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sabato 23 dicembre 2017

La bella storia di Stephen Wardell Curry

Stephen Wardell Curry, nasce il 14 marzo 1988 ad Akron, alto 190 cm ed è poco più di 80 kg di poesia in movimento, faccia da bambino e assolutamente inarrestabile.
La sua storia è molto particolare ed esemplare, ispiratrice come poche altre ne esistono: è il racconto di un ragazzo con dei limiti fisici più che evidenti che ha cambiato la concezione comune, che si è conquistato a spallate un posto nell'èlite della pallacanestro mondiale. Questa è la storia di uno di noi che ce l'ha fatta.
Steph fin da piccolo ha avuto attorno a lui lo scetticismo di chi lo vedeva accanto agli altri giocatori. Il suo fisico snello, ossuto, non esplosivo è stato un problema ben prima di entrare nel basket professionistico: diverse università importanti si rifiutarono di offrire al nativo di Akron una borsa di studio ritenendolo troppo piccolo per fare la differenza in un basket fisico come quello universitario collegiale: Molti dicevano: "Forse Curry sarà buono per una carriera in europa, niente di più" Quante volte Stephen si è sentito ripetere queste parole, durante il suo periodo all'high school e al college. Un ottimo giocatore, certo, ma con troppi difetti fisici per riuscire a giocare nel basket d'oltreoceano.
Avendo il padre Dell, giocatore più che discreto, offerto i suoi servigi a Virginia Tech qualche anno addietro, il ragazzo provò a seguire le orme paterne. Ma anche in questo caso la risposta fu picche. Successivamente Curry ricevette offerte da Davidson College, Virginia Commonwealth e Winthorp, Curry scelse Davidson College, una scuola che non vinceva un torneo NCAA dal 1969.
Bob Mckillop, che di quella squadra era l'allenatore, non ci mise molto a capire cosa gli era capitato per le mani. Bastarono pochi allenamenti a Curry per conquistare nel modo più totale il suo nuovo coach, che un giorno, davanti ad un nutrito gruppo di studenti del college, realizzò una di quelle previsioni destinate a lasciare il segno: Wait till you see Steph Curry. He's something special" disse. Bel colpo Bob...
Il fenomeno di Golden State interpreterà successivamente il suo approdo a Davidson College come una precisa scelta divina.
Il 15 marzo 2007, Steph realizza 30 punti per battezzare la sua prima partita di torneo NCAA con i Wildcats, in una sconfitta contro Maryland. Il 16 Aprile, nel campus che avrebbe dovuto essere suo, a Blacksburg, Virginia, un tipo di nome Seung-Hui Cho apre il fuoco alla cieca, ammazza 32 persone, ne ferisce altre 17 e poi si toglie la vita.
Le prime due stagioni a livello universitario sono da incorniciare: impiega solo 83 partite per sorpassare quota 200 punti con una media di 24.4 a serata. In tutta America diventa familiare quel numero trenta che vede sulla maglia rossa dei Wildcats e che ritrova poi tatuato sul suo polso, insieme alle lettere TCC ("Trust. Commitment. Care", il mantra di coach Mckillop). Davidson diventa la squadra cenerentola, il college per cui fa il tifo tutta l'America e infine riesce ad entrare tra le prime 8 del torneo NCAA dopo un'assenza durata qualche era geologica.
Stephen decide, ascoltando i consigli del padre, di rimandare un approdo in NBA a quel punto decisamente probabile per disputare la sua stagione da junior, nella quale diventa il nuovo scoring leader di tutti i tempi di Davidson e, soprattutto, viene nominato miglior realizzatore della stagione NCAA, portando a casa una media di quasi 29 punti a partita mettendo dietro gente come KEvin Durant.
Nel 2009 Curry ha firmato il suo primo contratto da professionista con i Golden State Warriors per 12,7 milioni di dollari, selezionato come la settima scelta assoluta. L'impatto con il professionismo e tutt'altro che traumatico, e ancora una volta Steph riesce a far ricredere tutti coloro che gli rinfacciavano delle carenze fisiche non trascurabili: percentuli al tiro da cecchino, costanza nelle prestazioni, inizia a far girare la testa dei suoi fan, diventando un autentico eroe di culto del parquet per parecchi appassionati di basket. Viene anche nominato secondo rookie dell'anno nonostante non riesca a portare i Warriors ai playoff. Le difficoltà maggiori però devono ancora arrivare, e si presentano nella forma più subdola e dolorosa per un giocatore molto giovane, quella dei problemi fisici persistenti. Il suo problema principale diventano le caviglie troppo fragili per avere continuità a quel livello.
