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lunedì 11 giugno 2018

The Klay way.

Beasley Coliseum, Pullman, WA
20 Gennaio 2011
Sono quasi le undici di sera. Dentro l’arena dei Washington State Cougars si è da poco conclusa la partita fra i padroni di casa e i Sun Devils di Arizona State. Hanno vinto i Cougars, nettamente anche. Punteggio finale 78-61 per i ragazzi allenati da coach Ken Bone.
La gara ha preso la direzione dei padroni di casa a inizio secondo tempo, quando la guardia tiratrice dei Cougars con la maglia numero 1 è stata capace di infilare due triple consecutive folgoranti, splendide dal punto di vista tecnico, devastanti da quello emotivo. Il giocatore in questione, alla sua terza stagione nell’ateneo di Pullman, si chiama Klay Thompson ed è uno dei prospetti più interessanti della nazione in vista del prossimo Draft Nba.
I numeri che raccontano la sua prestazione contro i Sun Devils non hanno bisogno di essere infarciti di banale retorica: 22 punti, di cui 14 nel secondo tempo, con 9 assist, 8 rimbalzi e 4 stoppate.
Statistiche forti, accompagnate da un gioco maturo ed elegante. Purezza nei fondamentali e atteggiamento tosto in difesa e aggressivo in attacco. Ma, c’è un ma. Klay è un ragazzo molto competitivo, uno abituato a nascondere i propri sentimenti quando scende sul parquet. Nessuna distrazione, nessun coinvolgimento emotivo che possa rallentare lo sviluppo del suo gioco. Thompson non si è mai sentito “arrivato” sin da quando ha iniziato a giocare a pallacanestro a certi livelli.
Quando gli proposero di andare in Nba, dopo le prime due stagioni al college, lui rispose: “No, non sono pronto”. Non si sarebbe mai presentato al Draft solamente con lo scopo di essere scelto. Ha sempre pensato che arrivare a quel momento nella miglior condizione possibile, tecnica, mentale e fisica, fosse l’unico modo per avere una carriera importante nella Nba. No shortcuts.
Le 23 sono passate da alcuni minuti e dentro il Beasley Coliseum non c’è più nessuno ormai. Le luci sono ancora accese e sul parquet c’è un giocatore che tira ripetutamente a canestro. Prova decine di soluzioni. Pull up jumper, catch and shoot, fade away, pump fake, jab step, step back, drop step.
Dal mid range. Da tre punti. Dal post basso. La palla finisce sempre dentro. Sempre.
Ogni volta con movimenti perfetti, leggeri e armoniosi.
E’ Klay Thompson, ovviamente. Non è soddisfatto della sua partita e, soprattutto, non ritiene di essersi allenato a dovere quella sera contro Arizona State. Serviva necessariamente un’altra ora di lavoro per poter andare a letto con la coscienza a posto.
Ogni volta che la palla si tuffa nel canestro, è musica. Non c’è miglior suono al mondo di quello di una palla che straccia la retina dopo un movimento di tiro perfetto. Perchè di questo si tratta.
Non ho mai visto una meccanica di tiro più bella di quella di Klay Thompson.
Chiamarla meccanica, a dire la verità, mi secca un pò. Deve esistere una parola capace di descrivere tanta bellezza racchiusa nella perfezione di un gesto tecnico. Ogni volta che vedo Klay mettere i piedi a posto e lasciar partire dalle sue mani quelle meraviglie, ci penso assiduamente. Non sono ancora riuscito a trovare il modo di raccontarla.
Pensare a Klay che accarezza la retina del Beasley Coliseum a notte inoltrata è forse la più bella immagine per farlo.
Guai, però, a rinchiudere concettualmente Klay Thompson dentro il suo tiro, per quanto splendido possa essere. Durante gli anni a Pullman si è formato un giocatore di pallacanestro pazzesco, sui due lati del campo. Uno che durante gli allenamenti chiedeva a coach Bone di allenarlo ben oltre la fine della sessione. Innumerevoli i tiri in uscita dai blocchi che ha provato e riprovato in allenamento per rendere tutto perfetto e, soprattutto, naturale. Quando coach Bone diceva “Bene, ora andate sotto la doccia”, Klay restava lì per almeno un’altra ora a tirare. La pallacanestro non si ferma mai per gente come lui.
Il primo ad arrivare al campo. L’ultimo ad andarsene. Sempre.
E’ giusto celebrare un campione come Klay Thompson e, anche in questo caso probabilmente, non avremo comunque fatto abbastanza. Nella sua carriera a Golden State ha scritto delle pagine importantissime della storia del basket. L’ha fatto con semplicità e classe, pienamente nel suo stile.
Le undici triple di gara 6 in casa dei Thunder nel 2016 che permisero ai Warriors di forzare e vincere la serie alla settima. Il momento, forse, più alto della sua carriera. Giocò con una facilità e una naturalezza incredibile. Come se nel parquet della Chesapeake Energy Arena ci fosse stato solo lui.
Nel Dicembre del 2016 non si presentò a una sessione di allenamento prima della sfida di regular season contro gli Indiana Pacers. Nessuno sapeva dove fosse. C’era preoccupazione perchè il suo telefono squillava a vuoto, senza che nessuno rispondesse. Dopo qualche ora, si fece vivo: si era addormentato senza rendersi conto del tempo che passava. La sera successiva contro i Pacers ne segnò 60 in 29 minuti di gioco.
Easy.
La stessa enorme facilità con cui, un paio di settimane fa, ha segnato nove triple nella gara 6 delle Western Conference Finals contro gli Houston Rockets. Nell’elimination game. Segnate come fossero semplicissimi layup. The Klay Way.
Uno dei più forti giocatori della lega e non è nemmeno la seconda opzione offensiva nella sua squadra. Come disse Kobe Bryant, un pò di tempo fa, a proposito di Klay: “He is the whole package”. Il pacchetto completo, uno che in campo è in grado di fare qualsiasi cosa.
All around player. Non ce ne sono molti.
Probabilmente non vedrò mai un ragazzino indossare la sua canotta #11 nei campetti della mia città. Sarebbe bellissimo, lo ammetto, essere stupito del contrario. E’ altrettanto probabile che non riesca mai a trovare le parole giuste per raccontare il tiro di Klay Thompson. Non sono sicuro di esserne all’altezza.
Mi accontenterò di seguirlo con lo sguardo entusiasta di chi non hai mai visto niente di più bello su un campo da basket. Rimanere profondamente concentrati su quel movimento senza palla.
La ricezione. La posizione dei piedi.
Gli occhi fissi sul canestro. Il rilascio.
La musica.
Le parole non le trovo ancora.
Se ci riuscite voi, fatemelo sapere.

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