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lunedì 30 luglio 2018

DeMar DeRozan ai San Antonio Spurs

Nel prossimo post andrò a vedere la situazione opposta, ovvero il passaggio di Leonard in Canada, In questo post invece andrò ad analizzare la trade sponda San Antonio Spurs.
DeMar è stato scambiato. Direzione, Alamo: si va a San Antonio.
Step back.
Stagione scorsa.
Metà dicembre, più o meno. DeMar riceve una “convocazione” nell’ufficio del “president of basketball operations”, Masai Ujiri. Nella scala gerarchica dei Raptors, nel reparto operativo, c’è una top5 di persone. Erano tutte nell’ufficio di Ujiri, e stavano tutte aspettando DeMar.
DeMar, mentre cammina verso l’ufficio, ha un pensiero, chiaro: “Cazzo, non posso essere scambiato”. Si sente chiamato dal Preside, come avesse combinato qualcosa di grave all’High school.
Niente trade.
Niente cattive notizie.
Il discorso che viene fatto è di tutto altro genere: puoi essere il nostro Kobe Bryant, dice Ujiri. Ma DEVI migliorare su quell’aspetto del gioco che ti manca, il tiro da 3.
Una sfida.
Fino a quel momento, il gioco di DeMar è un gioco fatto di fondamentali, di allenamento individuale, è un gioco di un’altra epoca: un attacco quasi interamente dal mid-range, nell’epoca in cui in una singola stagione vengono segnate più triple che in tutto il decennio ’80. DeMar è meraviglioso, ma è un dinosauro.
DeMar cambia il suo gioco. Comincia a tirare più da tre. Si allena più da tre. Fa uno step importante in avanti.
Tutto sembra andare per il verso giusto.
Tutto, fino a che non arrivano i playoff. Anzi, fino a che non arriva LeBron. Di nuovo quello lì. DeRozan gioca decentemente le prime 2, ma sono due sconfitte, e sono anche in casa. In gara 3 viene messo in panchina per tutto il quarto quarto di gara 3. Quella è stata la sua ultima partita che avesse senso in maglia Raptors, visto che sotto 3-0 Toronto non ha una singola chance.
0-4.
DeMar tira 0/9 da 3 nella serie.
End of an Era.
Toronto è sempre sembrata, specie l’ultimo anno, ad un passo dal poter arrivare in fondo. Il passo, però, non è stato mai fatto.
A me DeRozan l’anno scorso è piaciuto tantissimo, in RS. Ha saputo evolvere il proprio gioco, migliorarsi, diventare una minaccia in ogni zona del campo, ha saputo diventare un passatore migliore. Ha rinunciato all’idea di tornare a Los Angeles, ha rinunciato a dei bei soldi per permettere a Toronto di essere più competitiva. Non ha funzionato.
Come spesso succede, in NBA, ad un certo punto alcune squadre decidono di pigiare il tasto rosso della rivoluzione.
Qualche giorno fa dall’account di instagram di DeRozan sono sparite TUTTE le foto, TUTTE. La maggior parte di quelle foto lo ritraevano in maglia Raptors, la prima e unica sua maglia NBA.
Qualche ora fa, queste parole: “Ti dicono una cosa e ne fanno un’altra. Non ti puoi fidare di loro. Non c’è lealtà in questo gioco. Ti vendono in fretta per ‘a little bit of nothing’.”
Al netto delle interpretazioni che quel ‘a little bit of nothing’ ha sull’aspetto Leonard della questione, io posso solo immaginare cosa voglia dire sentirsi dire da un giorno all’altro che la tua vita cambia. Che la squadra e la città per cui hai giocato, lavorato, sudato, sofferto, per cui hai rinunciato a denaro che altri ti avrebbero dato, ti manda via. Per ‘a little bit of nothing’.
Guadagnano tanti soldi, per carità. Ma sono ragazzi come tutti noi che si sentono non voluti. Con i trascorsi di DeMar, non devono essere ore facili per lui.
Io però gli auguro di trovare e ritrovare serenità. Voglia di giocare, di competere. Di allenare quel maledetto tiro da tre. Di perfezionare, se solo fosse possibile, quell’arresto e tiro dal gomito di una bellezza stratosferica. Gli auguro di sedersi al volante della sua DeLorean, farla uscire definitivamente dal passato per lanciarsi nel futuro.
Va da uno dei migliori allenatori del mondo, in un posto che, giocasse come ha saputo dimostrare di saper giocare, lo amerà esattamente come lo ha amato Toronto.
In bocca al lupo DeMar.

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