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venerdì 1 giugno 2018

Cosa dovrà fare Mancini per ridare credibilità a questa nazionale?

In questa immagine troviamo un colpo d'occhio niente male su quale sia il livello raggiunto dal movimento spagnolo ad oggi. In questa top11 ci sono infatti alcuni degli esclusi dal Mondiale brasiliano: una formazione in cui la maggior parte dei componenti avrebbe serie chance di una maglia da titolare con la nostra nazionale, quando non ne sarebbe direttamente la stella.
Eppure un paio di anni fa tutti noi abbiamo esultato per la vittoria ottenuta negli ottavi di finale con le reti di Chiellini e Pellé. A riguardarla oggi, quella partita, che vedeva una Spagna con limiti tattici comunque evidenti, rappresenta la più proverbiale delle vittorie di Pirro, il re dell'Epiro impelagatosi nel Sud Italia durante le sue scorribande contro Roma a bordo d'elefante.
Come detto e scritto in diverse sedi, l'Italia di Conte ha vissuto della capacità del suo CT, che con organizzazione e motivazione ha sopperito alle mancanze tecniche di un movimento la cui crescita ha subito uno stop brusco in corrispondenza della generazione nata cavallo tra gli anni '80 e '90. Per quanto entusiasmante, il catartico europeo del 2016 è stato poco più di una fiammata estemporanea, che difatti si è poi velocemente spenta persa la guida tecnica che lo aveva generato. Una cosa positiva della gestione di Conte è stata la capacità di scegliere una strada e seguirla, anche a costo di esclusioni pesanti, ottenendo quindi una squadra che sapeva cosa fare. Tutto questo è mancato a Ventura.
Ora tocca al Mancio, vero protagonista di questo post che entra in scena al secondo atto come in una rappresentazione d'avanguardia.
Mancini, da tecnico puramente utilitaristico, nella seconda esperienza interista ed anche con lo Zenit è sembrato voler dare un'impronta maggiormente orientata verso il possesso palla e il controllo degli spazi nella metà campo avversaria, abbandonando rapidamente la linea però, alla ricerca del guizzo estemporaneo per vincere la partita del giorno. È proprio questa mancata fedeltà alla linea di ferrettiana memoria che ne ha limitato i risultati. Se si sceglie quella strada, ogni deviazione alla lunga toglie qualcosa alla squadra, come personalmente sperimentato sul campo.
L'Italia aveva bisogno di altro, nella nostra opinione, in questo momento. Il confronto con la Spagna è impietoso, ma questo gap se non può essere colmato in tempi brevi, può sicuramente essere ridotto. È innegabile come, dall'annata '94 in poi, gli Azzurri possano vantare una discreta schiera di giocatori quantomeno futuribili per la costruzione di un nuovo ciclo importante e duraturo per la nostra nazionale. Giocatori che però soffrono tremendamente i grandi appuntamenti. Con la tattica e le contromisure siamo arrivati in finale all'Europeo U21, in semifinale al mondiale U20, in finale all'Europeo U19 e recentemente anche all"europeo U17, solo per crollare psicologicamente di fronte agli avversari. È palese come il nostro sistema di formazione, legato sempre e solo al breve periodo, non fornisca i mezzi mentali, e quindi tattici perché la tattica è prima di tutto scelta individuale, per sostenere sfide più complicate del normale, dove il piano gara della lavagna può volare fuori in un attimo. In tutto questo Mancini è un tecnico che idealmente segue questo solco: io sono intelligente e so come vincere, se non ce la fate a seguirmi siete fuori. Non sappiamo come approccerà all'incarico, ma speriamo riesca a schiodarsi da queste posizioni e diventare un migliore didatta, perché ne abbiamo bisogno impellente.
Di positivo c'è sicuramente la fermezza di questo allenatore nel prendere decisioni anche impopolari. Giuste o sbagliate che siano, sopportare altre stagioni di CT-banderuola che pur di evitare le critiche cambiano posizione di settimana in settimana sarebbe stato troppo.

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