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sabato 5 maggio 2018

It's time Melo

E’ tempo di fermarsi un attimo. Prendere fiato e cercare di capire. Lasciare che le nubi della mente si diradino, che torni il sereno, così da potersi prendere tutto il tempo necessario.
Per la prima volta nella sua carriera, Carmelo Anthony non ha un posto sicuro nella pallacanestro. I tempi sono cambiati. Il basket è profondamente cambiato.
Melo, invece, è sempre rimasto lo stesso. Con meno atletismo, meno voglia di difendere e, soprattutto, meno voglia di mettersi in discussione. Non c’è più spazio per il suo gioco in isolamento, anacronistico e deleterio per quello che l’evoluzione del basket sta portando avanti. Non è più possibile prendere fiato nella metà campo difensiva, senza produrre attacco con grande continuità.
Se Carmelo si sia, o meno, reso conto di tutto questo è una cosa della quale ho pochissimi dubbi. E’ un ragazzo intelligente ed è stato, al passato purtroppo, uno degli attaccanti più belli da vedere della sua generazione. Semplicemente Melo non vuole accettare quello che il campo gli ha messo davanti agli occhi con così tanta ferocia. Il suo basket offensivo non c’entra più nulla con quello contemporaneo.
In difesa le cose sono ancora peggiori. Da numero tre fatica a tenere il dinamismo dell’avversario. Da numero quattro, invece, la fisicità. E poi c’è la questione mentale. Non aver mai accettato di partire dalla panchina, ridendo di coloro che credevano potesse essere una mossa saggia per i Thunder e, soprattutto, per lui, significa non aver colto presuntuosamente il seme del cambiamento.
Melo non vuole cambiare, non è nemmeno disposto a dire a se stesso di farlo, ed è proprio per questo che, forse, in questa serie contro i Jazz abbiamo assistito alla sua versione del “canto del cigno” ai massimi livelli. Non si può più parlare il suo linguaggio cestistico nei Playoffs. Non si può pensare nemmeno di costruire una possibile contender con questo tipo di mentalità. Inutile girarci attorno.
E’ tempo, Carmelo. Mi costa molto ammetterlo perchè, diciamocelo, un giocatore così è stato in grado accendere come pochi i sogni della gente. Non è un vincente. Non lo sarà mai. Avrebbe potuto essere un giocatore migliore, ammettendo i propri limiti e ponendo la propria individualità al servizio della squadra. Non è andata così. Probabilmente non sarebbe Melo, avesse fatto diversamente.
Ora non resta che un grande silenzio. La consapevolezza che tutto è cambiato e che non è andata come tutti sognavamo. Come Carmelo sognava.
Il vento si è portato via quello che resta di una carriera costantemente alla ricerca di un orizzonte. Alla ricerca di un posto d’onore al tavolo delle leggende, dove la grandezza esalta ogni gesto e la gloria riempie il profondo dell’anima.
Quel posto ora è lontano. Tanto lontano che i suoi occhi non riescono nemmeno più a metterlo a fuoco.
Il sereno se n’è andato di nuovo. Sono tornate le nubi cariche di pioggia. Cariche di sofferenza.
Una lacrima. Un senso d’impotenza e, forse, un brivido soffiato dal rimpianto.
Quello del tempo che viene a riscuotere le occasioni perse.
Sono tante, Melo. Troppe.
La cosa che fa più male è che, forse, non ce n’è saranno più.
La paura più grande di Carmelo.
Il tempo.
Se stesso.

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