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lunedì 13 agosto 2018

La parola sostenibilità nel calcio italiano

Sostenibilità. Quanto piace questa parola ricca di significati evocativi. Pronunciandola, difficile si abbia una qualsiasi percezione (anche recondita) di negatività. Come si costruisce questa sostenibilità? Può essere applicata a tutti i livelli del nostro ecosistema sociale? Anche nel calcio italiano?
"Segui il denaro e troverai la mafia" recitava il mai troppo compianto Falcone in una delle sue rare interviste. Abbassando i toni ed il paragone, è lecito aspettarsi che i problemi del calcio italiano, quello delle leghe minori, quello dalla B alla D, seguano lo stesso criterio. Mancanza di soldi, di sostenibilità. Senza soldi non c'è sostenibilità, e viceversa. Condizione biunivoca. Tutto però ha un inizio. L'escalation di penalizzazioni, fallimenti, irregolarità di questi ultimi due anni ha un'origine ben precisa.
I fatti. A Novembre del 2016 un emendamento al decreto fiscale collegato alla legge di bilancio, approvato dalle commissioni Bilancio e Finanze della Camera, ha posto fine alla c.d. "Fondazione per mutualità generale per gli sport", che gestiva tra i 110 e i 120 mln di euro da distribuire sottoforma di mutualità al calcio professionistico minore e ai maggiori sport di squadra extracalcistici (basket e pallavolo). Questa fondazione distribuiva il 10% dei diritti TV, ottenuti dalla A attraverso la contrattazione collettiva con i vari broadcaster, in due forme distinte e separate:
✓Il 4% come Mutualità Generale, da distribuire ai club di B e C e agli altri sport extracalcistici maggioritari per investimenti in sicurezza, infrastrutture e sviluppo dei settori giovanili;
✓6% come CPI o Mutualità di gestione ai club di B e C (in realtà poi il 7,5% in base ad accordi speciali tra Lega A e B), per la gestione delle attività correnti (stipendi, tasse, contributi di iscrizione).
La riforma del 2016 ha posto questa responsabilità in capo alla FIGC, cambiando anche le regole di distribuzione della mutualità. Eliminata la mutualità generale (e qui Petrucci, presidente della FIP, si scagliò contro l'emendamento), con il 10 % distribuito nel seguente modo:
✓6% alla Serie B;
✓2% alla Serie C;
✓1% alla Serie D;
✓1% alla FIGC stessa.
La contribuzione ovviamente non è più libera da vincoli, come accadeva con il 6% erogato dalla Fondazione, ma sottoposto a puntuale rendicontazione da presentare alla FIGC stessa. Tale mutualità non è più concessa per sostenere la gestione corrente dei club di B e C, ma solo per investimenti in sicurezza, infrastrutture e settore giovanile.
Qui nasce il vero problema della mancanza di sostenibilità. Togliete la stampella ad un paziente in riabilitazione e cadrà ogni volta, che proverà a rialzarsi. Più o meno la situazione che stanno affrontando B e C. Meno contributi, più vincoli, per un mix letale. È palese che il vecchio sistema, fatto di contributi a babbo morto era poco trasparente, ma la soluzione si è rivelata peggio del cianuro.
Solo per snocciolare alcuni dati:
✓La Bundesliga retrocede il 20% dei propri introiti alla Bundes 2;
✓Premier League e Ligue 1 alle Leghe minori un contributo variabile tra il 10% ed il 19%;
✓La Liga alla Liga Adelante il 13,5% dei diritti TV + il 40% degli introiti del marketing associativo.
Può essere sostenibile un sistema dove la mutualità verso le leghe inferiori è minore rispetto agli altri paesi e vincolata da mille cavilli burocratici? Giusta la rendicontazione, ma se i club faticano a sostenere la gestione corrente, difficile imporgli investimenti per accedere alla mutualità. È ancora troppo preponderante la contribuzione dei finanziamenti dei soci nel bilancio dei club italiani. ECCO PERCHÉ GLI IMPRENDITORI ITALIANI SCAPPANO DAI CLUB DEI CAPOLUOGHI. A fronte di investimenti anticipati elevati, i ricavi sono miseri o nulli. Un gioco a perdere, in un mondo dove i mecenati latitano (e per fortuna).
Quale sarebbe la soluzione? Fare della Lega di A il traino per l'aumento di quel 10% destinato alle leghe inferiori. Riformare nuovamente i vincoli della mutualità, lasciando un minimo spazio per la gestione corrente dei club, che vi accedono. Se il secondo punto è applicabile, il primo no. Lo dimostra il recente accordo triennale sui diritti TV della A, ridicolo per ricavi e conclusione. La Serie A non cresce e con essa la mutualità. Il discorso al generale, non c'è equità se i più ricchi non contribuiscono al sostegno dei più poveri. Non c'è sostenibilità della mutualità se non si sostengono i più ricchi nell'accrescimento della loro ricchezza.

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