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domenica 29 aprile 2018

Let him go part 1

Quando penso a Dwyane Wade subito, quasi istantaneamente, provo sensazioni calde, positive, inguaribilmente intrise di passione. Flash è stato uno dei giocatori che più ho amato nell’era post Jordan e credo di poter parlare anche a nome di molti, forse moltissimi, di voi. In questi giorni si è parlato molto della sua carriera e della possibile conclusione del glorioso percorso che lo ha portato a vincere tre anelli e a diventare, probabilmente, una delle guardie più forti di tutti i tempi.
La sconfitta in gara 5 contro Philadelphia potrebbe essere stata la sua ultima partita con la #3 degli Heat sulle spalle. La cosa non mi rende triste, sarò sincero, anzi il mio sentimento vive decisamente lontano dalla malinconia. Non perchè sono una persona insensibile e nemmeno perchè il mio cuore è ingabbiato da cinico fatalismo. Nulla di tutto questo.
Rispetto e ammiro troppo Dwyane Wade per restarci male. Credo fortemente che un giocatore, soprattutto uno del suo lignaggio cestistico, debba decidere quello che è meglio per se, considerando tutti gli aspetti necessari. Non sarò certo io a supplicarlo per andare avanti un altro anno, nonostante in alcune gare di questi Playoffs abbia dimostrato di essere ancora uno che sa impadronirsi del destino di una partita. Sono stati momenti splendidi, soprattutto in gara 2 dove è stato a dir poco leggendario.
Se Dwyane deciderà di smettere io sarò al suo fianco. Senza tristezza. Senza malinconia.
Lo lascerò andare, rispettosamente.
Quando vorrò vederlo giocare mi basterà chiudere gli occhi. Non YouTube. Non vecchie registrazioni. E’ tutto nella mia testa, impresso a fuoco nel mio fragile cuore di innamorato. E’ lì che si trova la sua legacy ed è proprio per questo che la sua grandezza è degna di essere chiamata tale.
Ricordo un episodio risalente alle Nba Finals del 2013, quelle fra i suoi Miami Heat e i San Antonio Spurs. Dopo il suono della sirena di gara 7, che decreta la vittoria del suo terzo anello, Dwyane si ritrova a bordo campo con Gregg Popovich. I due si abbracciano e il coach di San Antonio, in mezzo a tante parole, gli dice: “You’re Dwyane Wade”. Un momento bellissimo, di una delicatezza assolutamente fuori dal comune. Credo che coach Pop, a cuore aperto, volesse dirgli che, nonostante tutti gli onori della vittoria sarebbero andati a LeBron, lui era stato fondamentale affinché tutto questo fosse possibile. Gli ha ricordato per l’ennesima volta che non è uno dei tanti. Gli ha ricordato la sua grandezza.
Lui è Dwyane Wade. Altre parole non sono necessarie.
Ecco, penso esattamente la stessa cosa. Quindi non soffrirò se uno dei miei giocatori preferiti dovesse smettere. Ne arriveranno altri. Nessuno, però, sarà mai come Dwyane Wade. Pensare che prima o poi arrivi qualcuno a prendere il suo posto è pura illusione. Credere che possa nascerne uno in grado di emularlo e di farlo rivivere a livello cestistico non sarebbe giusto. Se deciderà di smettere lo lascerò andare. Non fingerò di cercarlo dove non c’è più.
Lui è Dwyane Wade. Lo sarà per sempre.

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