti col fai te o regalati dai compagni di squadra. Giannis era talmente mentalizzato sull'aiutare la sua famiglia, che prima di una delle prime partite dei Bucks, a causa di un problema con la carta di credito, si fece accompagnare da un tifoso. Aveva già spedito tutti i suoi soldi in Grecia. Si parte da qui. Da chi non aveva nulla e si è guadagnato tutto. Da chi era niente ed è diventato un'icona. Da chi è stato scelto alla 15 nel draft di "Ciccio" Bennett e ora rischia di fare la storia. Se abbiamo già visto point-guard giocare da 4, nessuno lo ha mai fatto con questo atletismo e con questa semplicità. Soprattutto in età così giovane. Antetokounmpo sta ri-definendo il concetto di Point-Center, venti anni dopo Magic Johnson. A pochi passi da Lebron James. A soli 23 anni.
 Auguri Giannis.
Cento di questi giorni.
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Roma-Qarabag pensieri

Alcuni pensieri sparsi post Roma - Qarabag
 ✓2008/09, l'unica stagione nella quale la Roma si è qualificata agli ottavi di Champions da prima del girone. Anche in quella stagione il Chelsea fece da sfondo alla fase ai gironi. Corsi e ricorsi storici.
 ✓Nove gol fatti sei subiti, 3 partite concluse con clean sheet. Il lavoro di Di Francesco è apprezzabile soprattutto dalla cintola in giù. La Roma difficilmente prende gol, confidando nella potenza di fuoco esca fuori. Si pensava Fazio potesse soffrire il gioco del tecnico abruzzese, costruito su una linea difensiva molto alta. Il difensore argentino si è rivelato, anzi, molto adatto nel migliorare l'uscita palla della squadra, elevando la qualità delle transizioni offensive. Mito sfatato.
 ✓Pochissimi avrebbero dato la Roma come seria candidata al passaggio del turno. Benché meno prima. Neofiti ed esperti del settore. Chelsea schiacciasassi di Conte e Atletico arcigno di Simeone troppo duri per i giallorossi, abituati a scoppole sonore nella massima competizione europee.
 ✓Ad inizio anno mi permisi di definire Di Francesco un'aziendalista, adatto alla necessità della Roma di non avere un allenatore esigente in ottica mercato, visto il ruolo pervasivo di Monchi. Confermo quanto detto, aggiungendo la capacità di Di Francesco di rasserenare e normalizzare un'ambiente di per sé schizofrenico. Profilo basso, poche parole, intelligenza e capacità nel rivitalizzare giocatori poco brillanti come, ad esempio, Gerson ed El Sharaawy. Si dice che il miglior cuoco è quello, che cucina un gran piatto con gli ingredienti che ha a disposizione. Verità.
✓Mi piace ripetere questo aneddoto quando l'occasione è propizia, interscambiando sport tra loro molto distanti. Calcio e Basket. Allen Iverson fu l'Allen Iverson immarcabile della stagione 2000/01, nonostante la sconfitta con i Lakers in finale, anche grazie al suo coach Larry Brown. Quest'ultimo riuscì ad entrare nella testa del cestista statunitense, convincendolo che il suo sistema di gioco fosse il migliore per raggiungere l'obiettivo finale: l'anello. Così Di Francesco ha fatto in questo scorcio di stagione con i suoi giocatori. Lo ha confermato di persona ai microfoni di Premium, lo ha garantito Perotti nei giorni scorsi con le sue dichiarazioni vs Spalletti. Nel calcio odierno dove i calciatori sono sempre più superstar, almeno al livello top, l'allenatore deve essere in primis un fine psicologo. Essere credibile agli occhi dei suoi uomini, entrare nella loro testa, per convincerli della bontà delle sue scelte. Semplice da spiegare, meno da applicare.
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martedì 5 dicembre 2017

Analisi Mondiale prima parte

Russia- Arabia Saudita sarà la partita inaugurale del prossimo Mondiale (14 Giugno, ore 18 UTC+3).
Un match più equilibrato di quello che si pensi, che mette subito pressione alla selezione di Chercesov e che potrebbe regalare la prima grande sorpresa del torneo.
Senza prolungarci troppo con le chiacchiere, passiamo ai fatti:

