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mercoledì 28 marzo 2018

Utah Jazz: Altro che tanking

22 gennaio. 
Atlanta batte Utah, 104-90.
I Jazz giocano una partita orrenda. Apatica. Rubio chiude con 1-8 dal campo, Ingles con 5 tiri presi, Gobert alla terza di rientro dai problemi al ginocchio segna 6 punti con 10 rimbalzi. Mitchell, termina con 13 punti, unico in doppia cifra del quintetto insieme a Favors, ma impiega 13 tiri per farlo. Oltre a questo, Atlanta termina con il 48% abbondante dal campo. Atlanta, non Houston, non Golden State. Atlanta.
Due giorni dopo, coach Snyder fa un discorso alla squadra. Anzi. Dice una sola parola: “Compete”.
Non basta giocare duro.
Non basta essere in campo, tanto per stare: bisogna desiderare la vittoria.
C’era una sensazione diffusa nello spogliatoio, ed era quella di essere una squadra migliore di quella che aveva preso paga da una delle squadre peggiori della stagione.
Ed era vero.
A Detroit la squadra tira fuori qualcosa che non era ancora riuscita a tirare fuori. Rubio viene tagliato sopra l’occhio, un brutto taglio. Rientra, assist per Ingles da rimessa da fondo, doppia doppia, tripla spezza equilibrio, vittoria.
“That game was a turning point”. Parole e musica di Snyder.
L’anno scorso Utah perdeva in Free Agency il proprio miglior giocatore senza ricevere nulla in cambio. Non c’era una scelta alta al draft che potesse far sperare in qualcosa. Si leggeva di tanking ovunque.
Poi, il lampo: Donovan Mitchell si è rivelato molto più forte di quanto probabilmente anche lui pensasse. Gobert è uno dei pochissimi giocatori NBA su cui puoi costruire un sistema difensivo, e i Jazz subiscono poco meno di 100 punti con lui in campo, poco più di 107 se lui è fuori.
Chris Mannix, di Yahoo Spors ha chiesto a Coach Quin se ci fosse stata una discussione fra il GM e lui sulla possibilità di tankare. “Mai. Non è così che facciamo le cose. Non mi è stato mai neanche lontanamente suggerito. Questa esperienza, ora, avere la possibilità di competere per uno spot nei playoff, ha del valore. Il risultato non è il solo riflesso di dove sei. L’unico scopo, per me, è migliorare. Non fare X vittorie, o Y vittorie in fila. Ma continuare a migliorare. Abbiamo iniziato l’anno con l’idea di migliorare. Stiamo continuando ad avere la stessa idea. Vogliamo migliorare”.
Quest’estate forse Utah avrà un po’ di flessibilità salariale, visto che Favors è in scadenza. Ma forse dovrà decidere di cosa fare in Free Agency dopo l’inizio dei Playoff, Playoff che erano sostanzialmente impensabili a ottobre.
In ogni caso, Utah ha trovato in Mitchell una giovanissima promessa. Forse una futura stella NBA. Gobert ha 25 anni. Rubio finalmente ha guadagnato un po’ di costanza, e sembra aver trovato finalmente casa, in NBA, con il coach adatto a farlo esprimere ad un livello molto più alto di quanto eravamo abituati forse dal suo anno da Rookie. Crowder, abbandonata la confusionaria Cleveland, in un sistema difensivo rodato, è tornato ad essere utilissimo. Sia lui che Ricky hanno 27 anni.
Lo Utah può, quasi legittimamente, sognare un bel futuro.
Il merito va a Joe, Rudy, Ricky, Derrick, Donovan.
Va a Jae ed Exum, fondamentali dalla panchina.
Perché il Jazz, quello vero, lo suonano gli interpreti eccezionali.
Ma il merito più grande va a Coach Quin Snyder.
Duke Ellington diceva che “il jazz è sempre stato simile al tipo d'uomo col quale non vorresti che tua figlia uscisse.”
E oggi, per merito di Coach Snyder, i Jazz sono simili al tipo di squadra con i quali non vorresti mai che la tua squadra finissero ai playoff. 

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