I detrattori di Curry tornano alla carica e la stagione 2011/2012 scivola via senza soddisfazioni, con uno Steph troppo condizionato dagli infortuni per riuscire a incidere: scende in campo solo 26 volte a i playoff saltano per il terzo anno consecutivo. Anche in questo caso, però, Steph si dimostra più forte dei suoi limiti, troppo tenace e testardo per cedere di fronte alle difficoltà: lavora sul suo fisico, sulla sua postura, rafforza fianchi e glutei e, così facendo supera i problemi alle caviglie.
Come tutti i grandi, una volta toccato il fondo. Il numero 30 comincia la sua risalita. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la stagione 2012/2013 è stata un continuo strabuzzare gli occhi e balzare in piedi dal divano per la sorpresa dopo ogni magata del ragazzino di Akron che è finalmente riuscito a condurre i suoi alla postseason e, una volta salito sul palcoscenico più importante, ha recitato il ruolo da protagonista in maniera impeccabile. La storia si fa nelle partite decisive, e proprio durante quelle sfide Curry è letteralmente esploso, scatenando attorno a sè un entusiasmo addosso, dai 54 punti al Madison, tempio sacro del gioco dove spesso sono stati consacrati i più grandi di tutti i tempi, fino ad alcune prestazioni semplicemente disarmanti nei playoff. Il 17 aprile 2013, nell'ultima partita stagionale contro Portland, Curry realizza il 272esimo da tre della sua stagione superando il record di triple in un'annata NBA che apparteneva a Ray Allen.
Osservando giocare il 30 si nota immediatamente come il suo gioco goda di una grande pulizia. Ogni gesto tecnico è eseguito sempre in modo armoico, senza sbavature. Se lasci più di 10 cm tra la tua mano e la sua faccia, nel momento in cui parte il tiro sai già che dovrai andare a battere la rimessa. Se per non concedergli la conclusione ti fai battere in entrata, non sperare troppo nell'aiuto del lungo: il ragazzo alza la parabola a suo piacimento e trova quasi sempre il fondo della retina.
In tutto ciò Curry riesce a non essere un giocatore egoista, ossia non tende a diventare il terminale offensivo di ogni singola azione dei suoi, come viene(o veniva) invece rinfacciato ad altri fenomeni assoluti come Anthony o Bryant. Per Steph i compagni vengono prima di tutto. nei suoi sette anni di NBA, Curry ha messo in mostra uno stile di gioco eccitante, dove una grande visione di campo, compagni e avversari si accoppia a fantastiche capacità tecniche di ball handling e a uno stile di tiro particolare ma estremamente efficace, che lo rende, senza mezzi termini, uno dei più grandi tiratori della storia di questo gioco. Curry può decidere di tirare in qualsiasi momento, con l'uomo addosso, dopo essersi smarcato con un passo di arretramento, così come, dopo aver vagabondato libero per il campo, con il pallone. Sempre incollato alle mani come fosse uno yo-yo: se lo può permettere, la palla va quasi sempre dentro. Curry cerca costantemente di coinvolgere i suoi compagni nella sua trance agonistica, quando si accende, i Warriors si accendono con lui, e chiunque sia sul parquet in quel momento sale di un giro. Quando i Warriors si accendono, si accende con loro San Francisco, in una catena coinvolgente e spettacolare. Il momento giusto, la scintilla nell'arco dei 48 minuti può nascondersi ovunque. Gli avversari di Steph lo sanno, e giocano con la consapevolezza che quando il momento giungerà, arginare la marea gialla sarà terribilmente complicato. Al termine della stagione 2014/2015, dopo aver guidato i suoi Warriors ad uno straordinario record di 67-15, Curry riceve il premio di MVP, migliore della regular season. Quindi porta i suoi Warriors in finale NBA, dopo aver battuto i Pelicans, i Grizzlies e gli Houston Rockets. Nelle finals riesce a battere i Cavs di Lebron James per 4-2 grazie anche ad una prestazione da 37 punti in gara 5 e il 17 giugno si laurea campione NBA riuscendo a vincere nella stessa stagione MVP e anello. Nel corso della pst-season, infrange il record di Reggie Miller per triple realizzate in un'edizione dei playoff NBA.
Stephen Curry riesce a vincere l'anello anche nel 2017.
Adesso è sul tetto del mondo e forse ripensa a tutte quelle volte in cui gli hanno detto che non c'è l'avrebbe fatta, che era troppo basso, troppo gracile, troppo lento. Le prime parole di Curry dopo aver vinto il primo titolo sono state: "Nello sport o in altri ambiti, bisogna essere consapevoli che si deve sempre lavorare per trionfare".
Curry è uno di quei ragazzi talentuosi che hanno visto realizzare il loro sogno. Lui è famoso, e in quanto tale, potrebbe concedersi ad ogni tipo di vizio esistente, e invece è sposato con Ayesha, conosciuta da adolescente nella chiesa che frequentava.
In un mondo come quello dello sport, dove prevale l'individualismo e dove la vanità la fa da padrona, un esempio come quello di Steph è come un raggio luminoso.
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