Gruppo A: Come di consueto, la nazione ospitante viene premiata con un sorteggio alla portata delle proprie possibilità. La Russia testa di serie obbligata, nonostante il Ranking FIFA dica ben altro (65esimo posto), potrà sicuramente affrontare a testa alta il proprio girone, o meglio, dovrà farlo anche in virtù delle avversarie sorteggiate, il che potrebbe non essere necessariamente un vantaggio. La seconda fascia ha regalato l'Uruguay, probabilmente la formazione tatticamente più europea delle COMNEBOL: 4-4-2 attendista e compatto quello del maestro Tabarez, forte del fatto anche di avere a disposizione un'esplosiva e letale coppia d'attacco (Cavani- Suarez), oltre a una linea difensiva esperta e prestante (Caceres-Gimenez-Godin-Maxi Pereira). L'Egitto, formazione di terza fascia, è di per sè  una formazione molto simile a quella uruguayana per atteggiamento tattico, con la differenza che a giovarne non è il calciatore direttamente offensivo, ma gli esterni a supporto, soprattutto Mohamed Salah, nella sua stagione migliore. Da segnalare il filtro di Elneny, centromediano dell'Arsenal e la grande esperienza tra i pali di El Hadary che, dall'alto delle sue 44 primavere, è destinato a diventare il giocatore più vecchio a disputare un campionato mondiale di calcio. Infine paradossalmente, la formazione che, qualificazioni alla mano, ha dimostrato di voler giocare di più a pallone è proprio l'Arabia Saudita che, con Bert Van Marwijk in panchina, aveva impostato un 4-1-4-1 di stampo catalano, con passaggi corti e triangolazioni veloci, anche a causa della statura non così imponente dei propri giocatori. Al-Shalawy, capocannoniere delle qualificazioni mondiali AFC, giocava da terminale offensivo, supportato da Al Abed e Al Faraj, compagni nell'Al Hilal vice-campione d'Asia, con il folletto Al Muwallad, pronto a spaccare la partita da subentrato. Il problema è che da quel Arabia Saudita-Giappone 1-0, ultimo match di qualificazione, sono cambiati tre allenatori: Van Marwijk si è dimesso per divergenze, Bauza non ci ha capito niente, Pizzi, ex CT del Cile campione sudamericano nel 2016, pronto all'avventura.
Girone equilibrato, per certo mi sento di dare la qualificazione solo all'Uruguay.

Girone B: decisamente il gruppo della morte. Basti pensare che, da calendario, il primo match sarà tra il Portogallo campione d'Europa e la Spagna nel momento di massimo splendore, almeno per quanto riguarda l'ultimo quinquennio. L'ultima volta che s'incontrarono al Mondiale fu nel 2010, agli ottavi di finale: era il Portogallo di Queiroz, decisamente mediocre dal punto di vista tecnico e che, per questo motivo, parcheggiò (inutilmente) il pullman davanti la porta. La situazione ora è differente, anche se fino a un certo punto: Fernando Santos è un tecnico intelligente che ha fatto proprio dell'equilibrio e della versatilità il proprio punto di forza e potrebbe sacrificare un po' di qualità per chiudere tutti gli spazi agli imprevedibili spagnoli, per poi cambiare atteggiamento nei match seguenti. Purtroppo per iberici e lusitani, il primo match potrebbe essere ancor più decisivo in virtù degli ostici avversari che il gruppo prevede: la miglior formazione d'Asia (di gran lunga), l'unica a Non essere stata inserita in ultima fascia, quell'Iran che ha spaccato il proprio girone di qualificazione con largo anticipo e che vanta diversi talenti in rosa: Sardar Azmoun, dinamico centravanti del Rubin Kazan, uno dei migliori talenti iraniani degli ultimi anni, potrebbe aver addirittura perso il posto da titolare a favore del massiccio Ghoddos, sorprendente attaccante dell'Ostersunds, implacabile sotto porta negli appuntamenti importanti. L'allenatore di questa formazione Carlos Queiroz quattro anni fa impostò un Iran ultra-difensivo che quasi bloccò l'Argentina di Messi, quest'anno potrebbe trovare l'equilibrio ideale una ventina di metri più avanti, anche per valorizzare il talento offensivo. Infine, il Marocco di quel belloccio di Renard, conquistatore d'Africa: unica formazione al MONDO a non aver subito alcun gol nel girone finale di qualificazione. Capitan Medhi Benatia, fortemente responsabilizzato, risente positivamente della pressione e guida brillantemente la linea a quattro, nella quale spicca il terzino classe 1998 Hakimi, in forza al Real Madrid Castilla, lanciato con grande personalità dal tecnico francese. Bocche da fuoco importanti anche in avanti: l'esperto Boussoufa, Younes Belhanda (Galatasaray), Amrabat (Leganes) e soprattutto Ziyech dell'Ajax garantiscono grande proprietà di palleggio. Probabilmente manca un grande centravanti, attualmente il modesto Boutaib del Malatyaspor.
Tutte le selezioni troveranno almeno un punto.

Nei prossimi giorni analizzeremo altri due gironi...
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lunedì 4 dicembre 2017

#talkingabout L'Inter è forte o ha solo fortuna?

L'Inter in questo momento è al primo posto della classifica di serie A, con un punto di vantaggio sul Napoli, ma di chi è il merito e soprattutto se lo meritano?
Ho stilato 5 punti chiave che permettono secondo me all'Inter di essere così in alto in classifica.

  1. Partiamo da primo punto che è anche quello più importante: Luciano Spalletti, caratterialmente parlando è una persona che a un certo punto ti infastidisce, ma è innegabile che Spalletti sia un ottimo allenatore, è riuscito per anni con una squadra che non ha mai vinto niente nella propria storia (la Roma) a vincere due coppe Italia e una Supercoppa contro la forte Inter di Mancini, per questo è già da considerare un buon allenatore. E' un allenatore capace di valorizzare bene i giocatori che ha a disposizione, l'anno scorso con la Roma è riuscito con una squadra molto ristretta a giocare bene per 3/4 di stagione valorizzando giocatori su cui nessuno credeva più, uno su tutti Emerson Palmieri. Quindi secondo me uno dei primi motivi è Spalletti che è riuscito a dare la carica e a unire bene un gruppo che solo l'anno scorso sembrava sull'orlo del baratro.
  2. Il secondo punto riguarda il calciomercato, ma soprattutto gli acquisti giusti e mirati che sono stati fatti per completare la rosa. L'Inter rispetto al Milan ha speso molto meno, e soprattutto molto meglio perchè io consideravo l'Inter una buona squadra dal punto di vista tecnico, ma con alcune lacune per ogni reparto, che sono state migliorate in questa sessione: sono arrivati Vecino e Borja valero che per quanto non siano tecnicamente dei fenomeni sono adattissimi al gioco di Spalletti, ed è arrivato Skriniar, probabilmente uno degli acquisti migliori in tutto il campionato che nonostante la cifra spesa, sta dimostrando di cavarsela alla grande. E bravo in tutti i fondamentali ed è diventato in pochissimo tempo un autentico muro.
  3. Il terzo punto è da accostare al secondo ovvero le poche aspettative e pressioni che la gente aveva su questa squadra, si è vero l'Inter è sempre l'Inter ma dopo il brutto campionato scorso nessuno si aspettava che questa squadra potesse rinascere in questa maniera. Si è parlato tanto durante l'estate di nomi come Di Maria, Pepe, Rudiger e perfino Messi, ma per fare un buon campionato non servivano questi campioni bastava un po' di coesione.
  4. Il quarto punto riguarda due giocatori in particolare: Handanovic e Icardi, è innegabile che se l'Inter è riuscita a fare così tanti punti in classifica fino a questo momento, il merito va in gran parte alle belle parate di Handanovic che hanno spesso salvato il risultato e soprattutto ai tantissimi gol di Mauro Icardi che hanno deciso più della metà delle partite di questo inizio di stagione. L'argentino è un giocatore in grado di fare gol alla prima occasione, un autentico cecchino.
  5. Infine l'ultimo punto riguarda la forma dei giocatori in campo, ed è dovuta chiaramente alla mancanza di coppe europee. In questa maniera senza Europa League l'Inter ha meno gare da giocare, meno trasferte difficili da fare e di conseguenza possono concentrarsi solo esclusivamente sul campionato.
Secondo me questi cinque punti stanno permettendo all'Inter e ai suoi tifosi di continuare a sperare per un risultato che ha inizio anno sarebbe stato abbastanza improbabile da raggiungere.
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domenica 3 dicembre 2017

Nicolò Melli: il grande viaggio del cestista reggiano ep 4

Capitolo 4  2015-2017

Nel frattempo Nicolò Melli è diventato gradualmente un elemento essenziale nella nazionale, prima di coach Pianigiani agli europei di Slovenia 2013 e Germania 2015 e poi di coach Ettore Messina per il pre-olimpico di Torino 2016. Ma lasciamo perdere il capitolo nazionale e torniamo a Melli dopo l'infortunio.

Operatosi al dannato ginocchio il 22 Luglio 2014 Nik rinnoverà per un solo anno con l'Olimpia, replicando numeri e performance della stagione precedente e liberandosi infine nell'estate del 2015, diventando un target automatico per i maggiori club d'Europa. A convincerlo è il progetto ambizioso e pieno di nuove responsabilità del Brose Baskets Bamberg di coach Andrea Trinchieri e di Daniele Baiesi come direttore sportivo.
La sfida definitiva è quella di abbandonare l'Italia e l'etichetta dell'eterna promessa per diventare non "un" giocatore tra i tanti del ruolo, ma "il" giocatore di riferimento là fuori, in un paese nuovo e dove nessuno "ti protegge", di una squadra che, nonostante parta dietro ai team più blasonati, vuole imporsi anche a livello di Eurolega. Il "Trinka" non solo gli assegna il ruolo di "4" titolare, ma lo carica di fiducia sin dalla stagione 2015-2016, facendogli toccare nuovi massimi in carriera in tutte le categorie statistiche, possessi e minuti in primis (in Eurolega passa dai 20' di media del biennio Banchi ai 30' delle prime due stagioni tedesche).
Nicolò Melli in Germania compie il salto tecnico più importante, diventando finalmente consistente nel tiro da fuori. Un'arma che lo completa e lo rende ancor di più una delle ali più difficili da marcare d'Europa.
Una rinnovata fiducia e cattiveria agonistica evidenti nei momenti cruciali delle partite e una concentrazione, una presenza di spirito che sono alla base dei canestri pesanti e delle giocate decisive. Se il Bamberg gioca una tra le pallacanestro più ammirate e vincenti d'Europa (sono campioni in carica di Germania, hanno vinto la coppa di Lega) è grazie all'aristotelico passaggio del gioco di Nik da potenza ad atto, una metamorfosi che l'ha spinto verso il livello successivo. Della sua credibilità perimetrale ne hanno beneficiato direttamente compagni e spaziature, dai ribaltamenti di lato e la ricerca del compagno libero al punire i mismatch e scegliere se rollare, aprirsi per un tiro da fuori o penetrare. La nuova consapevolezza di una potenza fisica maturata con il lavoro quotidiano in palestra lo hanno reso un totem cui aggrapparsi sia offensivamente che difensivamente, dove con tempismo ed energia è una macchina da rimbalzi e un intimidatore di prima categoria, essenziale per le rotazioni e per i frequenti cambi sui piccoli.
I prodromi del giocatore attuale si erano intravisti anche sotto la gestione Banchi dell'avventura Milanese, ma è a Bamberg che Nik è esploso definitivamente, trovando in questo nuovo sistema quel "quid" che l'ha aiutato a concludere una prima parte di percorso della sua carriera dove il lavorare tanto ha portato dei frutti che molti, solo due stagioni fa e solo per semplice impazienza, non reputavano neppure possibili.
Il viaggio però non è finito: Nik ha solo 26 anni e deve ancora migliorare, ma quanto fatto fino ad oggi può far pensare solo ad un pesce che sta continuando ad alimentarsi di tutto ciò che lo circonda, con l'obiettivo di diventare tra i più grossi dell'oceano cestistico. Soprattutto da quando hanno ripreso a parlarne con stima e stupore anche dall'altra parte dell'Atlantico.
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